Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21394 del 10/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21394 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
D’ALESSANDRO MARIO nato il 14/07/1979 a AVEZZANO

avverso la sentenza del 16/09/2015 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA PELLEGRINO;

Data Udienza: 10/04/2018

La Corte di Appello di L’Aquila, con sentenza in data 16/09/2015, in parziale riforma della
pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Avezzano in data 22/09/2014, riconosciuta la
circostanza attenuante di cui all’art. 648 cpv. cod. pen. prevalente sulla contestata recidiva,
rideterminava la pena nei confronti di Mario D’Alessandro nella misura di anni uno di reclusione
ed euro 300,00 di multa in relazione al reato di ricettazione, con conferma nel resto della
sentenza di prime cure.
Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo i seguenti motivi:
– violazione di legge e vizio di motivazione in presenza di una motivazione del tutto apparente
(primo motivo);
-violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’operato trattamento sanzionatorio ed
al riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche (secondo motivo);
– violazione di legge in relazione agli artt. 125, comma 3 e 546 cod. proc. pen., anche per
travisamento della prova; violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta
ricorrenza dell’elemento soggettivo del reato (terzo motivo).
Sia il primo motivo che il terzo motivo di ricorso sono generici e manifestamente infondati.
Invero, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie, entrambi i motivi sono manifestamente infondati perché privi dei requisiti
prescritti dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione
della sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla
base della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i
rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
Con il terzo motivo, inoltre, il ricorrente censura valutazioni in fatto, notoriamente insindacabili
in questa sede.
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv.
207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369).
La finalità del ricorrente, infatti, si rivela quella di ottenere una inammissibile ricostruzione dei
fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con
motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
La novella codicistica, introdotta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto la
possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto
della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione
a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette
valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto
travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti
rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile
“ictu °culi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di
macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 4, n. 20245
del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).

Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Nella fattispecie, la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è giustificata
da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione
(Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, Caridi e altri, Rv. 242419), anche considerato il principio
affermato da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il
diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi
favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia
riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti
gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/01/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n.
34364 del 16/06/2010, Giovane, Rv. 248244).
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice dì merito, che la
esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e
133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri
ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di
mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Ferrario,
Rv. 259142), ciò che – nel caso di specie – non ricorre. Invero, una specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o
aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga superiore alla
misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego
dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o
“congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere
(Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, Denaro, Rv. 245596).

specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di
cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente
indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza
del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed
obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo
alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e
devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta,
comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure
anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso
giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno
2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della
cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.

L’estensore
ANDREA PELLEGRINO
( 2

Il P sidente
ANTO

ESTIPINO

Così deciso in Roma il 10/04/2018

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