Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21414 del 18/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21414 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
ACRI NICOLA, nato a SONDRIO, il 14.4.1979;
avverso la sentenza n. 21189/2014 della Corte di Cassazione del 17.4.2015 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola Filippi
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ;
udito per l’imputato l’Avv. Giuseppe De Marco, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Cassazione, per quanto qui di interesse, aveva
annullato la sentenza di condanna della Corte d’Assise di Appello di Catanzaro nei confronti di
ACRI NICOLA limitatamente ai reati di cui ai capi nn. 1, 2 e 3, rinviando per nuovo giudizio in
ordine a tali reati e al trattamento sanzionatorio ad altra sezione della Corte di Assise di
Appello di Catanzaro e aveva rigettato nel resto il ricorso dell’odierno ricorrente.
Avverso la predetta sentenza ricorre, ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., il predetto Acri Nicola,
adducendo due motivi di doglianza.
1.1 Con il primo si denunzia violazione di legge, ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p., in relazione
agli artt. 157 e seg. c.p. e 129 c.p.p.. Si duole il ricorrente dell’erronea motivazione in ordine
alla mancata rilevazione della prescrizione in relazione ai capi di imputazione di cui ai numeri
14 e 15 della rubrica ( reati previsti dagli artt. 110, 112, 81, 61 n. 2, c.p. e I. 497/1974 e 648
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Data Udienza: 18/04/2016

c.p. ), sebbene, sulla base della legge cd. Cirielli più favorevole, il tempo per la estinzione dei
reati per intervenuta prescrizione fosse orami maturato.
2.2 Con il secondo motivo si duole il ricorrente della violazione di legge e dell’obbligo di
motivazione ai sensi dell’art. 625 bis c.p.p. in relazione agli artt. 24 e 111 Cost. e all’art. 6
Cedu, nonché in relazione agli artt. 24 e 111 Cost., 187 e ss. c.p.p. e 530, comma 2, c.p.p. e
533, medesimo codice. Si duole il ricorrente, in relazione all’omicidio Forastefano, che la
testimonianza della Pietrangeli doveva considerarsi idonea a contrastare il narrato dei cd.

assunzione, nonostante l’assunzione del verbale di s.i.t. da parte della Corte di Assise
d’Appello, doveva ritenersi una manchevolezza censurabile ai sensi del sopra richiamato art.
625 bis c.p.p..

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 Già il primo motivo di doglianza è formulato in modo inammissibile.
Osserva la Corte come il motivo di doglianza in relazione alla dedotta prescrizione è stato
proposto in mondo generico, e ciò con particolare riferimento alla indicazione della data di
commissione dei delitti dei quali si assume il decorso del termine prescrizionale, indicazione
che, peraltro, nel caso di specie non è ricavabile aliunde dal fascicolo processuale e che,
riguardando l’odierno ricorso un procedimento ex art. 625bis c.p.p., onerava il ricorrente della
precisa allegazione dei necessari elementi di valutazione per rilevare la dedotta prescrizione.
Peraltro, non va neanche dimenticato che non è proponibile il ricorso straordinario per errore di
fatto, ex art. 625 bis cod. proc. pen., per rimediare all’omessa rilevazione da parte della Corte
di cassazione della prescrizione del reato qualora essa non sia stata dedotta in giudizio e non
sussista alcuna evidenza in ordine al mancato esame di vicende processuali che abbiano inciso
sulla determinazione del termine di prescrizione, in quanto, in tal caso, non ricorre un errore
percettivo su un fatto processuale che abbia condizionato detta omissione tale da legittimare il
ricorso al rimedio di cui all’art. 625 bis cod. proc. pen. ( Cass., Sez. 5, n. 13279 del
25/01/2011 – dep. 30/03/2011, Besim, Rv. 249949).
3. Ma anche il secondo motivo di doglianza è inammissibile.
3.1 Sul punto, giova ricordare che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, con il ricorso
previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen., non possono essere dedotti i vizi di motivazione della
decisione della Corte di cassazione, in quanto il rimedio straordinario è ammesso per la
correzione di errori di fatto, che si verificano quando la sentenza impugnata sia viziata per
effetto di una falsa rappresentazione della realtà a causa di una inesatta percezione di essa
risultante dalla stessa sentenza o dagli atti processuali riguardanti il giudizio di legittimità, da
cui deriva una erronea supposizione che dà luogo alla affermazione dell’esistenza di un fatto
sicuramente escluso ovvero dell’inesistenza di un fatto indiscutibilmente accertato ( in un caso,
la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso in cui erano state prospettate erronee valutazioni
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collaboratori e prova decisiva ai fini della sua assoluzione e che la negazione della sua

sulla attendibilità di un collaborante e delle sue dichiarazioni nonché l’omesso esame di
dichiarazioni rese da altri soggetti : Cass., Sez. 6, n. 18216 del 10/03/2003 – dep.
16/04/2003, Aragona, Rv. 225258 ). Ed invero, l’errore di fatto verificatosi nel giudizio di
legittimità ed oggetto del rimedio previsto dall’art. 625 bis cod. proc. pen. consiste in un errore
percettivo causato da una svista o da un equivoco e postula inderogabilmente che lo sviamento
della volontà del giudice sia non solo decisivo, ma anche di oggettiva immediata rilevabilità,
nel senso che il controllo degli atti processuali deve far trasparire, in modo diretto ed evidente,

non corretto apprezzamento di quegli atti, nel qual caso la qualificazione appropriata è quella
corrispondente all’errore di giudizio. Ne consegue che l’omesso esame di un motivo di ricorso
non dà causa ad errore di fatto, ne’ determina incompletezza della motivazione della sentenza,
quando, pur in mancanza di espressa disamina, la censura debba considerarsi implicitamente
disattesa perché incompatibile con la struttura e l’impianto della motivazione, nonché con le
premesse, logiche e giuridiche, che compendiano la ” ratio decidendi” della sentenza
medesima; è invece riconducibile nella figura dell’errore di fatto quando sia dipeso da una vera
e propria svista materiale, ossia da una disattenzione di ordine meramente percettivo, che
abbia causato l’erronea supposizione dell’inesistenza della censura, la cui presenza, viceversa,
sia immediatamente ed oggettivamente rilevabile in base al semplice controllo del contenuto
del ricorso ( Cass., Sez. 4, n. 34156 del 21/06/2004 – dep. 10/08/2004, Baini, Rv. 229099 ).
2.2 Ciò posto, osserva la Corte come, nella fattispecie in esame, la parte ricorrente non abbia
in alcun modo allegato, come motivo di ricorso, un errore di percezione in fatto della vicenda
processuale già esaminata dal giudice di legittimità, come già sopra evidenziato, ma abbia, al
contrario, proposto un ulteriore motivo di censura in ordine alla già ritenuta non rilevanza della
decisività della prova testimoniale della Pietrangeli in riferimento all’omicidio Forastefano, con
ciò cercando di introdurre un ulteriore grado di giudizio di legittimità non consentito
dall’ordinamento processuale.
4. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento,
in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro
2000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18.4.2016

che la decisione è stata condizionata dall’inesatta percezione e non dall’errata valutazione o dal

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