Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21384 del 10/04/2018


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21384 Anno 2018
Presidente: PRESTIPINO ANTONIO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NUCCIO ROBERTO ANTONIO nato il 02/07/1968 a MONTEVIDEO( URUGUAY)

avverso la sentenza del 16/01/2017 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere ANDREA PELLEGRINO;

77-7
7-7

Data Udienza: 10/04/2018

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO

Propone ricorso per cassazione l’imputato, deducendo il seguente formale unico motivo:
violazione di legge in relazione all’art. 533, comma 1 cod. proc. pen. e vizio di motivazione in
relazione all’art. 192, comma 2 cod. proc. pen.
Il motivo, propositivo di generiche censure in fatto, è manifestamente infondato.
Secondo il costante insegnamento di questa Suprema Corte, esula dai poteri della Corte di
cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione,
la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata,
valutazione delle risultanze processuali (cfr., Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv.
207944; Sez. 4, n. 4842 del 02/12/2003, dep. 2004, Elia, Rv. 229369).
Le censure proposte tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti
mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con
motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
Invero, la novella codicistica, introdotta con la L. 20 febbraio 2006, n. 46, che ha riconosciuto
la possibilità di deduzione del vizio di motivazione anche con il riferimento ad atti processuali
specificamente indicati nei motivi di impugnazione, non ha mutato la natura del giudizio di
cassazione, che rimane pur sempre un giudizio di legittimità, sicchè gli atti eventualmente
indicati, che devono essere specificamente allegati per soddisfare il requisito di autosufficienza
del ricorso, devono contenere elementi processualmente acquisiti, di natura certa ed
obiettivamente incontrovertibili, che possano essere considerati decisivi in rapporto esclusivo
alla motivazione del provvedimento impugnato e nell’ambito di una valutazione unitaria, e
devono pertanto essere tali da inficiare la struttura logica del provvedimento stesso. Resta,
comunque, esclusa la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da
contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure
anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso
giudizio di rilevanza o attendibilità delle fonti di prova.
E’ stato ulteriormente precisato che la modifica dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto
della legge n. 46 del 2006, non consente alla Cassazione di sovrapporre la propria valutazione
a quella già effettuata dai giudici di merito mentre comporta che la rispondenza delle dette
valutazioni alle acquisizioni processuali può essere dedotta nella specie del cosiddetto
travisamento della prova, a condizione che siano indicati in maniera specifica e puntuale gli atti
rilevanti e sempre che la contraddittorietà della motivazione rispetto ad essi sia percepibile
“ictu ()culi”, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato ai rilievi di
macroscopica evidenza, senza che siano apprezzabili le minime incongruenze (Sez. 4, n. 20245
del 28/04/2006, Francia, Rv. 234099).

La Corte di Appello di Lecce, con sentenza in data 16/01/2017, confermava la condanna alla
pena ritenuta di giustizia pronunciata dal Tribunale di Lecce, sezione distaccata di Tricase, in
data 22/11/2011, nei confronti di Roberto Antonio Nuccio, in relazione al reato di cui all’art.
648 cod. pen.

Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., valutati i profili di colpa nella
determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte cost. 13 giugno
2000, n. 186), al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro tremila a favore della
cassa delle ammende
P.Q.M.

Così deciso in Roma il 10/04/2018

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro tremila alla cassa delle ammende.

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