Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21385 del 10/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21385 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
DIOUF AMAR nato il 02/09/1960

avverso la sentenza del 05/04/2017 della CORTE APPELLO di GENOVA
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA PELLEGRINO;

Data Udienza: 10/04/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente motivo: vizio di motivazione
con riferimento alla ritenuta responsabilità dell’imputato. Segnala inoltre la ricorrenza di un
falso grossolano, l’assorbimento del reato di cui all’art. 648 cod. pen. in quello di cui all’art.
474 cod. pen., deducendo altresì che gli oggetti con marchi contraffatti sono “prodotto” e non
“provento” del reato.
Il motivo è generico e manifestamente infondato.
Invero, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi: il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie, il motivo è manifestamente infondato perché privo dei requisiti prescritti
dall’art. 581, comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della
sentenza impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base
della censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi
mossi ed esercitare il proprio sindacato.
In ogni caso, va evidenziato che la Corte di appello si è correttamente conformata – quanto
alla qualificazione giuridica dei fatti accertati – al consolidato orientamento di questa Corte di
legittimità (cfr., Sez. 5, n. 5260 del 11/12/2013, dep. 2014, Rv. 258722), per la quale integra
il delitto di cui all’art. 474 cod. pen. la detenzione per la vendita di prodotti recanti marchio
contraffatto senza che abbia rilievo la configurabilità della contraffazione grossolana,
considerato che l’art. 474 cod. pen. tutela, in via principale e diretta, non già la libera
determinazione dell’acquirente, ma la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei
marchi e segni distintivi, che individuano le opere dell’ingegno e i prodotti industriali e ne
garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un
reato di pericolo, per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno non
ricorrendo quindi l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della contraffazione e le
condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in
inganno.
Si è anche chiarito (Sez. U, n. 23427 del 09/05/2001, P.M. in proc. Ndiaye, Rv. 218771; Sez.
2, n. 12452 del 04/03/2008, Rv. 239745) che il delitto di ricettazione (art. 648 cod. pen.) e
quello di commercio di prodotti con segni falsi (art. 474 cod. pen.) possono concorrere, atteso
che le fattispecie incriminatrici descrivono condotte diverse sotto il profilo strutturale e
cronologico, tra le quali non può configurarsi un rapporto di specialità, e che non risulta dal
sistema una diversa volontà espressa o implicita del legislatore.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno

La Corte di Appello di Genova, con sentenza in data 05/04/2017, in parziale riforma della
pronuncia resa in primo grado dal Tribunale di Genova n data 19/02/2013 nei confronti di
Diouf Amar, disapplicata la recidiva, riduceva la pena principale a mesi due di reclusione ed
euro 150,00 di multa per i reati di cui agli artt. 474 e 648 cod. pen.

2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della
cassa delle ammende
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 10/04/2018

ANDREA PELLEGRINO

Il Pr sidente
ANTON
4
O RESTI PINO

L’estensore

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