Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21515 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21515 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Cantù Maria Cristina, nata a Varese il 21/12/1964,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Brescia emessa in data 15/11/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Luigi Orsi, che ha concluso per l’annullamento senza rinvio;
udito per la parte civile l’Avv.to Alaia, che ha concluso per l’inammissibilità del
ricorso, ed ha depositato conclusioni scritte e nota spese
udito per la ricorrente Cantù Maria Cristina il difensore di fiducia, Avv.to Paolo
Siniscalchi, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Brescia, in riforma della
sentenza emessa dal Tribunale di Mantova in data 30/09/2014 – con cui Cantù

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Data Udienza: 08/02/2018

Maria Cristina era stata condannata a pena di giustizia, oltre che al risarcimento
dei danni nei confronti della parte civile, in relazione al reato di cui agi artt. 595
cod. pen., 13 L. 47/1948, perché, nella qualità di direttore generale della ASL di
Mantova, nell’intervista rilasciata al quotidiano “La Gazzetta di Mantova”, in
merito alla questione dell’aumento del numero di morti sul lavoro nella Provincia
di Mantova per l’anno solare 2004, offendeva l’onore ed il decoro di Ricci Paolo
che, nel suddetto periodo, rivestiva l’incarico di direttore del Dipartimento di
Prevenzione Medica della predetta ASL, con le seguenti frasi: “se fossi un operaio
che lavora in edilizia, in agricoltura mi augurerei che la prevenzione non fosse

di consulenza … troppo occupato con le sue dissertazioni universitarie per gestire
un lavoro quotidiano di prevenzione …. un conto sono le disquisizioni teoriche in
cui è maestro un altro è occuparsi dei problemi della sicurezza”; in Mantova, il
12/08/2005 – dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputata per
essere il reato a lei ascritto estinto per prescrizione, confermando, nel resto,
l’impugnata sentenza.
2. Con ricorso depositato in data 23/01/2017 Cantù Maria Cristina ricorre, a
mezzo dei difensori di fiducia Avv.to Paolo Siniscalchi ed Avv.to Paolo Grasso,
per:
2.1. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed
e), cod. proc. pen., in riferimento all’art. 595 cod. pen., in quanto la difesa aveva
sottolineato, con i motivi di gravame, come la frase incriminata – in cui si faceva
riferimento alle numerose attività della persona offesa – dovesse essere
valutata, nella sua potenzialità lesiva, in riferimento al contesto generale e
prodromico all’esternazione, avendo la ricorrente pronunciato la detta frase dopo
essere stata, a sua volta, attaccata numerose volte sulla stampa locale in merito
alla sua decisione di sostituire il dott. Ricci nell’incarico da questi ricoperto, come
ampiamente dimostrato nei due gradi del giudizio di merito; era stato, inoltre
documentato, sulla scorta di dati statistici inconfutabili, attestanti un trend
negativo circa gli infortuni mortali sul lavoro, soprattutto nei settori dell’edilizia e
dell’agricoltura, che il dott. Ricci non avesse una soddisfacente attitudine pratica
ad occuparsi dei temi della sicurezza; a fronte di ciò la Corte di merito ha fornito
una motivazione apodittica, senza individuare alcuna spiegazione del perché le
frasi oggetto di imputazione sarebbero oggettivamente offensive, anche alla luce
dell’uso, ormai comune, di un linguaggio che, nei più svariati settori, dalla
politica agli spettacoli televisivi, ha sdoganato il ricorso ad espressioni forti ed a
toni marcatamente polemici, senza peraltro considerare come, nel caso in
esame, le critiche fossero giustificate da un preciso diritto-dovere di agire,
argomentazioni su cui la Corte di merito non ha fornito alcuna motivazione; né,

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affidata ad un dirigente come Paolo Ricci, distratto da troppe attività didattiche e

infine, alcun approfondimento risulta compiuto in relazione all’elemento
soggettivo del reato, non essendo stata considerata la circostanza che la
ricorrente aveva dovuto difendersi e, quindi, dare pubblicamente conto delle
ragioni che l’avevano determinata a sostituire il dott. Ricci nell’incarico a lui in
precedenza assegnato;
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed
e), cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 51 e 59 cod. pen., in relazione all’art.
21 Cost., in quanto risulta del tutto omessa la motivazione in ordine al
riconoscimento della scriminante del diritto di critica, anche sotto il profilo della

Tribunale a riconoscere la correttezza dei dati statistici posti a corredo
dell’articolo incriminato, pur avendo il primo giudice sottovalutato detti dati
statistici in favore di ipotesi alternative del tutto indimostrate e mai emerse dal
dibattimento; si era, inoltre, sottolineato come, anche alla luce della
giurisprudenza di legittimità, la critica possa tradursi anche in valutazione e
commenti di parte, mentre la Corte di merito, del tutto travisando detto aspetto,
ha fornito una motivazione incentrata sul diverso profilo del diritto di cronaca,
senza valutare la sussistenza della scriminante del diritto di critica, con
conseguente valutazione del criterio della verità, da intendersi quale presupposto
del giudizio di valore reso; infine, quanto al requisito della continenza espressiva,
la motivazione della sentenza impugnata non appare affatto rispettosa dei canoni
ermeneutici elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, atteso che, nel caso in
esame, le forme espressive utilizzate non erano affatto gratuitamente offensive,
bensì miranti ad argomentare un giudizio sulla persona offesa che, per quanto
veemente, rientrava senz’altro nel perimetro della critica, non avendo i giudici di
merito mai posto in discussione l’indubbio interesse sociale rivestito dalla
vicenda, portatci, all’attenzione dell’opinione pubblica a seguito di un’articolata
campagna di stampa; anche in riferimento all’esercizio putativo del diritto di
critica, la motivazione della sentenza impugnata non si sofferma sulla scusabilità
dell’errore, bensì sul diverso profilo delle espressioni utilizzate, incorrendo in un
deficit motivazionale sul punto, anche alla luce della giurisprudenza di legittimità.
3. In data 18/01/2017 è stata depositata memoria difensiva nell’interesse della
ricorrente, con cui si rappresenta come questa Corte, in altro procedimento
penale originato da analoga vicenda, e scaturito da una querela della medesima
persona offesa, abbia annullato senza rinvio altra sentenza della Corte di Appello
di Brescia.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

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putatività, alla luce del criterio della verità dei fatti, essendo stato lo stesso

I motivi di ricorso rendono necessario, alla luce dello sviluppo delle
argomentazioni difensive, l’esame di entrambe le sentenze di merito.
La sentenza di primo grado aveva dato atto che il querelante, dott. Ricci, aveva
diretto il Dipartimento di Prevenzione Medica della ASL di Mantova, fino a quando
non era venuto meno il rapporto fiduciario con la Cantù, Direttore Generale,
all’epoca, della medesima ASL, per una diversità di vedute non conciliabile, come
risultante dalle prove dichiarative e documentali. La sostituzione del Ricci – come
evidenziato dal primo giudice – aveva avuto eco sulla stampa locale, che
solidarizzava con il querelante, tant’è che l’imputata aveva rilasciato l’intervista

affermato in sentenza, questa ribadiva di non aver mai ricevuto contestazioni o
richiami, anche perché gli obiettivi fissati dal Direttore Generale della Lombardia
erano stati raggiunti dalla ASL di Mantova, come confermato anche dal teste
Padovani, incaricato di tutoraggio.
La sentenza di primo grado, alla luce delle predette risultanze, aveva, pertanto,
sottolineato come l’imputata avrebbe ben potuto esercitare il suo legittimo diritto
di critica nei confronti del Ricci, ed anche di cronaca – nella misura in cui le
notizie da diffondere erano rilevanti per la collettività – mentre, nel caso in
esame, il diritto di critica non era stato affatto legittimamente esercitato, alla
luce del dato costituito dal numero dei morti sul lavoro che, pur essendo elevato
rispetto alla provincia di Varese, non era idoneo da solo – come indicato dai testi
Padovani e Teghi – a fondare un giudizio assolutamente negativo sull’operato del
Ricci, né dimostrativo di suoi errori o inadempienze, anche a fronte della
mancanza di un unico criterio, comune a tutte le ASL della Regione Lombardia, di
catalogazione degli infortuni sul lavoro; il maggior numero di infortuni sul lavoro
registrato nella provincia di Mantova, pertanto, avrebbe potuto persino
dipendere dalla più elevata diligenza del Ricci nel denunciare detti episodi e,
quindi, nel farli emergere; in ogni caso, il mero dato statistico non poteva,
automaticamente, tradursi in una carenza professionale del querelante, non
potendosi, quindi, ritenere legittimo esercizio del diritto di critica le frasi
pronunciate dall’imputata che, al contrario, apparivano gratuitamente aggressive
e diffamatorie; inoltre, nel 2005, il numero dei decessi era diminuito a quattro,
circostanza del tutto taciuta dall’imputata, che aveva solo sottolineato l’aumento
delle morti da nove ad undici nel biennio 2003-2004, attribuendo al Ricci solo il
peggioramento della situazione, senza neanche menzionare il successivo
miglioramento della stessa.
Con i motivi di appello si affermava, contrariamente a quanto ritenuto dal primo
giudice, che la Cantù aveva rappresentato al Ricci delle doglianze circa le sue
capacità operative, a fronte delle quali le risposte del Ricci sarebbero state vaghe
ed inconsistenti; quindi la difesa, in sostanza, ritornava sui dato negativo
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oggetto del procedimento in esame. Nel corso dell’esame della parte civile, come

dell’incremento delle morti sul lavoro e sull’esercizio del diritto di critica da parte
della Cantù, oggetto, a sua volta, di una campagna di stampa contraria,
affermando che anche sotto l’aspetto della putatività avrebbe dovuto essere
riconosciuta la scriminante del diritto di critica, considerato che lo stesso
Tribunale aveva riconosciuto la correttezza del dato statistico.
La Corte di merito, inoltre, ha confermato la sentenza di primo grado sulla scorta
della considerazione che, nell’intervista rilasciata dalla Cantù, era stato
adombrato un nesso eziologico tra l’incremento delle morti sul lavoro e l’assenza
ed inidoneità del querelante, senza che fosse stata dimostrata alcuna incapacità

sua inettitudine professionale, né che gli fosse stato mai mosso alcun addebito
da parte della Cantù circa sue inadempienze professionali.
La Corte territoriale ha argomentato la sua determinazione, inoltre, anche alla
luce dello scarno dato statistico evidenziato, relativo alla sola provincia di
Varese, ed alla carenza di un criterio omogeneo tra le varie province per la
lettura dei dati, oltre all’omissione, da parte dell’imputata, nel menzionare il
successivo miglioramento statistico, verificatosi quando il Ricci ricopriva ancora
l’incarico. In tal senso, ha concluso la sentenza impugnata, mancando la verità
oggettiva dei fatti, non poteva essere neanche ritenuta la scriminante putativa
del diritto di critica, difficilmente configurabile nel caso della Cantù che, per il suo
livello culturale e professionale, certamente non poteva ignorare la valenza delle
espressioni utilizzate.
La motivazione delle sentenze di merito, come tra loro integrantesi, risulta
scevra da censure logiche. Appaiono, in tal senso, dirimenti i criteri costituiti
dalla riduttività del dato statistico, dalla mancanza di un criterio omogeneo di
valutazione e, soprattutto, dal silenzio osservato dalla ricorrente, nel corso
dell’intervista, sul miglioramento della situazione relativa ai decessi sul lavoro nel
periodo in cui il Ricci svolgeva ancora l’incarico.
Soprattutto, la sentenza impugnata considera fondamentale come il nesso
eziologico, evidenziato dalla Cantù, tra i decessi e le inadempienze del Ricci,
senza ulteriore specificazione delle stesse, sembri effettivamente surrettizio e
diffamatorio.
Non costituisce, infatti, esercizio del diritto di critica la mera illazione, sfornita da
dati esplicativi concreti e verificabili, soprattutto se colui che formula
l’affermazione risulti essere, come nel caso in esame, la fonte più qualificata a
fornire detti dati.
Non vi è dubbio alcuno,

infatti, che la ricorrente fosse soggetto

professionalmente in grado di documentare, proprio sotto l’aspetto tecnico
oggetto di critica, le ragioni delle proprie affermazioni, attraverso specifici
riferimenti concreti, tesi ad illustrare ed a sostanziare delle asserzioni che,
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del Rossi, né che l’aumento dei decessi fosse ascrivibile, almeno in parte, alla

altrimenti, restano un mero assunto personale, con valenza indiscutibilmente
diffamatoria, proprio in quanto sfornite dei precisi elementi tecnici e fattuali che,
come detto, l’imputata sarebbe stata la persona più qualificata ad illustrare.
A ciò deve aggiungersi un elemento ancor più sintomatico dal punto di vista della
configurazione della fattispecie, ossia l’aver taciuto un dato positivo, circostanza
che, nell’economia ricostruttiva della vicenda, rappresenta indiscutibile indice di
una specifica volontà diffamatoria, a fronte della quale non sembra in alcun
modo possibile evocare la scriminante putativa.
Pacificamente, infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, perché

diffamatorio, la notizia divulgata, oltre che socialmente rilevante e descritta con
continenza espressiva, deve essere vera, il che implica che sia riportata in modo
completo (Sez. 5, sentenza n. 44024 del 04/11/2010, P.C. in proc. Biondani ed
altro, Rv. 249126: nella specie il giornalista, nel pubblicare un articolo in cui si
sosteneva l’aumento del tasso di mortalità nel reparto di chirurgia di un
ospedale, aveva omesso di dare atto dell’esito dell’indagine amministrativa che
ne era seguita, già noto un mese prima della pubblicazione, favorevole al
primario del reparto).
Né ha senso evocare il concetto di continenza, in quanto detto requisito, quale
elemento costitutivo della causa di giustificazione del diritto di critica, riguarda le
espressioni utilizzate e le modalità espressive dispiegate, richiedendo che esse
siano proporzionate e funzionali alla comunicazione dell’informazione, e non si
traducano, pertanto, in espressioni che, in quanto gravemente infamanti e
inutilmente umilianti, trasmodino in una mera aggressione verbale del soggetto
criticato.
Il requisito della continenza non può, al contrario, essere evocato come
argomento a copertura della pretesa di selezione degli argomenti attraverso i
quali si formula la critica, perché quest’ultima, quale valore fondante fissato nella
Costituzione, all’art. 21, non può che basarsi sulla assoluta libertà di scelta degli
argomenti sui quali si articola la esposizione del proprio pensiero, sempre che
sussistano gli altri due requisiti i e cioè la verità del fatto da cui muove la critica e
l’interesse sociale a conoscerla. (Sez. 5, sentenza n. 18170 del 09/03/2015,
Mauro ed altri, Rv. 263460; Sez. 5, sentenza n. 36602 del 15/07/2010, P.C. in
proc. Selmi, Rv. 248432).
Nel caso in esame, come ineccepibilmente evidenziato dalla motivazione
impugnata, è proprio il requisito di verità del fatto a risultare carente, sia in
quanto non esplicitato nelle sue verificabili connotazioni tecniche, sia in quanto
riferito solo parzialmente da un soggetto che, per la sua specifica competenza
tecnica e per lo specifico ruolo professionale svolto, era in possesso di tutti gli
elementi per ricostruire un quadro completo della vicenda.
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l’esercizio del diritto di cronaca abbia efficacia scriminante in riferimento al fatto

Nessun pregio può essere accordato, infine, alla vicenda oggetto delle sentenza
emessa da questa Sezione 5 in data 30/03/2017, n. 26433, atteso che in tal
caso il ricorso della Cantù è stato ritenuto fondato in quanto la frase pronunciata
dalla ricorrente in una diversa missiva, rilasciata al diverso quotidiano “La Voce
di Mantova”, pur essendo inquadrata nella medesima vicenda, è stata ritenuta
scriminata dal diritto di critica, pur apparendo astrattamente offensiva.
Detta valutazione, tuttavia, si basa sulla circostanza che la ricorrente avesse
scritto la missiva al quotidiano cittadino in quanto sollecitata da una precedente
lettera, contenente espressioni offensive della sua reputazione; a detta missiva,

che l’indipendenza del Ricci, tanto decantata dalla precedente missiva, non fosse
così certa, citando, tuttavia, la vicenda a seguito della quale ella aveva deciso di
sostituire il Ricci.
La diversità sostanziale tra le due vicende, e la loro conseguente inassimilabilità,
sta nel fatto che nella citata sentenza questa Corte ha basato la propria
motivazione sul legittimo esercizio del diritto di critica, in quanto la frase
incriminata aveva ad oggetto l’indipendenza politica del Ricci, laddove nel caso
che occupa ci si trova in presenza di una diversa critica, che involge il ruolo
professionale della persona offesa.
Ne discende, pertanto, il rigetto del ricorso e, ai sensi dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla
rifusione delle spese di parte civile, liquidate in euro 3.500,00 oltre accessori di
legge.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali
ed alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in euro 3.500,00, oltre
accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 08/02/2018

Il Consigliere estensore

Il Presidente

quindi, la Cantù aveva replicato con l’affermazione, peraltro in termini dubitativi,

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