Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21413 del 18/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21413 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ABBRESCIA NICOLA N. IL 20/05/1984
avverso l’ordinanza n. 1332/2015 TRIB. LIBERTA’ di BARI, del
06/11/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO
STANISLAO SCARLINI;
lette/sentite le conclusioni del P Dott.

dze/copt,

Uditi difens r Avv.;

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Data Udienza: 18/04/2016

RITENUTO IN FATTO
1 – Con ordinanza del 6 novembre 2015 il Tribunale di Bari, sezione per il
riesame, giudicando in sede di rinvio a seguito della sentenza di annullamento di
questa Corte del 18 settembre 2015, confermava l’ordinanza di custodia
cautelare in carcere emessa dal Giudice per le indagini preliminari del medesimo
Tribunale, il 13 febbraio 2015, nei confronti di Nicola Abbrescia, con la sola
esclusione della configurabilità dell’aggravante prevista dall’art. 7 della legge 12
luglio 1991 n. 203.

110, 575, 577 comma 3, cod. pen. e 7 I. 203/1991, per avere cagionato la morte
di Donato Sifanno, componendo il “gruppo di fuoco” che lo aveva attinto con
plurimi colpi d’arma automatica, in Bari il 15 febbraio 2014. Era inoltre indagato
dei collegati delitti di porto e detenzione dell’arma nell’occasione utilizzata.
2 – La pronuncia di annullamento di questa Corte derivava dalla
considerazione che, a carico dell’indagato, vi era un unico indizio, desunto da
una conversazione intercettata in carcere fra Giuseppe Misceo, il presunto
mandante dell’omicidio, e sua moglie, Cecilia Dionisio, nel corso della quale la
donna aveva riferito al marito, per averlo saputo da tale “Francesco”, che
l’Abbrescia aveva fatto parte del gruppo di fuoco che aveva ucciso il Sifanno.
Tale conversazione però non risultava auto-evidente, sia perché nella
conversazione, intellegibile solo a tratti, non era dato ricavare con la dovuta
certezza che i due si riferissero proprio all’azione omicidiaria condotta contro il
Sifanno, sia perchè non era certo che la fonte della donna, il nominato
“Francesco”, fosse proprio quel Mastrogiacomo che era accusato di avere
anch’egli partecipato all’agguato.
3 – La nuova decisione del Tribunale del riesame muove dalle seguenti
considerazioni.
L’omicidio doveva inquadrarsi nei contrasti insorti fra i clan camorristi
operanti nel quartiere San Paolo di Bari, il gruppo Montani-Misceo-Telegrafo ed il
gruppo Mercante-Vavalle. Il mandante dell’omicidio era, infatti, Giuseppe Misceo,
una delle figure di punta del primo gruppo mentre la vittima era vicina al
secondo.
L’organigramma dei gruppi, la loro composizione, le loro alleanze, le loro
attività criminali ed i loro contrasti erano stati riferiti da due collaboratori di
giustizia, Lorenzo Laraspata e Faustina Iaccarini.
Ad essi, nel corso delle indagini ulteriori (svolte in epoca successiva alla
prima decisione del Tribunale del riesame, annullata da questa Corte), si era
aggiunto il contributo di un altro collaboratore di giustizia, Domenico Mercurio, le
cui dichiarazioni era state, pertanto, prodotte nel giudizio cautelare di rinvio, ad
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Abbrescia era indagato, in concorso con altri, del delitto previsto dagli artt.

arricchimento del quadro probatorio sul quale questa Corte aveva, in
precedenza, deciso.
Il contributo indiziario fornito dai collaboratori di giustizia era il seguente:
– Lorenzo Laraspata aveva affermato che l’indagato, Nicola Abbrescia, era
inserito nel gruppo malavitoso che faceva riferimento a Nicola Telegrafo, un
gruppo dedito allo spaccio di sostanze stupefacenti nella zona di viale Europa,
sempre nella città di Bari, in accordo ed alleanza con il gruppo criminale
capitanato da Giuseppe Misceo, del quale ultimo egli stesso, Laraspata, faceva

– Faustina Iaccarini aveva riferito di avere fatto parte del clan del Misceo
svolgendo compiti inerenti il maneggio del denaro ricavato dal traffico di
stupefacenti e dall’attività estorsiva, ed aveva così confermato il ruolo apicale nel
gruppo di Giuseppe Misceo; aveva, inoltre, ricordato inoltre che, fra gli alleati del
Misceo, si annoverava anche Francesco Pace, a capo, a sua volta, di un altro
gruppo malavitoso;
– Domenico Mercurio riferiva:
– che aveva fatto parte, appunto, del gruppo criminale capeggiato da
Francesco Pace, che questo clan era alleato del gruppo Misceo, che alleato del
Misceo era anche Arcangelo Telegrafo (ed il suo clan),

che, nel clan Misceo, era inserito anche Emanuele Grimaldi (altro

soggetto indagato dell’omicidio Sifanno);
– che l’omicidio Sifanno era stato deciso dal Misceo, in quanto questi
aveva avuto dei contrasti con i Telegrafo entrati a far parte del suo gruppo;
– che vi erano stati più tentativi di cogliere di sorpresa il Sifanno,
ovviamente non andati a buon fine;
– che, a seguito dei falliti agguati, vi era stata una riunione, a casa
del Misceo (mentre questi era detenuto), a cui egli aveva personalmente
partecipato, presenti la moglie di Misceo, Cecilia Dionisio, Emanuele Grimaldi,
Arcangelo Telegrafo e Francesco Pace, nella quale si era deciso di continuare la
“caccia” al Sifanno.
Il Tribunale del riesame, nell’ordinanza impugnata, rilevava che il contributo
fornito dal Mercurio, quindi, consentiva di lumeggiare ancor meglio le
responsabilità degli indagati per l’omicidio del Sifanno tanto che, in sede
cautelare, diveniva definitiva, quanto alla sussistenza del quadro indiziario, la
posizione dei coindagati Arcangelo Telegrafo, Francesco Mastrogiacomo ed
Emanuele Grimaldi. Così finendo per rafforzare anche il complessivo quadro
indiziario a carico di Nicola Abbrescia.
Il Tribunale per il riesame ribadiva inoltre la decisiva valenza indiziaria, a
carico dell’Abbrescia, della conversazione intercorsa in carcere fra Misceo e la
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parte;

moglie Cecilia Dionisio, che doveva essere interpretata, con sufficiente certezza,
nel senso che la moglie avesse riferito al marito i nomi di coloro che avevano
materialmente eseguito l’omicidio Sifanno, nomi a lei comunicati da “Francesco”
(che doveva individuarsi nel Mastrogiacomo), fra i quali pronunciava quello di
Nicola Abbrescia.
La conferma della composizione del gruppo di fuoco dell’omicidio di Sifanno
proveniva anche da una conversazione intercorsa ancora in carcere ma fra i
fratelli Donato e Arcangelo Telegrafo, nel corso della quale il secondo aveva

U’Grec (Mastrogiacomo) e Lillino (Emanuele Grimaldi). Ne mancava quindi uno.
Che doveva ritenersi essere l’Abbrescia.
Il giudice del rinvio poi traeva convincente riscontro degli indizi a carico
dell’odierno ricorrente anche dallo scambio di sms fra la madre di Abbrescia e la
madre dei Telegrafo, messaggi da cui traspariva il timore che le donne nutrivano
di nuove rappresaglie, che avrebbero potuto coinvolgere i loro figli ma anche loro
stesse (e, quindi, che l’omicidio Sifanno potesse creare una nuova spirale di
violenza).
Il Tribunale del riesame, infine aggiungeva altri due elementi a carico
dell’Abbrescia:

subito dopo l’omicidio l’indagato aveva momentaneamente mutato

abitazione;
– il 6 maggio 2014, l’indagato era stato intercettato, mentre attendeva in
caserma di essere interrogato sull’omicidio Sifanno, e, discorrendo con i presenti,
Telegrafo e Mastrogiacomo (che, invece, cercavano di concordare fra loro gli
orari da riferire per crearsi un alibi che era stato poi smentito), non si era affatto
preoccupato di sostenere la propria estraneità ad un fatto di tale gravità, ma si
era solo preoccupato di ricostruire quanto aveva fatto e dove era stato quella
sera.
Tutto ciò premesso, il Tribunale del riesame, come giudice di rinvio,
riteneva di avere superato i difetti di motivazione che avevano condotto
all’annullamento della precedente ordinanza e, escludendo solo l’aggravante
contesta ai sensi dell’art. 7 legge n. 203 del 1991 (perché era emerso che
l’omicidio non derivava dalla presunta necessità di controllo del territorio ma solo
dal fatto, sostanzialmente privato, che Misceo aveva deciso di vendicarsi dello
Sifanno che, in risposta ad una precedente “gambizzazione”, dovuta ai suoi
contrasti con i Telegrafo, aveva esploso dei colpi d’arma da fuoco proprio contro
l’abitazione dei coniugi Misceo e Dionisio), aveva confermato l’ordinanza del
Giudice per le indagini preliminari di applicazione della misura cautelare
personale massima.
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riferito al primo che quel giorno avevano agito in quattro, lui stesso Arcangelo,

2 – Propone ricorso Nicola Abbrescia, a mezzo del proprio difensore.
Con l’unico motivo deduce violazione di legge e difetto di motivazione in
relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.
Premesso che la decisione sull’aggravante era ultronea essendo già stata in
precedenza esclusa, lamenta che il giudice del rinvio non aveva superato le
obiezioni mosse alla precedente conferma dell’ordinanza custodiate da parte della
Corte di legittimità.
Doveva infatti sottolinearsi come il nuovo collaboratore di giustizia,

componenti del clan Misceo, e tantomeno l’aveva inserito nel gruppo di fuoco che
aveva consumato l’omicidio Sifanno. Pur essendo egli, Mercurio, a conoscenza
del fatto avendovi svolto il ruolo di basista.
Non si era poi superata l’obiezione della Corte suprema circa la
frammentarietà della conversazione fra i coniugi Misceo, pur se si era
riconosciuto che non vi era certezza che l’espressione “condannato” si riferisse al
Sifanno.
Era illogico che il mandante ed il capo clan non conoscessero già i nomi di
chi aveva partecipato all’agguato ed era altrettanto illogico che i due coniugi
parlassero così apertamente dei protagonisti di un omicidio. Del tutto
inattendibile era anche la circostanza che “Francesco” avesse riferito al telefono
alla Dionisio i particolari di un omicidio. Peraltro le utenze della Dionisio e del
Mastrogiacomo, il supposto “Francesco”, erano intercettate e tale conversazione
non era emersa.
Restava pertanto meramente assertiva la conclusione che la fonte della
Dionìsio fosse Francesco Mastrogiacomo.
Ed inoltre, trattandosi di fonte de relato, non erano stati individuati gli
elementi di riscontro esterni richiesti dalla Corte di Cassazione. Riscontri che non
potevano essere gli sms scambiati dalle due madri (di Abbrescia e dei Telegrafo)
già ritenuti dalla Corte di legittimità equivoci nel loro significato e passibili,
quanto al trasferimento dell’indagato in altro appartamento, delle alternative
spiegazioni prospettate dalla difesa.
Del resto le due madri temevano di essere anch’esse un bersaglio ma anche
unitamente alla madre di altro soggetto.
Vi era inoltre incompatibilità logica fra la ribadita esclusione dell’aggravante
e l’illustrato contesto in cui sarebbe maturato l’omicidio.
Dall’intercettazione dell’Abbrescia, prima di essere sentito in caserma,
emergeva solo il suo tentativo di ricordarsi dove aveva passato la sera
dell’omicidio e non la volontà di concordare con altri una versione dei fatti di
comodo.
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Domenico Mercurio, non aveva neppure citato l’Abbrescia come uno dei

Né si era tenuto conto che non era stato individuato il coinvolgimento
dell’indagato in alcuno dei precedenti tentativi di realizzare l’agguato a danno del
Sifanno, così da doversi comunque escludere, nei suoi confronti, almeno
l’aggravante della premeditazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato e l’ordinanza impugnata va pertanto annullata, senza
rinvio non rinvenendosi ragioni per sollecitare al giudice del riesame una nuova
verifica dei medesimi indizi ritenuti da questa Corte, ancora, insufficienti.

Tribunale del riesame che lo illustra, che aveva determinato il precedente
annullamento di questa Corte per la sua insufficienza.
2 – Non si sono infatti superate una serie di obiezioni.
2 – 1- La conversazione intercorsa in carcere (sei giorni dopo l’omicidio) fra
il capoclan (e mandante dell’omicidio Sifanno) Giuseppe Misceo e la moglie
Cecilia Dionisio ha mantenuto intatta la propria equivocità. Anzi, dal nuovo
esame, emerge l’impossibilità di ricollegare, con sufficiente certezza, la prima
(ed unica) frase, ritenuta significativa del fatto che si stesse parlando
dell’omicidio per cui è processo, al prosieguo della conversazione.
E così, quando la Dionisio ricorda “quello hanno condannato”, non è più
certo che intenda riferirsi al Sifanno.
Il resto della conversazione, allora, assume un significato ancor meno
stringente ed inequivoco.
Poco comprensibile appare, nell’ottica che “Francesco” sia Mastrogiacomo e
che, soprattutto, si stia parlando dell’omicidio Sifanno (che Mastrogiacomo
avrebbe contribuito a consumare per ordine del Misceo), la frase con cui lo
stesso Misceo avrebbe introdotto il discorso dell’omicidio:
gliene dicono ora .. il bordello !”.

“a Francesco quante

E ciò in considerazione del fatto che il

“bordello”, ipoteticamente conseguente alla consumazione dell’omicidio Sifanno,

avrebbe dovuto, molto più realisticamente, riversarsi sullo stesso Misceo che ne
aveva ordinata l’eliminazione, piuttosto che sul “Francesco” che si era limitato ad
eseguirne gli ordini.
A quel punto la Dionisio aveva indicato tre nomi (a lei riferiti, in una
conversazione telefonica, da “Francesco”): Francesco stesso, Telegrafo e Nicola
Abbrescia (” Francesco mi ha detto tutto ! tutto ! … mi ha detto tutto il fatto ! …
Lui.. Telegrafo eeee … e quello …Nicola! … Nicola Abbrescia!”.)

Un frase che certo accumuna i tre in qualche vicenda, anche illecita (vista la
prudenza adottata nel parlare), che deve essere festeggiata (come si comprende
dalle frasi successive) ma che è arduo dedurre debba trattarsi, con sufficiente
certezza, proprio dell’omicidio Sifanno, visto che si tratta di soggetti che operano
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1 – Ben poco sono infatti mutati il quadro indiziario e la motivazione del

nell’ambito di clan malavitosi camorristici e che sono accusati di svolgere una
pluralità di fatti illeciti, dal traffico di stupefacenti alle estorsioni.
Resta pertanto, quella conversazione, un indizio non scevro da elementi di
equivocità.
E è, nuovamente, come già rilevato da questa Corte, l’unico elemento
realmente individualizzante la responsabilità di Nicola Abbrescia nei delitti
contestatigli.
2 – 2 – Il quadro indiziario su cui si fonda il nuovo giudizio del Tribunale del

con la sola eccezione del dictum del nuovo collaboratore di giustizia, Domenico
Mercurio.
Questi però non ha apportato alcun elemento a specifico carico
dell’indagato Abbrescia.
Certo ha confermato che l’omicidio Sifanno era stato consumato per ordine
del Misceo ed ha anche riferito di avere personalmente partecipato ad una
riunione in cui si era deciso di tentare un nuovo agguato per realizzarlo. E che a
tale riunione erano presenti una serie di soggetti.
Fra costoro, però non vi era l’Abbrescia. Al quale il Mercurio non fa, per
quanto riportato nell’ordinanza impugnata, accenno alcuno, né individuandone
un ruolo nell’omicidio Sifanno, né inserendolo in alcun gruppo criminale e
neppure dichiarando di conoscerlo.
E, quindi, da tale nuova fonte, sulla quale la difesa ha accettato il
contraddittorio, non si può ricavare alcun elemento indiziante che ricolleghi
l’Abbrescia alle condotte contestategli.
2 – 3 – Gli ulteriori elementi indiziari ricordati dell’ordinanza impugnata
erano già stati ritenuti, nella precedente sentenza di questa Corte, anche
verificandone il complessivo portato, non sufficientemente gravi e precisi per
fornite adeguato apparato giustificativo alla misura applicata.
Non lo erano né la breve assenza di comunicazioni in entrata ed uscita dal
telefono dell’Abbrescia (mancando i dati della messaggistica), né il trasferimento
dell’imputato in altro appartamento peraltro dello stesso stabile (nel quale
avrebbe potuto esser rapidamente reperito, abitando nel medesimo palazzo la
madre e la moglie), né l’equivoca conversazione (intrattenuta tramite sms) fra la
madre dell’indagato e la madre dei fratelli Telegrafo (posto che si faceva cenno
al coinvolgimento nei timori di rappresaglie anche alla madre di soggetto ritenuto
del tutto estraneo all’omicidio Sifanno), né l’intercettazione dell’Abbrescia in
caserma (del tutto neutra, avendo egli cercato solo di ricordare dove si trovava
la sera dell’omicidio, pur avendo accanto Mastrogiacono e Arcangelo Telegrafo

riesame è infatti identico a quello oggetto del precedente vaglio di questa Corte,

che, al contrario, cercavano di concordare fra loro degli orari per poter affermare
di essere stati lontani da Bari la sera dell’omicidio Sifanno).
Non lo è neppure la conversazione intercorsa fra i due fratelli Telegrafo in
carcere, nel corso della quale, secondo l’ordinanza impugnata, i due interlocutori
avrebbero individuato il gruppo di fuoco che avrebbe consumato l’omicidio
Sifanno (qui può dirsi che si faccia riferimento al fatto di sangue posto che i due
avevano anche ricordato il tentativo di Arcangelo di costruirsi un alibi, recandosi
ad assistere ad una partita di calcio a centinaia di chilometri di distanza, come

stesso, Francesco Mastrogiacomo e Emanuele Grimaldi, accennando al fatto che
vi avrebbe partecipato una quarta persona, perché non si può, con sufficiente
grado di certezza, riempire il silenzio tenuto sul nome del quarto componente il
gruppo con la diversa (e ben più equivoca) conversazione intercorsa fra Misceo e
Dionisio, in cui ai nomi di Telegrafo e Mastrogiacomo si era aggiunto quello di
Abbrescia. Ancora in considerazione del fatto che plurime potevano essere le
spiegazioni (del formarsi di un gruppo fra persone dedite al crimine) alternative.
3 – Così che il quadro indiziario a carico dell’Abbrescia resta del tutto
insufficiente a fornire adeguato supporto giustificativo alla restrizione della
libertà personale e non vi sono ragioni per ritenere che un suo ulteriore esame
possa condurre ad esiti diversi.
P.Q.M.
Annulla senza invio il provvedimento impugnato e dispone l’immediata
liberazione di Abbrescia Nicola se non detenuto per altra causa.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2016.

era in effetti avvenuto nelle ore successive all’agguato), in Arcangelo Telegrafo

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