Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21376 del 05/05/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21376 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: CARRELLI PALOMBI DI MONTRONE ROBERTO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da Marchese Santo Salvatore nato a Catania il
4/4/1969
avverso la sentenza del 6/3/2013 della Corte d’appello di Catania;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi di
Montrone;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
dott. Eduardo Scardaccione, che ha concluso chiedendo che il ricorso venga
dichiarato inammissibile;
udito per l’imputato l’avv. Santini in sostituzione dell’avv. Roberto Moroni
che ha concluso riportandosi ai motivi di ricorso e chiedendone
l’accoglimento.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 6/3/2013, la Corte di appello di Catania confermava
la sentenza del Tribunale di Catania del 22/2/2010, con la quale Marchese
Santo Salvatore era stato condannato alla pena di anni due e mesi tre di
reclusione per i reati di cui agli artt. A) 337 perché, per opporsi ai militari

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Data Udienza: 05/05/2015

operanti che compivano un atto del loro ufficio, ovvero fermarlo al fine di
identificarlo, usava violenza nei confronti dell’ass. capo Castruccio Castracani
Santino, divincolandosi con forza; 648 cod. pen., perché, al fine di procurare
a se o ad altri un profitto, acquistava o comunque riceveva un ciclomotore
marca MBK Booster tg. 2R14C telaio n. 3WW-225821, di provenienza
delittuosa, in quanto provento di furto in danno di Piccolo Francesco come da

1.1. La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello, in
punto di riconosciuta responsabilità dell’imputato in ordine ai reati allo stesso
ascritti, di riqualificazione del fatto di cui all’art. 648 cod. pen. nella
contravvenzione prevista dall’art. 712 cod. pen., di riconoscimento
dell’ipotesi di cui all’art. 648 cpv. cod. pen., di riduzione della pena inflitta
previa concessione delle attenuanti generiche e di applicazione dell’indulto.

2.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato, sollevando

i

seguenti motivi di gravame:
2.1. Inosservanza di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata
assoluzione dal reato di cui all’art. 337 cod. pen. Rappresa al riguardo che
il ricorrente ha agito al solo fine di sottrarsi all’azione illegittima del
pubblico ufficiale.
2.2. inosservanza di legge ed illogicità di motivazione in ordine alla
mancata assoluzione dal reato di cui all’art. 648 cod. pen. ed alla mancata
riqualificazione del fatto. Lamenta, al riguardo, la carenza dell’elemento
soggettivo del reato di ricettazione, evidenziando che il fatto doveva essere
riqualificato come violazione dell’art. 712 cod. pen.
2.3. inosservanza di legge e vizio di motivazione in ordine al diniego delle
attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile, in quanto basato su motivi manifestamente
infondati.
3.1. Quanto alla prima questione, attinente alla ritenuta integrazione del
delitto di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 cod. pen., rileva la
Corte che si ripropongono questioni di mero fatto che implicano una
valutazione di merito preclusa in sede di legittimità, a fronte di una
motivazione esaustiva, immune da vizi logici; specificamente dalla lettura

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denuncia di furto sporta il 5/7/2010.

della sentenza della Corte territoriale non emergono, nella valutazione delle
prove, evidenti illogicità, risultando, invece, l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sulla base del quale si è pervenuti alla conferma della
sentenza di primo grado con riferimento alla responsabilità dell’imputato in
ordine ai fatti a lui ascritti; in tal senso viene significativamente evidenziato,
in punto di fatto, come il ricorrente avesse sferrato un calcio allo stomaco
dell’agente Castruccio, mentre quest’ultimo tentava di farlo salire

una condotta diretta a neutralizzare l’azione degli agenti ed a sottrarsi alla
presa. E le conclusioni alle quali si è pervenuti nelle fasi di merito sono
conformi con l’orientamento di questa Corte di legittimità, condiviso dal
Collegio, che ha affermato che, ai fini della configurabilità del delitto di cui
all’art. 337 cod. pen., l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto
fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una
condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione
spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un
vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a
sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga ( sez. 6 n. 35125 del 26/6/2003,
Rv. 226525; sez. 6 n. 8997 del 11/2/2010, Rv. 246412).
3.2. Quanto al secondo motivo proposto, attinente alla ritenuta integrazione
del delitto di ricettazione ed alla mancata derubricazione del fatto nella
contravvenzione di incauto acquisto, trattasi pure di valutazioni di merito
che sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e
l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U., n. 24
del 24/11/1999, Rv. 214794; Sez. U., n. 12 del 31.5.2000, Rv. 216260;
Sez. U. n. 47289 del 24.9.2003, Rv. 226074). E così segnatamente la Corte
territoriale dà, adeguatamente, atto della sussistenza in capo all’imputato
dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione, valorizzando la
mancanza di qualsiasi segno o documento identificativo relativo al
ciclomotore risultato rubato rinvenuto in possesso dell’imputato e l’assenza
da parte dello stesso di qualsiasi spiegazione al riguardo. Con tale
argomentare la sentenza impugnata si è adeguata al costante orientamento
della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della
configurabilità del delitto di ricettazione è necessaria la consapevolezza della
provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile
che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle

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sull’autovettura di servizio, correttamente argomentandosi che si trattava di

circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo
anche essere desunta da prove indirette, allorché siano tali da generare in
qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune
esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Ed in
tal senso questa Corte ha più volte affermato che la conoscenza della
provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento,
anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che

ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza
della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di
occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2
n. 25756 del 11/6/2008, Rv. 241458; sez. 2 n. 29198 del 25/5/2010, Rv.
248265). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in
ordine alla legittima acquisizione del ciclomotore unita alle caratteristiche
dello stesso, si pone come coerente e necessaria conseguenza di un
acquisto illecito. Del resto, come questa Corte ha recentemente affermato
(Sez. U. n. 12433 del 26/11/2009, Rv. 246324; sez. 1 n. 27548 del
17/6/2010, Rv. 247718) l’elemento psicologico della ricettazione può essere
integrato anche dal dolo eventuale, che è configurabile in presenza della
rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della
provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio,
non potendosi desumere da semplici motivi di sospetto, né potendo
consistere in un mero sospetto. E nel caso di specie, anche sotto questo
aspetto, il ricorrente necessariamente doveva rappresentarsi, al momento
del ciclomotore privo di documenti, la concreta possibilità che si trattasse di
un oggetto di provenienza delittuosa. E dalla lettura della sentenza
impugnata ed in particolare dall’analisi effettuata dalla Corte territoriale in
ordine alla sussistenza dell’elemento materiale e di quello psicologico del
delitto di ricettazione si evince con tutta evidenzia l’impossibilità di
configurare il fatto nell’ambito dell’ipotesi contravvenzionale di cui all’art.
712 cod. pen.
3.3. Quanto al terzo motivo, attinente al trattamento sanzionatorio ed in
particolare alla mancata concessione delle attenuanti generiche, i giudici di
merito hanno, correttamente, tenuto conto dell’assenza di indici positivi
valorizzabili ai fini della riduzione della pena e della personalità dell’imputato
che risulta avere già riportato numerosi e gravi precedenti penali.
4. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi

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dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata,

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dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dell’imputato che lo ha
proposto al pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi
profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al
pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla
luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,
sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in C 1.000,00 .

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 tizpainrk all Cassa delle
ammende.
Così deciso, il 5 maggio 2015

Il P

P.Q.M.

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