Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21390 del 18/04/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 21390 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
VATTERONI MARINO N. IL 08/07/1954
avverso la sentenza n. 4704/2013 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
26/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI
Udito il Procuratore Qnerale persona del Dott. «.
FILÌ19PÌ
che ha concluso per

f1;›

,

Udito, per 1 parte civile, l’Avv
Uditi d ensor Avv.

Data Udienza: 18/04/2016

,.

RITENUTO IN FATTO
1 – Con sentenza del 26 marzo 2015 la Corte di appello di Firenze
confermava la sentenza del Tribunale di Lucca, del 17 luglio 2012, che aveva
ritenuto Marino Vatteroni colpevole del solo delitto di bancarotta fraudolenta
documentale, ascrittogli al capo B (lo assolveva dal delitto di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, contestatogli al capo A), e, esclusa l’aggravante della
pluralità dei fatti e non applicato l’aumento per la recidiva, lo condannava alla
pena di anni 3 di reclusione.

2010, aveva omesso di tenere o parzialmente tenuto le scritture contabili
obbligatorie o vi aveva apposto voci non congrue, così redigendo la contabilità in
guisa da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli
affari della fallita.
La società, che aveva svolto la propria attività in collegamento con altre
società amministrate dal Vatteroni, aveva cessato di operare fin dal 2005.
Il curatore, nel 2010, alla luce dei frammentari documenti contabili
rinvenuti, non era stato in grado di ricostruire il volume degli affari e lo stato
patrimoniale e non aveva rinvenuto alcun bene sociale. Il libro giornale non era
stato compilato ed il libro degli inventari era stato aggiornato solo fino al 2002.
Mancavano i registri IVA, il bilancio al 2003 era incompleto e quelli successivi
non depositati.
In contabilità non erano stati indicati i debiti per il mancato versamento dei
contributi e delle ritenute d’acconto dell’IVA. Le somme ricevute in “nero” erano
state inserite nella voce relativa al conto finanziamento soci.
L’imputato era stato assolto dal delitto di bancarotta patrimoniale perché
aveva asserito, ed era affermazione confermata da alcuni testi indotti dalla
difesa, che, dal 2005, l’amministratore di fatto della fallita era stato il coimputato
Cosci, formalmente il vice presidente del Consiglio di amministrazione della srl.
Vatteroni però sempre rimasto in carica come presidente del medesimo consiglio,
e, per il suo ruolo di amministratore di diritto (e per il fatto che l’incompletezza e
l’incongruenza delle scritture datava a prima del 2005), i giudici del merito
l’avevano ritenuto responsabile del delitto di bancarotta documentale.
Né la documentazione poi prodotta dal commercialista, una copia del libro
giornale e del libro Iva, ne scriminava la condotta vista la perdurante assenza di
registrazione degli elementi passivi sopra indicati e l’anomala appostazione dei
ricavi ottenuti senza fattura.
2 – Propone ricorso l’imputato a mezzo del proprio difensore.
2 – 1 – Con il primo motivo deduce la violazione di legge, ed in particolare
dell’art. 216 I. fallim., in quanto all’imputato era stata contestata l’omessa tenuta

Vatteroni, amministratore della srl Edilcinque, dichiarata fallita il 16 luglio

delle scritture contabili ed era quindi sussistente l’ipotesi prevista dall’art. 217 I.
fallim. e non quella più grave della bancarotta fraudolenta documentale.
La giurisprudenza di legittimità aveva chiarito che, per aversi la violazione
dell’art. 216 piuttosto che dell’art. 217, occorreva dimostrare che l’omessa
tenuta delle scritture aveva lo scopo di recare pregiudizio ai creditori, con,
quindi, lo steso dolo specifico previsto per le condotte di sottrazione, distruzione
e falsificazione delle scritture.
E, nella fattispecie, non si era raggiunta la prova di tale volontà.

contraddittorietà della stessa in rapporto alle risultanze probatorie, in
considerazione del fatto che il curatore aveva affermato di essere riuscito a
ricostruire gli affari della fallita, anche in esito alla produzione della
documentazione, proveniente dal commercialista della società, acquisita al
dibattimento. Anche considerando che, nella relazione ex art. 33 I. fallim. del
curatore, si affermava che non si ravvisava, al momento, la consapevole
fraudolenza del comportamento dell’imputato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
1 – L’ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale ascritta all’imputato è
quella disciplinata dalla seconda parte del numero 2 dell’art. 216 I. fallinn., per
avere tenuto “i libri o le altre scritture contabili .. in guisa da non rendere
possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari”, e non per
averli sottratti, distrutti o falsificati.
Ne discende, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (da ultimo:
Sez. 5, n. 5264 del 17/12/2013, Manfredini, Rv. 258881), che il dolo richiesto
per la configurabilità del delitto è il dolo generico, posto che “lo scopo di
procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizi ai creditori” è
previsto solo in relazione alle condotte di sottrazione, distruzione e falsificazione
delle scritture, disgiuntivamente previste nello stesso numero e che avere tenuto
le scritture “in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o
del movimento degli affari” non identifica un fine ulteriore dell’agente ma solo le
modalità della condotta illecita.
Ciò premesso, è congrua e rispondente agli elementi di fatto acquisiti al
processo, la motivazione dei giudici del merito che hanno ritenuto la sussistenza
dell’ipotesi di bancarotta documentale più grave, considerando sia l’incompleta
scritturazione di alcune scritture contabili essenziali, quali il libro giornale ed il
libro degli inventari, sia l’assenza dei bilanci degli ultimi anni, sia la mancata
registrazione al passivo di una serie di debiti tributari e previdenziale, sia
l’appostazione a debito (nel conto finanziamento soci) e non a ricavo dei
2

2 – 2 – Con il secondo motivo lamenta l’illogicità della motivazione e la

corrispettivi ricevuti in “nero” (a loro volta comportanti ulteriori, ingenti, pesi
economici per il prevedibile recupero da parte delle agenzie fiscali di quanto non
denunciato, sommato alle conseguenti sanzioni).
L’imputato, amministratore di diritto della fallita, aveva così tenuto la
contabilità in guisa da non consentire la corretta ricostruzione del patrimonio e
del movimento degli affari.
Il primo motivo del ricorso è, pertanto, manifestamente infondato.
2 – Altrettanto infondato è il secondo motivo, considerando che tutte le

argomentativo della sentenza impugnata, ne rendono del tutto adeguata la
motivazione.
Irrilevante era l’osservazione del curatore nell’iniziale relazione ex art. 33 I.
fallim. circa la non raggiunta certezza della

“consapevole fraudolenza” del

comportamento dell’imputato nella tenuta delle scritture, sia perché si tratta di
un’opinione personale, sia perché era stata espressa nella fase iniziale della
procedura, sia perché tale giudizio spettava ai giudicanti che l’avevano
fondatamente superato.
Il motivo difetta anche di specificità, non essendo state allegate tutte le
relazioni eventualmente redatte dal curatore e le sue integrali dichiarazioni
dibattimentali.
Così come difetta di specificità l’argomento relativo alla produzione, peraltro
solo in dibattimento, dekka,documentazione contabile, sia perché nulla è stato
allegato al ricorso che consenta di valutarne la completezza, sia perché non
risultano allegate dichiarazioni del curatore a tal proposito, sia perché,
comunque, esse, a detta della Corte territoriale, non sanavano le voci che
avevano determinato l’inattendibilità complessiva delle scritture: la mancata
registrazione dei debiti fiscali e tributari e l’irregolare, e decettiva, traslazione
degli incassi in “nero” nel conto finanziamento soci.
3 – Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in
colpa, anche della somma, nella misura ritenuta equa indicata in dispositivo, alla
Cassa delle ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2016.

circostanze di fatto accertate e sopra menzionate, e riportate nell’apparato

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA