Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21406 del 13/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21406 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FACINELLI ROBERTO N. IL 19/04/1960
avverso l’ordinanza n. 963/2015 TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE, del
28/07/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;
le /Sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 13/11/2015

Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 28/07/2015 il Tribunale di Firenze ha rigettato la richiesta
di riesame proposta nell’interesse di Roberto Facinelli avverso l’ordinanza con la
quale il G.i.p. di tale Tribunale aveva applicato nei confronti dell’indagato la
misura della custodia cautelare in carcere.
2. Nell’interesse del Facinelli è stato proposto ricorso per cassazione, affidato ai
seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo si lamentano vizi motivazionali, in relazione alla ritenuta

Il ricorrente rileva: a) quanto al pericolo di inquinamento probatorio che il
contributo del Facinelli si era dispiegato unicamente nel momento ideativo della
bancarotta, con la conseguenza che, anche in ragione del tempo decorso e del
fatto che le indagini preliminari sono ormai concluse, non erano ravvisabili la
concretezza e l’attualità del pericolo di connpronnissione della genuinità della
prova, ascrivibile ad una condotta dell’indagato; b) che comunque non era
indicato alcun termine di durata di efficacia della misura; c) quanto al pericolo di
reiterazione di reati, che non era ravvisabile il requisito dell’attualità, non
correlabile, al pari di quello della concretezza, alla gravità del titolo di reato e
che, al contrario, doveva misurarsi anche con la personalità dell’indagato; d)
che le considerazioni svolte dal Tribunale in relazione alle attività distrattive
ancora in corso erano inconferenti, in quanto non investivano la posizione
dell’indagato, mentre quelle fondate sul rinvenimento di una

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contenente alcuni files che a lui si riferivano, non consideravano il suo ruolo di
legale storico degli indagati e la circostanza che il supporto informatico,
rinvenuto nel gennaio 2015, non avesse subito modifiche dal giugno del 2013.
2.2. Con il secondo motivo, si lamentano vizi motivazionali e violazione di legge,
in relazione alla ritenuta inadeguatezza di altre misure cautelari meno afflittive,
valorizzando il fatto: a) che l’attività dell’indagato si era dispiegata solo nella
fase ideativa; b) che egli non aveva mai gestito le complesse vicende societarie
né era emersa una sua particolare competenza informativa; c) che altro
coindagato aveva svolto un ruolo direzionale, attraverso una costante
partecipazione alle attività successive al fallimento, finalizzata anche ad
assicurare il profitto del reato; d) che quest’ultimo era parso meritevole della
misura attenuata degli arresti donniciliari; e) che il giudizio di adeguatezza deve
essere condotto con riferimento alla gravità del reato e alla personalità
dell’indagato.
2.3. Con il terzo motivo si Lamentano vizi motivazionali e violazione di legge, con
riferimento alla mancata valutazione della spontanea consegna del passaporto e
l’estraneità dell’indagato a qualunque azione che richiedesse viaggi
1

sussistenza delle esigenze cautelari, argomentata sulla base di mere congetture.

extracomunitari. Con ulteriore articolazione si osserva che tale profilo era stato
trascurato dall’ordinanza genetica, con la conseguenza che il Tribunale, senza
alcuna possibilità di integrazione motivazionale, doveva limitarsi a disporne
l’annullamento.

Considerato in diritto
1. Il primo e il terzo motivo di ricorso, esaminabili congiuntamente per la loro
stretta connessione logica, sono infondati.
Le considerazioni dedicate dal Tribunale, nella parte dell’ordinanza che si occupa

Facinelli nella fase ideativa del progetto di spoliazione della società fallita con
distrazione all’estero dei profitti, riverberano razionalmente il loro significato
anche sul piano delle esigenze cautelari, giacché l’attualità del pericolo di
reiterazione e di inquinamento probatorio si coglie proprio nella perdurante
condotta materialmente posta in essere da terzi e finalizzata alla prosecuzione
dell’attività crimininale.
Il ricorrente, in definitiva, aspira a sminuire il suo contributo, ponendo in
secondo piano il rilievo che le conclusioni dell’ordinanza impugnata sono
logicamente sorrette proprio dal ricordato ruolo di legale storico della famiglia
Dradi assunto dal Facinelli e, in definitiva, da una partecipazione che non si
caratterizza per minore intensità, in quanto concentrata sul versante ideativo
delle attività delittuose.
In tale prospettiva, proprio il ricostruito ruolo di coordinamento tra i coindagati
che si sono sottratti alla cattura rende assolutamente irrilevante la consegna del
passaporto, come finisce per ammettere lo stesso ricorrente che, senza
contestare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ribadisce la sua
estraneità a qualunque “azione, passata e/o futura che richiedesse viaggi
extracomunitari”.
Deve rilevarsi che a conclusioni non diverse si giunge esaminando il novellato
art. 274, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., al quale, per effetto dell’art. 2
della I. n. 47 del 2015, è stato aggiunto, in fine, il seguente periodo: «Le
situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità
dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del
titolo di reato per cui si procede».
È, infatti, assorbente il rilievo che la norma intende evitare automatismi fondati
sulla mera considerazione della fattispecie di reato (il “titolo di reato”, appunto)
e della gravità astrattamente ravvisata dal legislatore, laddove rimane
sicuramente possibile considerare, come nel caso di specie, le specifiche
modalità della condotta, quali indici sintomatici del concreto e attuale pericolo di
reiterazione.
2

della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, al ruolo centrale ricoperto dal

Quanto, infine, alla doglianza che investe la mancata fissazione del termine di cui
all’art. 292, comma 2, lett. d), cod. proc. pen., è appena il caso di ribadire che
l’ordinanza applicativa di una misura coercitiva personale deve contenere
l’indicazione della data di scadenza della medesima solo quando emessa al fine
esclusivo di prevenire il pericolo di inquinamento investigativo, e non anche
qualora ricorrano ulteriori e diverse esigenze cautelari (Sez. 6, n. 10785 del
21/12/2010 – dep. 16/03/2011, Paglino e altro, Rv. 249586).
2. Fondato appare invece il secondo motivo, giacché le considerazioni riservate

comunicazione anche informatici, continuare a gestire le operazioni occorrenti a
salvaguardare l’ingente profitto del reato non argomentano rispetto alla
possibilità di imporre limiti o divieti alle facoltà di comunicazione (art. 284,
comma 2, cod. proc. pen.) e alle concrete ragioni per le quali tali prescrizioni
sarebbero, nel caso di specie, insufficienti a fronteggiare le individuate esigenze
cautela ri.
3. Ne discende che, in tali limiti, l’ordinanza impugnata va annullata, con rinvio
per nuovo esame al Tribunale di Firenze.

P.Q.M.
Annulla il provvedimento impugnato con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Firenze. Manda alla cancelleria per le comunicazioni di cui all’art. 94, comma
ter, dísp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma il 13/11/2015
Il Componente estensore

Il Presidente

I-

dal Tribunale alla possibilità che l’indagato possa, attraverso l’uso di strumenti di

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