Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21383 del 15/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21383 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BIVONA FRANCESCO N. IL 11/06/1975
avverso la sentenza n. 688/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
15/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Data Udienza: 15/03/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Luigi Orsi, ha concluso per la
declaratoria di inammissibilità del ricorso. L’avv. Stefano Antonio Scaduto per la parte civile ha
concluso per la inammissibilità del ricorso ed ha depositato nota spese. L’avv. Giuseppe
Montalbano per il ricorrente ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 15 aprile 2015 la Corte d’Appello di Palermo
confermava la sentenza di primo grado con cui Blvona Francesco era stato condannato

costringere La Torre Alessandro a scendere dalla propria autovettura a seguito di un
diverbio sOrto per motivi di viabilità, proferendo l’espressione:”se non scendi ti sfascio la
macchina, domani comunque di trovo e ti rompo il culo’.
2. Con atto sottoscritto dal proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo ai seguenti motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione nella parte in cui è stata riconosciuta la responsabilità del ricorrente
per il reato ascrittogli.
Lamenta il ricorrente che l’istruttoria dibattimentale ha acclarato che la persona offesa
non era stata oggetto di nessuna forma dì coartazione, determinandosi liberamente nella
propria condotta. Infatti, come riferito anche dal teste Sabella, fu la stessa persona offesa, una
volta completata la manovra di ingresso nel proprio garage, a rincorrere l’imputato che nel
frattempo era tornato a bordo della macchina per allontanarsi.
Inoltre, l’azione posta in essere dall’imputato non era assolutamente idonea a
realizzare il reato voluto dall’agente secondo il criterio della prognosi postuma.
La persona offesa, per sua stessa affermazione, non era scesa dalla macchina per una
sua precisa volontà e l’evento non sì era realizzato non perché il soggetto passivo avesse
paura ma perché la eventuale minaccia e violenza non erano idonee ad incutere un timore di
un danno ingiusto.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la mancanza, contraddittorietà o manifesta
illogicità della motivazione nella parte in cui gli stessi testimoni a carico sono stati ritenuti
attendibili per le statuizioni condannatorie e inattendibili per quelle assolutorie.
Lamenta il ricorrente l’inattendibilità della persona offesa e la decisione della Corte di
imperniare la condanna sulle sole deposizioni della stessa persona offesa e del teste Sabella,
disattendendo quelle della moglie dell’imputato ed in parte qua quelle del teste Montalbano.
Il ricorrente lamenta altresì l’inattendibilità e le contraddizioni del teste Sabella.
In primo luogo si duole della scoperta tardiva di tale teste, avvenuta all’esito della
deposizione dibattimentale della persona offesa, la quale in precedenti deposizioni non ne
aveva neppure indicato l’esistenza.
Inoltre, censura la mancanza di genuinità dello stesso teste, sia in relazione ai suoi
rapporti di frequentazione con la persona offesa , sia per i tentativi di avvicinamento e
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alla pena dì giustizia per il reato di tentata violenza privata, per aver tentato di

condizionamento dello stesso da parte della persona offesa, sia in relazione alle incongruenze
della sua deposizione.
2.3. Con il terzo motivo viene dedotta l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alla
diminuente del delitto tentato e sulla riduzione della pena.
Lamenta il ricorrente che avrebbe dovuto essere applicata nella misura massima dei
due terzi la diminuente dell’art. 56 c.p. nonché irrogata una pena contenuta al di sotto del
minimo edittale.

1. Ti primo motivo non è fondato e va quindi rigettato.
Lamenta il ricorrente che la persona offesa non è stata oggetto di nessuna forma di
coartazione da parte dell’imputato, determinandosi liberamente nella propria condotta. In
particolare, il sig. La Torre non è sceso dall’autovettura dopo il diverbio con l’imputato per una
sua precisa volontà e l’evento non si è realizzato non perché il soggetto passivo avesse paura
ma perché la eventuale minaccia e violenza non erano idonee ad incutere un timore di un
danno ingiusto.
Questo Collegio non condivide tale impostazione.
E’ emerso dalla ricostruzione di entrambi i giudici di merito che, dopo il diverbio
scatenatosi tra le parti per motivi di viabilità, l’imputato ha inveito all’indirizzo della persona
offesa, per indurlo a scendere dall’autovettura, espressioni come “se non scendi te la rompo”
“se hai i coglioni sbattili sul cofano, ti rompo il culo”, dando pugni sul cofano del veicolo della
persona offesa, aggiungendo che ove non fosse sceso gli avrebbe rotto il finestrino e lo
avrebbe comunque cercato l’indomani.
E’ evidente che una tale condotta abbia pienamente integrato gli estremi del tentativo di
violenza privata, atteso che le minacce rivolte alla persona offesa, in relazione
all’atteggiamento molto aggressivo dell’imputato, erano pienamente idonee ad incutere timore
nel soggetto passivo ed erano chiaramente finalizzate ad incidere sulla libertà di azione e
determinazione dell’offeso. Se tale minaccia non ha sortito il proprio effetto di costringere la
persona offesa a tenere, contro la propria volontà, la condotta pretesa dall’agente, ciò ha
impedito la consumazione del reato di violenza privata, ma non del suo tentativo, non
essendosi l’evento realizzato solo per motivi indipendenti dalla volontà del ricorrente, ovvero
per la condotta prudente del sig. Latorre che ha mantenuto la calma e non è sceso
dall’autovettura.
Peraltro, l’allegazione dell’imputato secondo cui sarebbe stata la stessa persona offesa,
una volta completata la manovra di ingresso nel proprio garage, a rincorrere l’imputato, che
nel frattempo era tornato a bordo della macchina per allontanarsi, è finalizzata a sollecitare
una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal giudice d’appello ed è
quindi preclusa in sede di legittimità.
1. Il secondo motivo è inammissibile.
Non vi è dubbio che il ricorrente nel contestare l’attendibilità della persona offesa e d
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CONSIDERATO IN DIRITTO

teste Sabella nonché la presunta contraddittorietà del ragionamento svolto dal giudice di
secondo grado, muova delle censure che implicano valutazioni di fatto e si risolvono nella
sollecitazione ad una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal giudice
d’appello che è preclusa in sede di legittimità, non potendosi accedere ad una diversa lettura
dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove rispetto a quanto ritenuto dal
giudice di merito, perché è estraneo al giudizio di questa Corte il controllo sulla correttezza
della motivazione in rapporto ai dati processuali (vedi motivazione Sez. 3, n. 357 del

In proposito, va osservato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di
prova, costituendo un giudizio di fatto, è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la
scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla
prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza
od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o
illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema (Sez. 2, n. 20806 del
05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
A tal proposito, l’esame del provvedimento impugnato, consente di apprezzare come la
motivazione del giudice d’appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza.
Il giudice di secondo grado ha indicato le ragioni a sostegno della ritenuta credibilità
soggettiva (mancanza di ragioni di astio o rancore verso l’imputato) ed oggettiva (coerenza del
racconto e riscontro esterno della sua deposizione) della persona offesa in relazione al delitto
di tentata violenza privata; ha altresì evidenziato che la ragione per cui il giudice di primo
grado aveva assolto l’imputato dai delitti di ingiurie e danneggiamento non risiedeva nella
ritenuta inattendibilità della persona offesa bensì nel rilievo che, con riferimento al reato di cui
all’art. 594 c.p. (oggi depenalizzato), la deposizione del teste Montaibano aveva messo in luce
che vi era stata reciprocità di insulti, con conseguente applicazione dell’art. 599 c.p., mentre,
in ordine al danneggiamento dell’auto, l’accusa della persona offesa non aveva trovato un
riscontro esterno, con conseguente applicazione del principio dell’oltre ragionevole dubbio.
Né può trascurarsi che, in presenza di una “doppia pronuncia conforme”, la motivazione
della sentenza impugnata va ad integrarsi reciprocamente con quella di primo grado,
saldandosi in un unico complesso argomentativo (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del
15/11/2011, Battaglia, Rv. 251550).
In proposito, il giudice di primo grado ha coerentemente ritenuto la credibilità del teste
Sabella, pur indicato dalla persona offesa solo in dibattimento e non nell’immediatezza dei fatti
– di tale scoperta “tardiva” ne ha fornito una spiegazione logica e coerente anche la sentenza
impugnata (pag.7) – evidenziando un argomento assai persuasivo in ordine alla onestà ed
attendibilità di tale teste: costui, nel corso del suo esame, aveva ammesso di essere stato
contattato una settimana prima della sua deposizione dalla persona offesa, suo condomino, e
di aver rifiutato ogni contatto, circostanza che non sarebbe stata evidentemente riferita ove
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15/11/2007 – dep. 08/01/2008, Bulica, Rv. 238696).

fosse trattato di un teste precostituito. Il Tribunale di Sciacca ha fornito altresì una spiegazione
esente da censure con riferimento alle asserite piccole incongruenze della deposizione del teste
Sabella (particolare del lato della macchina della persona che ha visto entrare in garage, pag.
4 sentenza di primo grado), puntualizzando che la deposizione di tale teste non poteva essere
smentita da quella del Montalbano, il quale era arrivato in loco solo nella parte finale della
vicenda per cui è processo e non aveva quindi assistito alla condotta iniziale dell’imputato,
nella quale si era estrinsecato il tentativo di violenza privata.

li ricorrente lamenta l’omessa o insufficiente motivazione in ordine alla diminuente del
delitto tentato, ritenendo che i giudici di merito avrebbero dovuto diminuire la pena prevista
per il delitto consumato di due terzi.
Va osservato che il giudice di primo grado, nella forbice di riduzione tra un terzo e due
terzi prevista dall’art. 56 c.p., ha coerentemente adottato un criterio “mediano” , operando la
diminuzione pari alla metà della pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato,
applicando i criteri di cui all’art. 133 c.p..
Deve ritenersi che il riferimento ai criteri di cui alla norma citata con l’applicazione della
diminuente non nella misura minima ma “mediana” soddisfi gli obblighi motivazionali minimi
imposti dall’art. 125 c.p.p.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida
in € 2.500,00 oltre accessori di legge.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali,
nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in € 2.500,00
oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 15 marzo 2016
Il consigliere est

e

Il Presidente

3. Il terzo motivo è infondato e va rigettato.

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