Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21440 del 12/04/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21440 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
LOCCI ELISEO nato il 14/01/1958 a SAN GIOVANNI SUERGIU
avverso la sentenza del 31/03/2017 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;
Data Udienza: 12/04/2018
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.
Eliseo LOCCI, con atto a propria firma, propone tempestiva impugnazione
avverso la sentenza in data 31.03.2017 con cui la Corte d’appello di Torino ha
confermato la pronuncia del Tribunale dello stesso capoluogo, di condanna a
pena di giustizia, oltre statuizioni civili, in relazione al reato previsto e punito
dagli artt. 340 e 61 n. 9 cod. pen., così diversamente qualificato il fatto oggetto
dell’originaria imputazione elevata ai sensi dell’art. 328 cod. pen.
1.1
Due i motivi di censura formalizzati dal ricorrente: il primo, nell’ordine,
episodio – come, invece, nel caso in esame – ad integrare la materialità del
ritenuto reato di cui all’art. 340 cod. pen., richiedendo quest’ultimo – si
prosegue – che l’alterazione o interruzione sia “riferita al complessivo
svolgimento dell’attività, non già ad una singola fruizione o prestazione”; il
secondo, ex art. 606 lett. c) del codice di rito, per violazione del principio di
correlazione, in proposito sostenendosi che nella motivazione della sentenza
impugnata, “in dispregio della norma di cui all’art. 521 c.p.p., si fa riferimento ad
altra condotta non contestata …, in particolare si parla di ritardo di qualche
minuto che avrebbe gravato sulla generalità degli utenti e non della singola parte
civile”, con conseguente, irreparabile pregiudizio del diritto di difesa.
2.
L’impugnazione illustrata, che reitera critiche già sottoposte al vaglio della
Corte distrettuale e dalla stessa motivatamente disattese, non sfugge ad una
preliminare e doverosa verifica di ammissibilità.
3.
Manifestamente infondato è il primo profilo di doglianza.
La sentenza impugnata ha correttamente argomentato che il reato di cui
all’art. 340 cod. pen. non è integrato unicamente dalla interruzione del servizio,
bensì anche dalla alterazione del suo regolare svolgimento, significando come
detta ultima ipotesi si attagli al caso di specie, avuto riguardo alla sospensione
del servizio che ebbe a determinare l’indebito e disciminatorio comportamento
del LEOCCI (conducente dell’autobus GTT della linea 68 e perciò incaricato di
pubblico servizio, che si rifiutò di aprire la pedana manuale per consentire a
CASTORE Antonio, utilizzatore di carrozzina a motore in quanto affetto da
tetraplegia post-traumatica, dapprima di salire sul mezzo e, successivamente
– dopo che l’utente vi era salito grazie all’aiuto di un passeggero – di scendervi,
“in violazione del punto C8 regolamento di esercizio G7T’); alla sostanziale e
discriminatoria negazione del diritto di quest’ultimo di poter regolarmente fruire
del servizio pubblico; alla inevitabile ricaduta sulla totalità dell’utenza,
accentuata dal fatto che quella di cui trattasi era ragionevolmente l’ultima corsa
per violazione di legge, non essendo asseritamente sufficiente un singolo
utile della linea, quel giorno essendo stato proclamato uno sciopero nel servizio
pubblico. Il che risulta coerente all’insegnamento della giurisprudenza di
legittimità, secondo cui cui il reato in esame tutela, appunto, anche “l’ordinato
svolgimento” del servizio pubblico, “sicché ai fini della sussistenza dell’elemento
oggettivo non ha rilievo che la interruzione sia stata temporanea o che si sia
trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento del servizio stesso”
(cfr. Sez. 6, sent. n. 44845 del 26.10.2007, Rv. 238096), ben potendo venire in
considerazione a tal fine “anche un’interruzione momentanea, purché di durata
sent. n. 15388 del 06.03.2014, Rv. 260217).
3.1
Eguale valutazione di manifesta infondatezza s’impone anche in relazione
alla seconda censura.
Il fatto di reato, ritenuto già con la prima sentenza di merito, coincide
esattamente con quello cristallizzato nel capo d’accusa, onde nessuna
innmutazione può essere fondatamente lamentata, essendo appena il caso di
puntualizzare che il ritardo, scaturito dalla condotta dell’odierno ricorrente, è
insito nella espressa contestazione, a carico dell’imputato, di aver rifiutato, nella
già indicata veste, “un atto del suo ufficio che, per ragioni di sanità, doveva
essere compiuto senza ritardo”, di seguito specificato nel descritto rifiuto di
aprire la pedana manuale per far salire e, poi, per far scendere, il CASTORE,
affetto da grave disabilità; mentre, per ciò che concerne la ricaduta sull’utenza in
generale, trattasi di un dato implicito nel riferimento – del pari presente nel
formale addebito – tanto all’autobus di linea che fu teatro della condotta
incriminata, quanto all’intervento di un passeggero per ovviare all’iniziale,
ostinato ed ottuso rifiuto dell’imputato di compiere ciò a cui era tenuto per
regolamento. Non senza puntualizzare, conclusivamente, che non un
accertamento in fatto è stato sollecitato innanzi alla Corte distrettuale, come
pure avrebbe potuto fare l’imputato, dopo il mutamento della qualificazione
giuridica ad opera del Tribunale, all’esito della camera di consiglio.
4.
Seguono, ex lege, le statuizioni previste dall’art. 616 del codice di rito,
così come specificate in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed al versamento della somma di C 3.000,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12.04.2018
non irrilevante, o un turbamento relativo, purché non insignificante” (v. Sez. 5,