Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21391 del 18/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21391 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
ANNUNZIATA FRANCESCO, nato a SAN GIUSEPPE VESUVIANO, il 22.8.1953 ;
avverso la sentenza n. 140/2008 della Corte d’Appello di Salerno del 4.11.2014 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola Filippi
che ha concluso per il rigetto ;
udito per l’imputato l’Avv. Antonio Turco. che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Salerno ha confermato la sentenza emessa
dal Tribunale di Salerno in 2.4.2007 nei confronti dell’odierno imputato per il reato di cui agli
artt. 216 e 219, 1 comma e 2 comma . 1, 223, 1 comma.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a sei motivi di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p., il vizio argonnentativo
della sentenza impugnata per omessa motivazione e con violazione pertanto degli artt. 546
lett. e c.p.p. e 192, medesimo codice. Lamenta il ricorrente l’appiattimento della motivazione
del giudice di appello sulle argomentazioni già spese dal primo giudice e dell’assenza di
motivazione in ordine al profilo soggettivo del reato contestato. Censura inoltre il
provvedimento impugnato per l’esplicito riferimento alla motivazione recepita per relationem

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Data Udienza: 18/04/2016

dalla sentenza di primo grado che comunque non conteneva elementi di valutazione tali da far
ritenere provato il profilo psicologico del reato.
1.2 Con il secondo motivo di doglianza si censura, sempre in relazione all’art. 606, primo
comma, lett. e, e art. 192 c.p.p., l’illogicità della motivazione ed la erronea valutazione delle
minime risultanze probatorie processuali in ordine all’accertamento della sua penale
responsabilità. Evidenzia il ricorrente che la sentenza ricorsa aveva fondato il giudizio di penale
responsabilità dell’imputato su meri elementi indiziari insufficienti per tali conclusioni, non

affermare con certezza il suo coinvolgimento nei fatti oggetto di contestazione penale. Si duole
della circostanza che il giudice di appello aveva ritenuto sussistente la sua colpevolezza solo
sul presupposto di una scrittura privata autenticata di trasferimento delle quote sociali,
peraltro mai prodotta in giudizio, ma solo richiamata dal coimputato Ciotti che era stato sentito
nel corso del dibattimento ai sensi dell’art. 197 bis c.p.p. e che peraltro aveva riferito di aver
lasciato tutta la documentazione contabile all’interno della sede legale della società poi fallita e
di non averla mai consegnata nelle sue mani ; evidenzia, peraltro, che il Ciotti non gli aveva
mai riferito dello stato di decozione della società fallita né mai gli aveva consegnato i beni della
società ; osserva, inoltre, che gli elementi di valutazioni utilizzati dal giudice di appello, e cioè
l’analisi della documentazione contabile per gli anni 1994-95 in ordine ai ricavi non
contabilizzati, delle operazioni finanziarie inesistenti, della non tracciabilità dei beni strumenti
per £ 81 milioni e del mancato ritrovamento delle scritture contabili, riguardavano circostanze
non rilevanti ai fini del decidere. Osserva inoltre il ricorrente che proprio dalla relazione ex art.
33 I. fall. e dalla dichiarazioni del Ciotti emerge al contrario che non era mai subentrato nella
gestione della società fallita ; evidenzia, infine, che dagli stessi atti di causa e dalle
dichiarazioni rese dal curatore e dal Ciotti lo stato di insolvenza era riconducibile al periodo
precedente e che pertanto nulla sapeva in ordine all’attività commerciali e finanziarie poste in
essere dall’amministratore Ciotti.
1.3 Con il terzo motivo si denunzia il vizio argomentativo in ordine al profilo del ruolo
dell’amministratore di fatto. Denunzia il ricorrente la carenza di motivazione in ordine al
mancato accertamento dell’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici
dell’amministratore di fatto, essendo evidente che dalla istruttoria dibattimentale non era
emerso alcun elemento che evidenziasse l’esistenza di reali poteri gestori della società a lui
riferibili ; evidenzia, infine, la carenza probatoria in relazione al compimento di attività
qualificabili come comportamenti di contributo concorsuale con i precedenti amministratori
nelle condotte di distrazione e di occultamento delle merci e di bancarotta documentale.
1.4 Con il quarto motivo si denunzia, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b, c.p.p.,
inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché vizio argomentativo in
relazione all’elemento soggettivo del reato contestato. Evidenzia il ricorrente che in mancanza
della prova della consegna dei libri contabili e della sua ingestione negli affari della società
fallita non poteva affermarsi in alcun modo la sussistenza dell’elemento psicologico del reato
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essendo stata acquisita né una prova testimoniale né una prova documentale idonea ad

contestato ; osserva inoltre che, avendo la sentenza di appello definito la sua partecipazione
alla società come quella di un mera “testa di legno”, occorreva altresì la prova per lo meno
della generica consapevolezza degli eventi distrattivi compiuti dagli altri concorrenti ; evidenzia
che analoga osservazione può essere ripetuta anche in relazione all’elemento soggettivo del
reato della contestata bancarotta documentale.
1.5 Con il quinto motivo si denunzia il vizio motivazionale e la violazione di legge in riferimento
al profilo sanzionatorio applicato. Si evidenzia la mancata considerazione da parte del giudice

da parte sua e dunque la iniquità della pena inflitta.
1.6 Con il sesto motivo si censura infine, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett., b, l’erronea
applicazione della legge penale in relazione agli artt. 157, 158 e 159 cp in ordine
all’intervenuto decorso del termine prescrizionale, risalendo i fatti al 1994.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2.11 ricorso è inammissibile.
2.1 Il primo motivo di doglianza è in realtà inammissibile per genericità. Si duole il ricorrente
della motivazione resa dalla Corte distrettuale per relationem in riferimento alla motivazione
resa dal giudice di prime cure, senza tuttavia specificare quale sia la manchevolezza della
motivazione in relazione ad una eventuale omissione, illogicità ovvero contraddittorietà della
stessa.
2.2 II secondo motivo è anch’esso inammissibile, perché le censure sollevate dalla parte
ricorrente sono tutte versate in fatto, senza neanche premurarsi di delineare un eventuale vizio
argo mentativo.
2.2.1 Sul punto, giova in primo luogo ricordare che, in relazione al contenuto della doglianza,
la Corte di legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a
fondamento della decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via
esclusiva al giudice di merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione,
da parte del ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata.
Ciò vale, in particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione.
Ed infatti, nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabile
se la decisione del giudice di merito propone la migliore ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile opinabilità di apprezzamento”.
Ciò in quanto l’art. 606 comma 1, lett. e, cpp non consente al giudice di legittimità una diversa
lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al
giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati
processuali. Piuttosto è consentito solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione, sulla
base della lettura del testo del provvedimento impugnato. Detto altrimenti, l’illogicità della
motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quella
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di appello dello svolgimento delle attività fraudolente prima della presa in carico della società

evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu °culi”, in quanto l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
Orbene, secondo la giurisprudenza più recente ricorre il vizio della mancanza, della
contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione della sentenza se la stessa risulti

che connotano la decisione in relazione a ciò che è stato oggetto di prova ovvero di impedire,
per la sua intrinseca oscurità ed incongruenza, il controllo sull’affidabilità dell’esito decisorio,
sempre avendo riguardo alle acquisizioni processuali ed alle prospettazioni formulate dalle parti
( Cass., Sez. IV, 14 gennaio 2010, n. 7651/2010).
E’ pertanto necessario puntualizzare, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla
motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L.
n. 46 del 2006, che questo non concerne nè la ricostruzione dei fatti, nè l’apprezzamento del
giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due
requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Ed invero, il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione si limita al riscontro dell’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali. Deve inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione
deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento
va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a sè stessa”, cioè
rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal
giudice di merito, che si presta a censura soltanto se manifestamente contrastante e
incompatibile con i principi della logica.
2.2.2 Ciò posto, osserva la Corte come, nel caso di specie, la parte ricorrente, senza neanche
delineare un vizio argomentativo della sentenza impugnata, aggredisca direttamente la
valutazione delle prove, già scrutinate dai giudici di merito, in ordine alla scrittura privata
richiamata dal coimputato Ciotti, all’analisi della documentazione contabile degli anni 1994-95,
alle operazioni finanziarie inesistenti ovvero alla non tracciabilità dei beni strumentali per £ 81
milioni, chiedendo pertanto al giudice di legittimità una nuova valutazione del contenuto delle
prove poste a sostegno della sua responsabilità penale, valutazione come tale inammissibile
per le ragioni già esaurientemente sopra esposte.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato, giacché il ricorrente avanza doglianze in merito
alla sua posizione di “amministratore di fatto”, mentre la sua incolpazione riguarda al contrario

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inadeguata nel senso di non consentire l’agevole riscontro delle scansioni e degli sviluppi critici

la sua partecipazione ai fatti di bancarotta come amministratore di diritto, nella veste di mero
“prestanome”.
4. Ma analogamente anche le ulteriori censure sollevate con il quarto motivo incappano nelle
medesime conseguenze di inammissibilità sopra evidenziate per essere le stesse versate in
fatto. Peraltro, in ordine al profilo della sussistenza dell’elemento psicologico del reato la Corte
distrettuale ha fornito un’adeguata risposta motivazionale, essendo stata provata e dunque
argomentata la consapevolezza dell’imputato sia nella sottrazione delle scritture contabili sia

5.

Il quinto motivo è anch’esso inammissibile, riguardando censure sul trattamento

sanzionatorio ed essendo anch’esse formulate come doglianze di merito sugli elementi di
valutazione già esaminati dai giudici di merito per la dosimetria della pena.
6. La declaratoria di inammissibilità non consente neanche di rilevare la eventuale prescrizione
dei reati oggetto di contestazione, che comunque, nel caso di specie, non è neanche maturata,
giacché al termine di prescrizione del 24.3.2016 devono essere aggiunti 973 giorni di
sospensione.
7. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento,
in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro
1000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18.4.2016

nella sottrazione dei beni strumentali.

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