Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21494 del 12/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21494 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NASTRI MARIO nato il 10/07/1978 a TORRE ANNUNZIATA

avverso la sentenza del 19/01/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;

t

Data Udienza: 12/04/2018

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Il difensore di fiducia di Mario NASTRI propone tempestivo ricorso per

cassazione avverso la sentenza con cui, in data 19.01.2016, la Corte di appello
di Napoli ha confermato la pronuncia del Tribunale dello stesso capoluogo, di
condanna del prevenuto a pena di giustizia per il reato di cui all’art. 341 bis cod.
pen., così diversamente qualificata l’originaria imputazione elevata ai sensi
dell’art. 336 dello stesso codice.
Segnatamente, il legale ricorrente denuncia “difetto assoluto di

volte all’assoluzione del proprio assistito, ovvero alla derubricazione del reato
ritenuto in quello di ingiuria aggravata, ovvero ancora alla riduzione della pena,
con il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche prevalenti rispetto
alla recidiva contestata: ciò avuto riguardo al “forte malessere” che il NASTRI
avvertiva allorché pronunciò le parole incriminate, probabilmente causato dal suo
stato di tossicodipendenza, “circostanza che potrebbe far venir meno la presenza
della volontà di arrecare alla vittima offesa morale …, mentre per quel che
riguarda l’elemento oggettivo le parole proferite dall’imputato non miravano a
sminuire l’operato e l’autorità dei pubblici ufficiali, perché pronunciate all’interno
del carcere”, circostanza comunque asseritamente tale da comportare
l’impossibilità di ravvisare il delitto ritenuto, trattandosi di luogo chiuso e non
aperto al pubblico.
2.

Il ricorso è inammissibile, onde s’impone la relativa declaratoria, con le

consequenziali statuizioni previste dall’art. 616 del codice di rito, nei termini di
giustizia di cui in dispositivo.
Di recente, questa Corte, ribadendo un orientamento risalente ma sempre
valido, ha affermato che, “Ai fini del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la
cella e gli ambienti penitenziari sono da considerarsi luogo aperto al pubblico,
non essendo nel “possesso” dei detenuti, ai quali non compete alcuno “ius
excludendi alios”; tali ambienti, infatti, si trovano nella piena e completa
disponibilità dell’amministrazione penitenziaria, che ne può fare uso in ogni
momento per qualsiasi esigenza d’istituto”

(cfr. Sez. 7, ord. n. 21506 del

16.03.2017, Rv. 269781).
Tanto premesso, per il resto le censure difensive si palesano non
consentite, nella parte in cui pretendono di sostituire la propria lettura a quella
coerentemente compiuta dai giudici di merito, per di più prescindendo dalla
ricostruzione della vicenda, alla stregua della quale emerge che le espressioni
offensive furono pronunciate dal prevenuto all’indirizzo del personale della Polizia
Penitenziaria che, su sua richiesta, lo stava riconducendo in reparto, dopo averlo

motivazione sulle doglianze prospettate dalla difesa nell’impugnato gravame”,

portato nell’infermeria del carcere; allo stesso modo in cui non consentita è la
generica censura in tema di attenuanti generiche, alla luce delle ragioni
rappresentate dalla Corte distrettuale a fondamento della decisione assunta in
proposito.
Sono invece manifestamente infondate, le censure anzidette, nella parte
in cui sollecitano una diversa qualificazione giuridica dei fatti, assolutamente
lineari e senza meno da ricondursi in seno al paradigma delineato dall’art. 341
bis cod. pen.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 3.000,00 alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12.04.2018

P.Q.M.

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