Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21438 del 12/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21438 Anno 2018
Presidente: PETRUZZELLIS ANNA
Relatore: TRONCI ANDREA

ORDINANZA
sui ricorsi proposti da:
CATERINO LUIGI nato il 05/01/1952 a AVERSA
CATERINO ADOLFO nato il 04/03/1984 a NAPOLI

avverso la sentenza del 22/06/2016 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA TRONCI;

Data Udienza: 12/04/2018

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.

Il difensore di fiducia di Luigi CATERINO e del di lui figlio Adolfo, a mezzo

di un unico atto nell’interesse di entrambi i propri assistiti, propone tempestivo
ricorso per cassazione avverso la sentenza con cui la Corte di appello di Napoli,
in data 22.06.2016, ha confermato la pronuncia del giudice monocratico del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, di condanna dei prevenuti a pena di
giustizia, in relazione al contestato reato di esercizio arbitrario delle proprie
ragioni, ex art. 393 cod. pen.

a) da violazione di legge e vizio di motivazione, quanto alla ritenuta assenza
di incongruenze di sorta nelle dichiarazioni testimoniali valorizzate in
funzione della disposta condanna, nonostante si fosse obiettato, a mezzo
dell’appello a suo tempo proposto, che quanto riferito,

de relato, dalle

persone offese, non aveva “trovato riscontro nel racconto della teste
SORBO (unica presente ai fatti)”, oltre a non essere state adeguatamente
apprezzate, “sotto l’aspetto sia della credibilità soggettiva che della
intrinseca attendibilità”;
b) da ulteriore violazione di legge e vizio di motivazione, “in relazione alla
ritenuta responsabilità per il delitto di cui all’art. 393 c.p.”, alla stregua
del reale contenuto delle deposizioni dei testi poste a fondamento della
censurata pronuncia, a tal fine passate singolarmente in rassegna;
c) da violazione di legge ed inosservanza di norme processuali, rilevanti ai
sensi dell’art. 606 lett. b) e c) cod. proc. pen., “con riferimento alla
mancata dichiarazione di inutilizzabilità delle dichiarazioni riportate nel
verbale di individuazione di persona” da parte del teste SORBO presso la
Questura di Caserta, il consenso all’acquisizione essendo stato a suo
tempo asseritamente formulato solo in relazione “all’atto di ricognizione
fotografica di persona e non certamente alle dichiarazioni in esso
contenute”.

2.

Il ricorso proposto va dichiarato inammissibile, con le connesse statuizioni

di cui in dispositivo, a mente dell’art. 616 cod. proc. pen.
La prima delle tre doglianze sopra illustrate altro non è se non la
reiterazione di quella già sottoposta al vaglio della Corte distrettuale e dalla
stessa motivatamente disattesa, attraverso il rilievo della intrinseca coerenza
della parola delle persone offese, della pur sintomatica mancata costituzione
delle stesse quali parti civili, della piena consonanza con le dichiarazioni della

Secondo il legale ricorrente, la pronuncia impugnata sarebbe inficiata:

teste SORBO, che costituiscono il nucleo centrale del ragionamento svolto dalla
impugnata sentenza.
Per certo non consentita è la doglianza ulteriore, con cui la difesa – al di
fuori di qualsivoglia eccezione di travisamento della prova – pretende di
accreditare la propria lettura delle risultanze istruttorie, sulla base della sintesi
da essa stessa compiuta, ovvero mediante l’estrapolazione di singole frasi o
espressioni dal contesto della integrale deposizione testimoniale.
Infine, in ordine alla terza ed ultima censura, rileva il Collegio che la

caso, ad una valutazione di genericità, poiché la difesa non ha in alcun modo
chiarito l’incidenza del preteso vizio sul complessivo compendio indiziario (cfr.,
per tutte, Sez. Un., sent. n. 23868 del 23.04.2009, ric. Fruci, Rv. 243416, cui si
è poi uniformata la giurisprudenza successiva), tenuto conto che la sentenza
impugnata è chiara nel significare che le dichiarazioni della SORBO vanno
apprezzate in uno non solo con quanto dalla medesima precisato nel verbale di
individuazione di persona – cui si riferisce la contestazione in esame – bensì
anche alla luce di quanto dalla stessa rappresentato nell’immediatezza al proprio
datore di lavoro (e persona offesa, Raffaele PELLICCIA), che ne ha a sua volta
riferito in dibattimento.
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di € 3.000,00 alla cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, il 12.04.2018

stessa, formulata per la prima volta nella presente sede, non si sottrae, in ogni

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