Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21400 del 03/11/2015


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21400 Anno 2016
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: PEZZULLO ROSA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BRESCIA
nei confronti di:
ANGSOM MERHAWI N. IL 01/06/1991
AFAWERKI AFLARKI N. IL 01/01/1966
avverso la sentenza n. 10930/2014 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di BERGAMO, del 06/03/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ROSA PEZZULLO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 03/11/2015

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale,
Dott. Luigi Birritteri, che ha concluso per l’annullamento con rinvio;
RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 6.3.2015

il Giudice per l’udienza preliminare del

Tribunale di Bergamo dichiarava il non luogo a procedere nei confronti di
Angsom Merhawi e Afawerki Aflarki, per il reato di cui all’art. 497 bis co.2 c.p.,
perché il fatto non costituisce reato.
Gli imputati erano stati trovati stati trovati in possesso di un documento

carta d’identità apparentemente rilasciata dal Comune di Milano intestata a
Merekay Tesfalern, nato ad Asmara (Eritrea) il 14.3.1988 e quanto ad Afawerki
Aflarki di una carta d’identità apparentemente rilasciata dal Comune di Milano in
data 18.2.2011 intestata a Mogos Teklit, nato ad Asmara il 5.11.89, con
l’aggravante di aver formato i documenti falsi, apponendo la propria fotografia e
generalità fittizie.
2. Osservava il G.u.p., tra l’altro, che era del tutto plausibile ritenere che il
fatto di premunirsi di un documento falso, ma apparentemente valido per
soggiornare in area Shengen, rappresentava

per i fuggitivi un elemento

necessario al fine di raggiungere il Paese di destinazione finale (Svezia), ove
avrebbero fruito di quasi certa ospitalità, sicchè quanto meno dal punto di vista
putativo, tenuto conto delle disumane condizioni di vita perduranti nello Stato di
provenienza- condizioni che gli organi di stampa riportano quotidianamentedoveva ritenersi, con una buona approssimazione per difetto, che i prevenuti
avessero agito, essendovi stati costretti dalla necessità di salvare sé stessi da
un pericolo attuale di un danno alla

persona, pericolo da essi non

volontariamente causato, né altrimenti evitabile.
3. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso il P.G. di Brescia, lamentando,
I’ erronea applicazione dell’art. 54 c.p. e la manifesta illogicità della motivazione,
non essendo ravvisabili nel caso in esame- anche solo dal punto di vista putativo
– gli estremi della scriminante di cui all’art.54 c.p., ove solo si consideri che: 1)
nessun pericolo attuale di subire un danno grave alla persona stavano correndo i
due imputati al momento del fatto-reato, visto che si trovavano in Italia, paese
la cui legislazione appresta, comunque, tutela ai richiedenti asilo politico o il
riconoscimento dello status di profugo o rifugiato (si veda, in particolare, il D.
L.vo 19.11.2007 n.251, che, all’art.14 lett. c, include tra i casi di danno grave,
atti a dare accesso alla protezione contemplata dal testo normativo “la minaccia
grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza
indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”);

2)

anche a voler ammettere, che si sia trattato di un pericolo attuale, non può,
1

falso valido per l’espatrio ed, in particolare, quanto a Angsom Merhawi, di una

invece, ammettersi che fosse non “altrimenti evitabile”, dato che, come si
apprende dalla stessa sentenza impugnata, ciascuno dei due imputati disponeva
di altro idoneo, valido e genuino passaporto per accedere al rifugio scandinavo
(tanto che non è dato comprendere per quale ragione essi abbiano inteso
munirsi, a tal fine, delle due carte d’identità false, recanti le loro fotografie,
apparentemente rilasciate dal Comune di Milano ed intestate ad altri due soggetti
– tali Merekay Tesfalem e Mogos Teklit – di nazionalità eritrea, come loro); 3)
venuta meno tale ineludibile componente della scriminante in parola, viene

essere proprio quel tipo di reato, visto che l’accesso alla Svezia era a maggior
ragione consentito ai due “fuggitivi” dai rispettivi passaporti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del P.G. è fondato.
1. Va, innanzitutto, evidenziato che integra il reato di cui all’art. 497 bis
c.p., comma 2, ascritto agli imputati il possesso di un documento valido per
l’espatrio (come il passaporto, o la carta d’identità) contraffatto, con il concorso
dello stesso possessore, considerato che la ratio della previsione incriminatrice è
quella di punire in modo più significativo chi fabbrica o, comunque, forma il
documento, oppure lo detiene fuori dei casi di uso personale; il possesso per
uso personale rientra, invece, nella previsione di cui all’art. 497 bis c.p., comma
1, solo se non accompagnato dalla contraffazione ad opera del possessore.
In altri termini, i due commi di cui all’art. 497 bis puniscono diversamente, in
ragione del diverso grado di gravità, la condotta del mero possesso di un
documento valido per l’espatrio, da un lato, e la condotta, ben più allarmante sul
piano delle falsità personali per la connotazione organizzativa che la caratterizza,
costituita dalla previa contraffazione del documento stesso ad opera dello stesso
detentore, o del concorso da parte di costui alla falsa formazione del documento
o, infine, dalla detenzione fuori dai casi di uso personale (Sez. 5, n. 18535 del
15/02/2013, Lorbek, Rv. 255468, in
motivazione; Sez. 5, n. 5355 del 10/12/2014).
2.A fronte della riconducibilità agli imputati del reato in contestazione,
risultando in loro possesso i falsi documenti validi per l’espatrio dagli stessi
formati (le fotografie apposte sui falsi moduli erano appunto degli imputati
ragion per cui può agevolmente dedursi che proprio essi avessero formato i falsi
documenti), il giudice di merito ha ritenuto che nei confronti dei medesimi
operasse la scriminante di cui all’art. 54 c.p., quantomeno dal punto di vista
putativo.
3.Correttamente il P.G. ricorrente ha evidenziato che nel ragionamento
seguito dal G.u.p. si ravvisano i vizi di violazione di le ge e di motivazione non

2

automaticamente a cadere anche quella della necessità cogente di porre in

ravvisandosi

i presupposti per l’applicabilità della scriminante in questione,

nemmeno nella forma putativa.
Ed invero, lo stato di necessità richiede l’assoluta necessità della condotta,
l’inevitabilità del pericolo non volontariamente causato; la proporzione tra fatto e
pericolo elementi questi non ricavabili dalla fattispecie in esame. In particolare
quanto al pericolo di danno alla persona esso deve essere attuale, ma l’attualità
del pericolo non va intesa in senso assoluto, nel senso cioè di una
contemporaneità fra il pericolo e l’azione necessitata, non potendo tale requisito

comprimere l’operatività dello stato di necessità entro limiti troppo angusti il
pericolo attuale di un danno grave alla persona, l’assoluta necessità della
condotta, l’inevitabilità del pericolo non volontariamente causato; la proporzione
tra fatto e pericolo. Nell’ordinamento processuale penale, infatti, non è previsto
un onere probatorio a carico dell’imputato, modellato sui principi propri del
processo civile, ma è, al contrario, prospettabile un onere di allegazione, in virtù
del quale l’imputato è tenuto a fornire all’ufficio le indicazioni e gli elementi
necessari all’accertamento di fatti e circostanze ignoti che siano idonei, ove
riscontrati, a volgere il giudizio in suo favore, fra i quali possono annoverarsi le
cause di giustificazione (Sez. 2, n. 20171 del 07/02/2013, Weng, Rv. 255916).
In tale contesto deve, tuttavia, rilevarsi come la sentenza impugnata faccia
discendere il pericolo attuale di un danno grave alla persona da presupposti, tra
cui “la miseria, la disperazione, la privazione dei beni più indispensabili, dalla
sottoposizione a bombardamenti, a rappresaglie, a sevizie e crudeltà, che le
cronache documentano con impressionante frequenza”, non strettamente
riferibili al caso in esame.
Invero, gli imputati – di origine eritrea- si trovavano, tuttavia, in Italia
all’atto in cui è stata rilevata la falsificazione e dall’Italia essi intendevano
“fuggire” con falsi documenti italiani, pur essendo in possesso di altro idoneo,
valido e genuino passaporto per accedere al rifugio scandinavo, sicchè, come
rilevato dal P.G. ricorrente, non è dato ravvisare l’assoluta necessità della
condotta ed il pericolo imminente agli stessi derivante, ben potendo attivare i
canali umanitari presenti nel nostro territorio per ovviare alle eventuali precarie
condizioni, anche economiche, in cui versavano.
Come rilevato più volte da questa Corte, la situazione di indigenza non è di
per sè idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli
elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo, atteso che, alle esigenze
delle persone che versano in tale stato, è possibile provvedere per mezzo degli
istituti di assistenza sociale (Sez. 6, n. 27049 del 19/03/2008, Niang, Rv.
241014). In effetti, si è ritenuto che lo stato di bisogno dell’imputato non possa

3

intendersi in senso troppo rigido, giacché in tal modo si finirebbe con il

integrare di per sé la scriminante di cui all’art. 54 cod. pen. e che non possa
essere riconosciuto al mendicante che si trovi in ristrettezze economiche, perché
la possibilità di ricorrere all’assistenza degli enti che la moderna organizzazione
sociale ha predisposto per l’aiuto agli indigenti ne esclude la sussistenza, in
quanto fa venir meno gli elementi dell’attualità e dell’inevitabilità del pericolo
grave alla persona (si veda Corte Costituzionale, 28 dicembre 1995 n. 519, che
ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 670, comma primo, cod. pen.)
(Sez. 1, n. 11863 del 12/10/1995, Hrustic, Rv. 203245; precedente conforme

4. Neppure è dato ravvisare nella fattispecie in esame l’esimente putativa di
cui all’art 54 cod. pen. per l’ erronea convinzione di trovarsi in uno stato di
assoluto bisogno, atteso che non ogni errore può esser posto a fondamento
della putatività dello stato di necessita, ma solo quello che sia logicamente
scusabile. In particolare, l’erronea supposizione della sussistenza dello stato di
necessità non può basarsi su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato
d’animo dell’agente, ma deve essere sostenuta da dati di fatto concreti, che
siano tali da giustificare l’erroneo (Sez. 1,

n. 19341 del 22/04/2009

Rv. 243777).
Anche a voler ammettere per un momento che gli imputati avessero
erroneamente ritenuto l’attualità del pericolo, potendosi configurare in tal senso
una ipotesi di scriminante putativa, non si vede come lo stesso pericolo non
fosse “altrimenti evitabile”, dato che la stessa sentenza impugnata ha dato atto
che ciascuno dei due imputati disponeva di altro idoneo, valido passaporto per
accedere in diverso paese europeo. Correttamente ha rilevato il P.G. non è dato
comprendere per quale ragione essi abbiano inteso munirsi, a tal fine, delle due
carte d’identità false, recanti le loro fotografie, apparentemente rilasciate dal
Comune di Milano ed intestate ad altri due soggetti – tali Merekay Tesfalem e
Mogos Teklit – anch’essi di nazionalità eritrea.
5. La sentenza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per nuovo esame al
Tribunale di Bergamo.
PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di
Bergamo.
Così deciso il 111.2015

Rv. 101577; Sez. 5,n. 3967 del 13/07/2015).

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