Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21388 del 18/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21388 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
ALFANO FABRIZIO, nato a PALERMO, il 23.5.1985 ;
avverso la sentenza n. 1337/2014 della Corte d’Appello di Palermo del 4.5.2015 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola Filippi
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Palermo ha confermato la condanna
emessa nei confronti di Alfano Fabrizio e Ventimiglia Domenico per il reato di cui agli artt. 81,
c.p.v., 453 e 455 c.p..
Avverso la predetta sentenza ricorre il solo imputato Alfano, per mezzo del suo difensore,
affidando la sua impugnativa a tre motivi di doglianza.
1.111 ricorso proposto nell’interesse dell’imputato deduce, come primo motivo, la nullità della
sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. e, c.p.p., anche in relazione all’art.
192, 1 e 2 comma, c.p.p.. Si duole il ricorrente del mancato rispetto delle regole dettate in
tema di valutazione della prova, mancando, con tutta evidenza, ogni rapporto tra la sua
condotta e l’evento dannoso ; lamenta, più in particolare, la mancata valutazione da parte
della Corte distrettuale della ricorrenza nel caso di specie di un falso grossolano, essendo la
falsificazione di tale evidenza da poter essere riconoscibile, come poi avvenuto, da parte della
persona offesa prima facie e comunque da qualsiasi persona di comune discernimento ; si
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Data Udienza: 18/04/2016

duole, inoltre, della erronea valutazione della prova in ordine al profilo del suo coinvolgimento,
almeno sotto il profilo soggettivo, nella realizzazione delle condotte ascrittegli ; osserva,
inoltre, che – per sussistere il reato di cui all’art. 455 c.p. – occorre non solo il dolo generico
consistente nella volontà cosciente di compiere il fatto e nella consapevolezza della falsità delle
monete, ma anche il dolo specifico consistente nel fine di mettere in circolazione le monete ;
evidenzia che mancava la prova anche del predetto elemento soggettivo.
1.2 Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. e, c.p.p., in relazione alla mancata derubricazione dei reati contestati in quello

di cui all’art. 457 c.p..
1.3 Con il terzo motivo si deduce la nullità della sentenza in relazione alla mancata concessione
delle circostanze attenuanti, del danno patrimoniale di speciale tenuità e del minimo della
pena. Censura il ricorrente la sentenza impugnata per la mancata considerazione delle
componenti oggettive e soggettive del fatto che avrebbero giustificato una riduzione della
pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 Il primo motivo deve esserne dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza.
2.2 Sulla dedotta questione del falso grossolano, occorre ricordare che – in tema di falso
nummario – la grossolanità della contraffazione, che dà luogo al reato impossibile, si apprezza
solo quando il falso sia “ictu oculi” riconoscibile da qualsiasi persona di comune discernimento
ed avvedutezza e non si debba far riferimento nè alle particolari cognizioni ed alla competenza
specifica di soggetti qualificati, nè alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono
esser dotate ( Cass., Sez. 1, n. 41108 del 24/10/2011 – dep. 11/11/2011, Borrello e altro,
Rv. 251173 ). Detto altrimenti, nella subiecta materia si ha reato impossibile per inidoneità
della condotta allorché la grossolanità della contraffazione renda il falso così evidente da
escludere la stessa possibilità, e non soltanto la probabilità che lo stesso venga riconosciuto da
una qualsiasi persona di comune discernimento e avvedutezza ( Cass., Sez. 6, n. 37019 del
23/06/2010 – dep. 18/10/2010, Aloisi, Rv. 248590 ; Cass., Sez. 5, n. 1278 del 15/12/1993 dep. 03/02/1994, Bonzi, Rv. 197071).
2.2 Ciò posto, la Corte distrettuale, facendo buon governo dei principi giurisprudenziali sopra
ricordati, non è incorsa, come invece denunziato dalla parte ricorrente, in alcun vizio
argomentativo, rispondendo al gravame proposto da parte dell’imputato con motivazione
corretta e scevra da vizi logici, atteso che la spendita della moneta falsa aveva in realtà tratto
in inganno la persona offesa che solo in un secondo momento e con maggiore ponderazione si
era accorto che le banconote consegnate dall’imputato potevano essere oggetto di
contraffazione. Qui appare evidente che non è prospettabile la grossolanità idonea ad integrare
gli estremi del reato impossibile (art. 49 cod. pen.), ricorrendo la stessa solo quando il falso sia
ricorribile “ictu oculi” dalla generalità dei consociati espressa dall’uomo qualunque di comune
esperienza ed il relativo giudizio va riferito non solo alle caratteristiche oggettive della
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banconota, ma anche, in considerazione del normale uso delle stesse, alle modalità di scambio
ed alle circostanze nelle quali esso avviene.
Ne discende la manifesta infondatezza della censura così sollevata dalla difesa dell’imputato.
Nel resto le doglianze avanzate dalla parte ricorrente, nel primo motivo di ricorso, risultano
formulate in modo del tutto generico e per tale verso ne va dichiarata pertanto
l’inammissibilità
3. Ma non è riscontrabile alcun vizio argomentativo della motivazione impugnata, in ordine alla

così come invece dedotto dal ricorrente nel secondo motivo di doglianza.
Ed invero, anche in questo caso la motivazione resa dal giudice di appello è convincente e del
tutto condivisibile là dove ha ritenuto non riconducibile la fattispecie concreta al reato di cui al
detto art. 457 sulla base della valutazione della convergenza di una serie di circostanze
fattuali, quali le modalità peculiari di spendita della moneta, la sistematicità delle azioni
delittuose ed il numero elevato di banconote di cui gli imputati erano stati trovati in possesso,
tutte circostanze che evidenziano la correttezza della qualificazione giuridica del fatto reato,
così come contestato nell’editto accusatorio.
Ne consegue la manifesta infondatezza del secondo motivo di ricorso.
4. Anche il terzo motivo di doglianza risulta inammissibile.
4.1 Qui appare evidente, da un lato, la estrema genericità delle doglianze sollevate in punto di
mancata concessione delle attenuanti generiche e di dosimetria della pena e, dall’altro, il fatto
che le censure sono versate in fatto ed aggrediscono invero solo alcuni elementi di valutazione
scrutinati dai giudici di merito, proponendo, in via alternativa, la valutazione di altri elementi
non considerati dalla Corte di merito.
4.2 Sul punto, giova ricordare che la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, per quanto qui
interessa, che è inammissibile il ricorso per cassazione che, offrendo al giudice di legittimità
frammenti probatori o indiziari, solleciti quest’ultimo ad una rivalutazione o ad una diretta
interpretazione degli stessi, anziché al controllo sulle modalità con le quali tali elementi sono
stati raccolti e sulla coerenza logica della interpretazione che ne è stata fornita ( Cass., Sez. 5,
n. 44992 del 09/10/2012 – dep. 16/11/2012, P.M. in proc. Aprovitola ). Ed invero, a tale
scopo, una volta indicati gli elementi rilevanti, la motivazione “di merito” deve chiarire per qual
ragione e sulla base di quali elementi, sia stata elaborata o condivisa una determinata ipotesi
ricostruttiva e, se del caso, per qual ragione ne siano state scartate altre. Ed è su tale
“prodotto dell’ingegno” che va sollecitato il sindacato del giudice di legittimità, non certo sul
puro e semplice “materiale probatorio” o indiziario raccolto e valutato. Ciò anche, per la nota
ragione, in base alla quale non esiste una prova che possa esser valutata disgiuntamente dalle
altre, come avulsa dall’intero quadro ricostruttivo, di talché la corte di cassazione mai potrebbe
pronunziarsi su di essa, ma solo, come anticipato, sui criteri interpretativi e sulle deduzioni
logiche che dai predetti dati sono stati tratti nella fase del merito.

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richiesta riqualificazione del fatto di reato nella fattispecie astratta regolata dall’art. 457 c.p.,

In sintesi, quel che alla corte deve esser chiesto, se si ipotizza un vizio dell’apparato
motivazionale, è un mero giudizio di congruità logica sulla interpretazione che del materiale
probatorio e indiziario è stata effettuata dai giudicanti; solo nei limiti – è il caso di ribadirlo – in
cui la riproduzione di detto materiale è funzionale al vaglio di logicità, ne è consentita
l’allegazione al ricorso, ovvero la trascrizione all’interno dello stesso.
Conseguentemente, offrire al giudice di legittimità alcuni frammenti probatori o indiziari e
pretendere che su di essi la corte di legittimità esprima un giudizio comporta un profondo

provvedimento dovrebbe essere aggredita esclusivamente sotto il triplice profilo della
completezza, della logicità e della aderenza del ragionamento ai dati fattuali.
4.3 Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento,
in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro
1000.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18.4.2016

fraintendimento del ruolo e dei poteri della corte stessa. Invero, la motivazione di un

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