Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21386 del 18/04/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21386 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
CASTOLDI ALBERTO, nato a MILANO, il 9.4.1954 ;
avverso la sentenza n. 6109/2011 della Corte d’Appello di Torino del 16.7.2015 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa Paola Filippi
che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ;
udito per la parte civile l’Avv. Luca Icardi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso,
depositando altresì note spese e conclusioni ;
udito per l’imputato l’Avv. Pasquale Ventura, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso ;
RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello di Torino ha confermato la condanna del
ricorrente applicata dal Tribunale di Torino per il reato di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4 e
comma 2, 224, 219, comma 2 n.1. I. fall., dichiarando altresì inammissibile l’appello
incidentale proposto dalla parte civile.
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a due motivi di doglianza.
1.1 Il ricorso proposto nell’interesse dell’imputato deduce, come primo motivo, violazione ed
erronea applicazione dell’art. 217, comma 1, n. 4, 224, I. fall. e vizio della motivazione.
Deduce la parte ricorrente che la Corte di Appello si era appiattita sulla motivazione resa dai
primi giudici in punto di accertamento dell’elemento psicologico del reato atteso che non aveva
tenuto nella debita considerazione la rilevante circostanza che in data 6.4.2007 la società
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Data Udienza: 18/04/2016

fallita aveva ricevuto una commessa del valore di euro 100.000 e che pertanto non era
imputabile a colpa grave dell’imprenditore non aver richiesto il fallimento in una situazione che
poteva essere definita di semplice tensione finanziaria ; che peraltro tale giudizio di
sussistenza dell’elemento psicologico del reato era da escludersi in virtù dell’ulteriore
valutazione che, oltre all’ordine di euro 100.000 di cui sopra, vi erano ulteriori commesse per
euro 1.587.113 ed un accordo con la società Iperion per l’acquisizione di nuovi partener
commerciali ; che anche la valutazione negativa valorizzata dai giudici di merito in relazione

stato un rientro degli affidi entro la fine di febbraio del 2007 e che nel momento della
successiva ed ulteriore revoca degli stessi la sua decisione di presentare istanza di
autofallimento era stata di poco preceduta dalla identica iniziativa dei lavoratori ; che pertanto
le valutazioni del curatore fallimentare, sulla cui base si era fondato il giudizio di penale
responsabilità a suo carico, erano basate su un ragionamento meramente ipotetico sulla
insorgenza della necessità di ricapitalizzare o sciogliere la società che nasceva da una erronea
analisi reale delle condizioni effettive della società ; che pertanto aver ritenuto il Castoldi,
come responsabile a titolo di reato colposo omissivo, significava abbracciare una qualificazione
del reato oggetto di contestazione avvicinabile ad una ipotesi di responsabilità oggettiva,
confondendo peraltro il piano dell’accertamento dell’elemento causale con quello
dell’accertamento dell’elemento soggettivo ; che, in realtà, perché l’agente possa essere
ritenuto colpevole non è possibile che abbia agito in violazione di una regola cautelare, ma è
necessario che non abbia previsto che quella violazione avrebbe avuto come conseguenza il
verificarsi dell’evento.
1.2 Con il secondo motivo di doglianza il ricorrente denunzia inosservanza ed erronea
applicazione dell’art. 62 bis c.p.p., nonché il vizio di motivazione. Si duole il ricorrente che, non
concedendo le attenuanti generiche, la pena non era stata contenuta nei minimi edittali e che
ai fini della determinazione della pena i giudici di merito non avevano tenuto nella dovuta
considerazione la sua corretta collaborazione durante le fasi delle indagini e del giudizio,
valorizzando solo l’entità dell’aggravio del dissesto societario.
1.3 Con memoria depositata in data 31.3.2016 la parte civile costituita Fallimento
Eurotrasportatori contestava entrambi i motivi di ricorso, ribadendo la giuridica fondatezza del
ragionamento della Corte territoriale in punto di ricostruzione dell’elemento psicologico del
reato e chiedendo pertanto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
2.2 Già il primo motivo è manifestamente infondato.
2.3 Sul punto, giova ricordare che nel reato di bancarotta semplice, la condotta della mancata
tempestiva richiesta di dichiarazione del proprio fallimento è punibile se caratterizzata da colpa
grave ( Cass., Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015 – dep. 18/09/2015, Preatoni, Rv. 264743).
Ed è proprio su questo profilo che si concentra la doglianza della parte ricorrente.
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alla revoca degli affidi bancari doveva essere rivista alla luce della considerazione che vi era

Ebbene, non va infatti dimenticato che la fattispecie incriminatrice contestata è descritta dalla
L. Fall., art. 217, comma 1, n. 4, nella condotta dell’imprenditore che “ha aggravato il proprio
dissesto, astenendosi dal richiedere la dichiarazione del proprio fallimento o con altra grave
colpa”.
Ed invero, il richiamo ad una colpa qualificata come “grave” compare espressamente nella
struttura della norma incriminatrice, testualmente contrassegnando le condotte diverse da
quella della mancata richiesta del fallimento in proprio.

riferimento si esaurisca in quella di dato identificativo delle predette condotte, che si
aggiungerebbe a quello della loro causalità orientata all’aggravamento del dissesto, ovvero se
la colpa grave connoti in realtà il complesso dei fatti riconducibili alla previsione incriminatrice
in esame, investendo pertanto anche la condotta di omessa o ritardata richiesta di fallimento
(Cass., Sez. 5, n. 38077 del 15/07/2015 – dep. 18/09/2015, Preatoni, Rv. 264743).
La questione è evidentemente innescata dalla presenza nella norma dell’aggettivo “altra”, che
qualifica la colpa grave immediatamente dopo la descrizione della condotta di astensione dalla
richiesta del proprio fallimento. Tanto può astrattamente significare, come si è sostenuto, che il
legislatore abbia considerato come intrinsecamente ed inderogabilmente grave la colpa di chi
ometta di richiedere tempestivamente il proprio fallimento, ponendo tale comportamento quale
parametro del livello di colpa da ricercarsi invece di volta in volta nelle diverse condotte
contestate alla stregua della stessa incriminazione; ma può significare altresì, come pure è
stato prospettato, che, in quanto coefficiente psicologico comune a tutte le condotte
riconducibili alla norma in esame, la colpa grave debba essere accertata anche nell’ipotesi del
ritardato fallimento.
Occorre tuttavia chiedersi non già se la colpa grave sia elemento psicologico che caratterizza
l’intera fattispecie incriminatrice ( conclusione sulla quale le opinioni riportate finiscono
comunque per concordare ), ma se la gravità della colpa debba o meno ritenersi presunta
laddove il fallimento non sia tempestivamente richiesto dall’imprenditore in stato di insolvenza.
Orbene, la soluzione affermativa di una siffatta presunzione appare per un verso priva di
ragionevolezza, e per altro non essere l’unica autorizzata dal testo normativo ( così Cass., Sez.
5, n. 38077 del 15/07/2015 – dep. 18/09/2015, Preatoni, Rv. 264743 ).
Non è difficile comprendere come il ritardo nell’adozione della senza dubbio grave decisione
dell’imprenditore di richiedere il proprio fallimento possa essere ricollegato ad una vasta
gamma di dinamiche gestionali, che si estende dall’estremo dell’assoluta noncuranza per gli
effetti del possibile aggravamento del dissesto a quello dell’opinabile valutazione sull’efficacia
di mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse.
Ebbene, l’eterogeneità di queste situazioni rende improponibile una loro automatica
sussunzione nella più intensa dimensione della colpa.

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Va aggiunto, per completezza d’esame, che si discute in dottrina se la funzione di detto

In effetti, il dato oggettivo del ritardo nella dichiarazione di fallimento, in altre parole, è ancora
troppo generico perché dallo stesso possa farsi derivare una presunzione assoluta di colpa
grave, dipendendo tale carattere dalle scelte che lo hanno determinato.
Sotto altro profilo, la circostanza che la norma qualifichi nel segno della “altra grave colpa” le
condotte diverse da quella di ritardato fallimento non implica necessariamente che quest’ultima
sia intesa da legislatore come manifestazione tipica di colpa grave.
È altresì praticabile una lettura che sottintenda tale condotta come punibile in quanto in

per la loro efficienza causale rispetto all’aggravamento del dissesto e per la quale, in altri
termini, la tardiva richiesta di fallimento assume la consistenza di un’omissione penalmente
rilevante ove oggetto di una scelta caratterizzata da colpa di livello grave.
Questa opzione interpretativa neanche contrasta con l’orientamento, anche recentemente
ribadito da questa Corte, per il quale la norma incriminatrice non richiede comportamenti
ulteriori che concorrano con la mancata richiesta di fallimento ed il conseguente aggravamento
del dissesto, anche solo per effetto del mero proseguimento dell’attività di impresa (Sez. 5, n.
13318 del 14/02/2013, Viale, Rv. 254986).
Si deve invero ribadire il principio secondo cui i comportamenti sopra menzionati devono
essere necessari, ma che la scelta di ritardare la dichiarazione di fallimento in proprio deve
essere in sè stessa determinata da un atteggiamento gravemente colposo.
2.4 Tutto ciò premesso, osserva la Corte come la doglianza relativa alla violazione del predetto
indice normativo ed il lamentato vizio argomentativo si presentato come manifestamente
infondati, atteso che la Corte distrettuale, facendo buon governo dei principi sopra enucleati,
ha evidenziato che la “colpa grave” nel caso di specie si evidenziava sulla base della
convergenza di ezg> molteplici circostanze fattuali, quali il passivo fallimentare ammesso al
10.10.2008 pari ad euro 1.969.484, la revoca dei fidi bancari, uno scoperto di euro 219.125 al
31.12.2006, tutte circostanze che non potevano non essere apprezzate nel senso della
esistenza di una colpevolezza apprezzabile nel senso della gravità per l’imprenditore che si era
astenuto dalla presentazione della istanza di fallimento, aggravando così il dissesto societario.
Peraltro, va anche aggiunto che le allegazioni del ricorrente in ordine alla esistenza di cospicue
commesse che avrebbero risollevato le sorti della società debitrice sono rimaste mere
affermazioni di parte prive di un oggettivo riscontro probatorio.
3. Ma anche il secondo motivo di doglianza risulta formulato in modo inammissibile,
riguardando doglianze in punto di mancata concessione delle attenuati generiche e di
determinazione della pena, doglianze tuttavia versate in fatto, senza neanche l’allegazione di
un vizio argomentativo, e che pertanto risultano essere irricevibili in questo giudizio di
legittimità.
4. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al versamento,
in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro
1000.
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concreto connotata da colpa grave, al pari di altri comportamenti non tipicizzati altrimenti che

5. In base al principio della soccombenza, l’imputato deve essere condannato, alla rifusione
delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende, oltre alla
rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in euro 2000, oltre

Così deciso in Roma, il 18.4.20115

accessori di legge.

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