Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21442 del 12/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21442 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
CORSO VINCENZO nato il 18/04/1945 a VIESTE

avverso la sentenza del 18/05/2017 della CORTE APPELLO di BARI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;

Data Udienza: 12/04/2018

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Il difensore di fiducia di Vincenzo CORSO propone impugnazione avverso

la sentenza in data 18.05.2017 con cui la Corte d’appello di Bari – per quanto qui
d’interesse – ha confermato la statuizione di condanna del prevenuto per il reato
di resistenza a pubblico ufficiale.
Deduce il legale ricorrente che l’anzidetta sentenza sarebbe censurabile
sotto i seguenti profili: a) “violazione dell’art. 606, comma 1 lett. e) c.p.p.”, per
via della carenza assoluta di motivazione, rispetto alle doglianze formalizzate con

per pervenire alla conferma della statuizione di condanna, pur in assenza della
stessa oggettività dell’ipotizzato reato, avuto riguardo all’avvenuta consegna del
documento (patente di guida) di cui il prevenuto era stato richiesto, da ciò
discendendo, pur in presenza di “un comportamento sicuramente non esemplare
nei confronti degli agenti della Forestale”, che nessun atto d’ufficio fu
concretamente impedito dall’odierno ricorrente;

b) “violazione dell’art. 606,

comma 1 lett. b) c.p.p.”, in rapporto alla fattispecie di cui all’art. 337 cod. pen.,
nonché “mancanza ed illogicità della motivazione”, circa la sussistenza dei profili
indiziari necessari per addiverire all’affermazione della penale responsabilità
dell’imputato; c) “violazione dell’art. 606 lett. b) c.p.p.”, per via del mancato
ossequio al principio dello “al di là di ogni ragionevole dubbio”;

d) “violazione

dell’art. 606, comma 1 lett. b) c.p.p.”, stante la non rilevata sussistenza della
scriminante degli atti arbitrari del pubblico ufficiale.
2.

Il ricorso va dichiarato inammissibile, con le conseguenti statuizioni

previste dall’art. 616 del codice di rito, nella misura di giustizia specificata in
dispositivo.
Non consentito e generico è il primo profilo di doglianza, che, dopo essersi
diffuso su condivisibili principi astratti, senza alcun riferimento alla specificità
della vicenda per cui è processo, pretende di negare la stessa oggettività del
reato oggetto di condanna sulla scorta della propria personale ricostruzione dei
fatti, dedotta dall’estrapolazione di singoli frammenti di prova testimoniale,
senza un reale confronto con il costrutto della sentenza impugnata, da cui
emerge che l’esibizione della patente avvenne solo dopo l’intervento sul posto di
una pattuglia dei Carabinieri e del difensore dell’imputato, dopo che quest’ultimo
aveva rivolto agli operanti – in particolare all’ass. capo GUERRA – le espressioni
volgari e gravemente intimidatorie riportate nel capo d’imputazione, aggredendo
altresì fisicamente il detto militare, come parimenti contestato. Il che vale a
comprovare, ad un tempo, la palese inconsistenza anche del secondo e del terzo
motivo di censura, al pari di quello finale, non constando in atti – come del resto

l’atto di appello, e della “mancanza e illogicità” delle argomentazioni utilizzate

rilevato anche dalla Corte distrettuale – l’esistenza di alcun atto, da parte degli
operanti, passibile di essere qualificato in termini di arbitrarietà.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 3.000,00 alla cassa delle
ammende.

Così deciso in Roma, il 12.04.2018

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