Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21498 del 16/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21498 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: DIOTALLEVI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
MILICI FRANCESCO nato il 26/05/1961 a CATANIA
GIARDINA GIUSEPPE nato il 03/12/1963 a CATANIA

avverso la sentenza del 27/10/2015 del GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di
SIRACUSA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere DIOTALLEVI GIOVANNI;

Data Udienza: 16/05/2016

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITIO

Il GIUDICE UDIENZA PRELIMINARE di SIRACUSA, con sentenza in data 27/10/2015, applicava nei
confronti di MILICI FRANCESCO, GIARDINA GIUSEPPE, la pena concordata dalle parti ex art. 444
c.p.p., in relazione al reato di cui all art. 628 CP (più grave) per il GIARDINA, ed altro.

Propongono ricorso per cassazione gli imputati, deducendo i seguenti motivi:
MILICI FRANCESCO deduce: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato, alla riqualificazione giuridica del fatto,alla configurazione dell’art. 56
attenuanti generiche.
I motivi sono manifestamente infondati;è principio costantemente affermato dalla Suprema Corte,
in tema di patteggiannento, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al
citato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in
cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione
di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nell’enunciazione – anche implicita – che è stata compiuta la verifica richiesta dalle
legge e che non ricorrono le condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 c.p.p. (Sez.
U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007,
Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di specie la sentenza impugnata si è attenuta correttamente al
suddetto principio escludendo espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129
c.p.p.;per consolidato orientamento di questa Corte di legittimità,poi, di recente ribadito dalle
Sezioni Unite (sentenza n. 5838 del 28/11/ 2013, dep. 06/02/2014, in motivazione), in tema di
patteggiamento, il ricorso per cassazione può denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del
fatto, così come prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione
giuridica è materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di
diritto rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. Nondimeno, l’errore sul
nomen iuris deve essere manifesto ed è deducibile nei soli casi in cui sussista l’eventualità che
l’accordo sulla pena si trasformi in accordo sui reati.
La censura relativa alla determinazione della pena concordata – e stimata corretta dal giudice di
merito – non può essere dedotta in sede di legittimità, al di fuori dell’ipotesi di determinazione
contra legem. Ipotesi che, di certo, non ricorre nel caso di specie.

GIARDINA GIUSEPPE deduce: violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento alla ritenuta
responsabilità dell’imputato.
Il motivo è manifestamente infondato; è principio costantemente affermato dalla Suprema Corte, in
tema di patteggiamento, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle ipotesi di cui al
citato art. 129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in
cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione
di cause di non punibilità(Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995, Serafino, Rv. 202270; da ultimo, Sez.
1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di specie la sentenza impugnata si è
attenuta correttamente al suddetto principio escludendo espressamente la sussistenza di una d
cause di cui all’art. 129 c.p.p.

c.p., alla configurazione del reato di cui all’art. 416 c.p., alla mancata concessione delle circostanze

Alla inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della
causa di inammissibilità emergenti dai ricorsi (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), ciascuno al
versamento della somma, che si ritiene equa, di euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processualie

Così deciso il

05/2016

ciascuno della somma di euro duemila alla cassa delle ammende.

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