Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21399 del 10/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21399 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
SUMA ROBERTO nato il 19/02/1975 a MILANO

avverso la sentenza del 20/02/2017 del TRIBUNALE di LECCO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA PELLEGRINO;

Data Udienza: 10/04/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Il Tribunale di Lecco, con sentenza in data 20/02/2017, applicava nei confronti di Roberto
Suma la pena concordata dalle parti ex art. 444 cod. proc. pen., in relazione ai reati di truffa
(capo A) e di ricettazione (capo B).

– in merito alla mancata pronuncia di sentenza ex art. 129 cod. proc. pen.;
– in merito alla mancata verificata della corretta qualificazione giuridica dei fatti;
-in merito alla mancata sussunzione dell’ipotesi di cui al capo B) nella figura di reato di cui
all’art. 647 cod. pen.

Il motivo, con riferimento a tutti i profili svolti, è manifestamente infondato.

Con riferimento al primo, va evidenziato come, per principio costantemente affermato dalla
Suprema Corte, in tema di patteggiamento, il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui al citato art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una specifica
motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti
elementi circa la possibile applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi
sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita che è stata compiuta la verifica richiesta dalle legge e che non ricorrono le condizioni per la
pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995,
Serafino, Rv. 202270; Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622). Nel caso di
specie, la sentenza impugnata si è attenuta correttamente al suddetto principio escludendo
espressamente la sussistenza di una delle cause di cui all’art. 129 cod. proc. pen.
Con riferimento al secondo e al terzo, la medesima giurisprudenza di legittimità (cfr., Sez. U,
n. 5838 del 28/11/2913, dep. 2014 in motivazione) ha riconosciuto come il ricorso per
cassazione possa denunciare anche l’erronea qualificazione giuridica del fatto, così come
prospettata nell’accordo negoziale e recepita dal giudice, in quanto la qualificazione giuridica è
materia sottratta alla disponibilità delle parti e l’errore su di essa costituisce errore di diritto
rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen.: tuttavia, l’errore sul nomen
iuris, per essere rilevante, deve essere manifesto, secondo il predetto orientamento, che ne
ammette la deducibilità nei soli casi in cui sussista l’eventualità che l’accordo sulla pena si
trasformi in accordo sui reati, mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa
qualificazione presenti margini di opinabilità.
Nel caso di specie, la deducibilità dell’invocato errore deve essere esclusa, non risultando
prima facie erronea o strumentale la qualificazione giuridica dei fatti, così come proposta dalle
parti e positivamente delibata dal giudice a quo.

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo: violazione di legge

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno
2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della
cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.

L’estensore
ANDREA PELLEGRINO

Il Presidente
ANTO

PRESTIPINO

Così deciso in Roma il 10/04/2018

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