Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21505 del 08/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21505 Anno 2018
Presidente: LAPALORCIA GRAZIA
Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
TERZI LUCIO nato il 22/10/1966 a COSENZA
avverso la sentenza del 12/01/2016 del TRIBUNALE di COSENZA
– visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso
– udita la relazione svolta dal Consigliere ANTONIO SETTEMBRE
– Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore LUIGI ORSI
che ha concluso per l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
– Udito il difensore della parte civile, avv. Ledonne Ugo in sost. Dell’avv.
Cristiano Cristian, che deposita conclusioni alle quali si riporta e deposita nota
spese.
– Udito, per !imputato, 1 )avv. Mauro Bonini in sost. Dell’avv. Maurizio Nucci, che
si riporta ai motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Cosenza ha, con la sentenza impugnata, confermato quella
emessa dal Giudice di prima cura, che aveva ritenuto Terzi Lucio responsabile di
minaccia in danno di Callea Francesco, avvocato, e lo aveva condannato a pena

Data Udienza: 08/02/2018

di giustizia, oltre al risarcimento dei danni in favore della persona offesa,
costituitasi parte civile.
Alla base della resa statuizione vi sono le dichiarazioni della persona offesa,
giudicate coerenti e credibili, nonché del padre di quest’ultima (Callea
Salvatore), di Miceli Rosina e di Ingratta Claudia, clienti dello studio legale.

2. Ha presentato ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando:
a) un vizio di motivazione con riguardo al giudizio di responsabilità, derivante –

b)

un vizio di motivazione e una violazione di legge con riguardo alla

qualificazione giuridica del fatto, che andava ricondotto – secondo il ricorrente alla fattispecie aggravata di cui all’art. 612, comma 2, cod. pen.;
c) un vizio di motivazione e una violazione di legge in ordine alla quantificazione
del danno;
d) la mancata dichiarazione di prescrizione del reato, intervenuta prima della
sentenza d’appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo, relativo al giudizio di responsabilità, è inammissibile perché
versato totalmente in fatto. Il ricorrente pretende di rivalutare le prove
dichiarative per desumere, da esse, un contrasto tra le dichiarazioni di due testi
(Callea padre e figlio) e un vizio della motivazione, che non avrebbe tenuto conto
delle discrasie tra le versioni e della conseguente inattendibilità dei due. Si tratta
esattamente della censura già sollevata dinanzi alla Corte d’appello, la quale ha
rivalutate le dichiarazioni suddette e le ha ritenute scevre di contraddizioni; anzi,
ha messo in evidenza la precisa coincidenza delle versioni e la perfetta logicità
del narrato, confrontato, peraltro, con quelle di altri testi presenti, che non si
sono discostati in nulla dalla versione fornita dalla persona offesa e dal padre di
quest’ultima (tutti hanno riferito, infatti, che il Terzi, entrato nello studio del
Callea, lo minacciò con le parole descritte in imputazione e che non si allontanò
dal posto se non a seguito della telefonata fatta alla Polizia). Con questa
motivazione il ricorrente non si confronta minimamente, per cui la doglianza va
ritenuta – secondo consolidata e condivisa giurisprudenza di legittimità inammissibilmente proposta (oltre che inammissibile per i suoi contenuti, che
non tengono conto della natura del giudizio di legittimità).

2. Il secondo motivo è inammissibile, perché proposto da soggetto privo di
interesse. Il suo accoglimento sarebbe inidoneo, infatti, ad arrecare qualsiasi
vantaggio al ricorrente, perché dovrebbe innescare un procedimento foriero di

2

sostiene – da un esame parziale e contraddittorio delle prove dichiarative;

ulteriori danni per lui. Si tratta, peraltro, di motivo inammissibile anche per la
sua manifesta infondatezza, in quanto la minaccia va valutata non soltanto per le
parole utilizzate, ma anche per il contesto in cui si è esplicata, sicché nessun
appunto può muoversi al giudicante, che, in considerazione delle espressioni
utilizzate e della situazione ambientale descritta unanimemente dai presenti, ha
escluso la riconducibilità della stessa al paradigma dell’art. 612, comma 2, cod.
pen..

infondatezza, atteso che i giudici di merito si sono limitati a pronunciare la
condanna generica al risarcimento del danno, senza procedere alla sua
quantificazione. Tale pronuncia è perfettamente legittima, perché tiene conto
della natura del reato contestato (e ritenuto sussistente), il quale determina, per
sé stesso, un turbamento d’animo che è suscettibile, per giurisprudenza pacifica,
di ristoro patrimoniale, seppur riferito alla sola sfera morale.

4. E’ fondato, invece, l’ultimo motivo di ricorso. Effettivamente, come sostenuto
dal ricorrente, il reato, commesso il 23/2/2007, si era prescritto, pur tenendo
conto delle sospensioni intervenute (per mesi undici e giorni undici), prima della
pronuncia della sentenza d’appello, in data 1/8/2015 ( la sentenza d’appello è
del 12/1/2016). Di conseguenza, pgr restando ferme le statuizioni civili
(l’imputato era già stato condannato in primo grado al risarcimento dei danni), la
sentenza va annullata agli effetti penali, in quanto, come infine chiarito dalle
Sezioni Unite di questa Corte, è ammissibile il ricorso per cassazione con il quale
si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per
prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non
dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito
ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen. (Cass., SU, n. 12602
del 17/12/2015, rv 266819). In motivazione, le Sezioni Unite hanno precisato
che l’ammissibilità del ricorso sussiste anche quando l’interessato non abbia
eccepito la prescrizione dinanzi al giudice di merito e lo abbia fatto solamente col
ricorso in sede di legittimità.
Il ricorrente va comunque condannato alla rifusione delle spese sostenute nel
grado dalla parte civile, stante la sua soccombenza sul merito dell’azione civile.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio agli effetti penali la sentenza impugnata per essere il reato
estinto per prescrizione.

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3. Il motivo relativo alle statuizioni civili è anch’esso inammissibile per manifesta

Rigetta il ricorso agli effetti civili e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese di parte civile, che liquida in euro 1.500, oltre accessori di legge.

Motivazione semplificata.

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