Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21354 del 18/05/2016


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 21354 Anno 2016
Presidente: IPPOLITO FRANCESCO
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA
sui ricorsi proposti
dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Milano e
dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano

nei confronti di
Ouraied Samyr, nato in Svizzera il 25/04/1964

avverso la sentenza del 02/10/2015 del Giudice dell’udienza preliminare del
Tribunale di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandra Bassi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata senza rinvio;
udito il difensore, Avv. Francesco Bartolini Baldelli in sostituzione dell’Avv. Gian
Filippo Schiaffino, che ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati.

RITENUTO IN FATTO
1. Mette conto rilevare in premessa come il ricorso presentato Samyr Ouraied
fosse stato originariamente fissato per l’udienza del 24 febbraio 2016 ai fini della
trattazione in unione ai ricorsi presentati dal Procuratore della Repubblica presso
il Tribunale di Milano e Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte

Data Udienza: 18/05/2016

d’appello di Milano nei confronti degli gli altri imputati, persone fisiche e persone
giuridiche, sottoposte al procedimento.
In tale udienza, il procedimento a carico di Samyr Ouraied è stato separato e
rinviato a nuovo ruolo, rilevato il difetto di notifica dell’avviso della presente
udienza nei confronti del codifensore Avv. Vernazza.
2. Tanto premesso in merito alla instaurazione del presente giudizio e
passando alla trattazione dei ricorsi, mette conto rilevare che, con la sentenza
impugnata, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano ha

per il reato di corruzione in relazione all’acquisto della società FCP (First Calgary
Petroleums) e l’estensione CAFC, perché il fatto non sussiste.
2.1. Per una migliore comprensione delle vicende trattate in sentenza è bene
precisare che, all’imputato è contestato sub capo A) – in unione ai concorrenti
persone fisiche di seguito indicati – il reato di cui agli articoli 110, 112 n. 1, 319,
321, 322-bis comma 2 n. 2, cod. pen. e 3 e 4 legge 16 marzo 2006, n. 146, per
avere Tali (quale presidente di SAIPEM S.p.A. dal gennaio 2007 al marzo 2008 e,
dal 2008 fino al 2012, altresì quale amministratore delegato della medesima
società), Bernini (quale direttore finanziario di SAIPEM S.p.A. fino al 1 agosto
2008 e, successivamente, quale direttore finanziario di ENI S.p.A), Varone (quale
direttore delle attività operative di SAIPEM SA, responsabile di business unit in
SAIPEM SA e SAIPEM S.p.A. e SNAM PROGETTI S.p.A.), Bedjaoui (quale persona
di fiducia del ministro algerino dell’energia Chiekib Khelil), Ouraied (quale
fiduciario di Bedjaoui), Habour (quale persona di fiducia del ministro algerino
dell’energia Chiekib Khelil), Orsi (che ha definito separatamente la propria
posizione, quale presidente e amministratore delegato di SAIPEM Contracting
Algerie SA, a diretto riporto del responsabile della business unit Pietro Varone),
Vella (quale responsabile ENI per il Nord Africa) e Scaroni (quale amministratore
delegato di ENI S.p.A. nonché esercitando poteri di fatto su SAIPEM S.p.A.)
agito al fine di procurare alle società ENI S.p.A. e SAIPEM S.p.A. indebiti
vantaggi patrimoniali in operazioni economiche internazionali e:
1) per far ottenere a SAIPEM S.p.A. ed alle società controllate l’assegnazione
da parte di Sonatrach (ente petrolifero di Stato algerino), Sonatrach in
joint-venture con First Calgary Petroleoums (FCP) in relazione al progetto
MLE (Medgaz Ledjmet East) e Medgaz SA (società iberica di cui Sonatrach
è azionista di riferimento) in relazione al progetto Medgaz Progect, sette
contratti dell’importo complessivo di oltre 8 miliardi di euro, secondo
criteri di mero favoritismo, in violazione di procedure di assegnazione ed i
criteri di economicità;

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dichiarato non luogo a procedere nei confronti di Omar (rectius Samyr) Ouraied

2) per fare ottenere a ENI S.p.A., nel novembre 2008, l’autorizzazione del
ministro dell’energia algerino ad acquistare la società canadese First
Calgary Petroleoums (FCP) – titolare dei diritti per lo sfruttamento del
giacimento petrolifero denominato MLE (Medgaz Ledjmet East) -, nonché
per far ottenere alla neo controllata FCP condizioni economiche
vantaggiose e segnatamente l’estensione della concessione allo
sfruttamento dell’attiguo giacimento denominato CAFC,
avere promesso ed effettivamente corrisposto ingenti somme di denaro e altre

da SAIPEM S.p.A. e dalle sue controllate commissioni per complessivi
197.934.798 euro a favore di Pearl Partners Limited (Hong Kong) ripartite sui
singoli contratti ottenuti da SAIPEM;
avere fatto corrispondere da SAIPEM S.p.A. e le sue controllate a OGEC e LEAD
(società estere coinvolte quali subcontractors o partners in taluni dei contratti
indicati) ingenti somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni
contrattuali gonfiate, al fine di consentire il successivo smistamento delle
maggiorazioni a fini corruttivi,
somme destinate a beneficio di:
Bedjaoui, in proprio e quale persona di fiducia del ministro algerino
dell’energia Chiekib Khelil,
membri della famiglia e persone dello stretto entourage di Chiekib Khelil,
quali il capo di gabinetto Redà Hemce Sonatrach e Omar Harbour;
con l’aggravante del numero delle persone dell’essere stati fatti commessi da un
gruppo criminale organizzato ed operante in più Stati; dal 2007 fino ad epoca
successiva al marzo 2010.
Al capo C) è contestato a Ouraied, in concorso con Tali, Bernini, Varone,
Scaroni, Vella e Bedjaoui, il reato di cui agli artt. 81, comma 2, 110 e 112 n. 1
cod. pen. e 3 D.Lgs 10 marzo 2000, n. 74, per avere, con più azioni esecutive
del medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte sui redditi,
registrando nella contabilità di SAIPEM ingenti costi di intermediazione derivanti
dal contratto di agency agreement stipulato con Pearl Partners il 17 ottobre 2007
nonché nell’addendum sottoscritto il 12 agosto 2009 (costi contabilizzati pagati
come da tabella in imputazione), trascrivendo in calce alle fatture annotazioni
concernenti le avvenute prestazioni dei servizi ed il rispetto delle condizioni di
pagamento contrattualmente previste, nonché avvalendosi di mezzi fraudolenti
consistenti nell’attestazione della liceità ed utilità dell’attività svolta
dall’intermediario Pearl Partners, indicato nelle dichiarazioni consolidate nazionali
di SAIPEM S.p.A. elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo ed

utilità a pubblici ufficiali della Repubblica algerina, in particolare facendo versare

in particolare, per l’anno 2008, per euro 85.935.000 e, per l’anno 2009, di euro
54.385.926; reato commesso dal 30 settembre 2009 al 28 settembre 2010.
In sintesi, le accuse concernono il pagamento di tangenti, da parte dei
vertici di SAIPEM S.p.A e delle società da essa controllate, al ministro algerino
dell’energia e delle miniere Chakib Khgalid, tramite fiduciari di quest’ultimo
individuati in Farid Bejoaui e Omar Harbour, al fine di ottenere contratti
d’appalto per la costruzione di gasdotti ed impianti industriali in Algeria da parte
dell’ente di Stato Sonatrach, per lo sfruttamento del giacimento petrolifero

CAFC. Secondo l’ipotesi d’accusa, per l’ottenimento di tali importanti progetti
industriali, venivano corrisposte da SAIPEM e le sue controllate tangenti per oltre
197 milioni di euro attraverso pagamenti di fittizie attività di intermediazione,
apparentemente svolte dalla società Pearl Partners di Hong Kong, formalmente
rappresentata da Samyr Ouraied ma di fatto riconducibile a Farid Bejoaui,
fiduciario del ministro. Ulteriori tangenti venivano pagate facendo versare da
SAIPEM S.p.A e le sue controllate a OGEC e LEAD – società estere coinvolte quali
subcontractors o partners in alcuni dei contratti stipulati da dette società somme di denaro a titolo di pagamento di prestazioni contrattuali “gonfiate”, al
fine di consentire il successivo smistamento delle maggiorazioni a fini corruttivi;
OGEC e LEAD retrocedevano a Bejaoui somme di denaro dell’ordine di circa 200
milioni di dollari, che quest’ultimo collocava in strutture societarie estere facenti
capo al medesimo ed a Omar Habour, entrambi titolari di conti correnti in
Libano, Svizzera e altri paesi, al fine di realizzare operazioni di investimento, per
lo più immobiliare, anche a favore del ministro Khalil e suoi familiari.
2.2. Dopo avere dato atto dello sviluppo processuale e ribadito i principi
affermati da questa Corte di legittimità in tema di sindacato in sede di udienza
preliminare, il Giudice ha rilevato come i fatti oggetto del procedimento siano
scaturiti dallo scandalo scoppiato in Algeria nel 2010 che travolse i vertici di
Sonatrach per un appalto assegnato a SAIPEM per la costruzione di un gasdotto,
aggiudicato, secondo l’accusa, grazie alla corresponsione di somme di denaro.
Il Gup ha evidenziato come secondo la contestazione di cui al capo A) gli
imputati appartenenti alla società ENI S.p.A. ed alla partecipata SAIPEM S.p.A.,
con le società da questa a sua volta controllate, avrebbero posto in essere
un’unica condotta corruttiva, contraddistinta dalla corresponsione di diverse
tranche di denaro attraverso contratti di consulenza di fatto insussistenti e la
sovrafatturazione di prestazione da parte di società subappaltatrici, per ottenere,
da un lato, l’assegnazione di gare d’appalto da parte di SAIPEM Portugal, SAIPEM
SA, SNAM PROGETTI S.p.A e SAIPEM S.p.A.; dall’altro lato, l’acquisto da parte di

denominato MLE (Menzel Ledjmet East) e l’estensione all’attiguo giacimento

ENI S.p.A. dei diritti di sfruttamento sul territorio algerino attraverso
l’acquisizione della First Calgary Petroleums (FCP) (v. pagine 13 e 14).
Il Giudice ha posto in luce come a tutti gli imputati siano contestati fatti
concernenti sia ENI S.p.A., sia SAIPEM S.p.A. e come, nondimeno, sia meritevole
di un vaglio dibattimentale esclusivamente la vicenda concernente quest’ultima
società e le controllate, in ordine alla quale vi sono numerosi riscontri a sostegno
dell’accusa ed, in particolare, a conferma delle dichiarazioni rese da Varone. Il
decidente ha stimato, di contro, impossibile pervenire alla medesima conclusione

coinvolgimento dei vertici di tale società nelle questioni della partecipata
SAIPEM, non potendo ritenersi acquisiti elementi sufficienti a provare, neppure
per via induttiva, che le due società, sotto l’egida di Scaroni e con la
collaborazione di Tali e Varone, abbiano condiviso e portato a compimento un
piano unitario per corrompere il ministro algerino Khelil ed ottenere vantaggi per
ciascuna delle due società, né che gli apici di ENI abbiano usufruito degli accordi
illeciti in essere tra gli imputati legati a SAIPEM e il ministro Khelil (v. pagina
14).
2.3. Il Gup ha dunque ricordato i punti sui quali la Procura ha fondato
l’ipotesi accusatoria del coinvolgimento di ENI nella gestione di SAIPEM nonché
dell’accordo criminale finalizzato a corrompere il ministro dell’energia algerina
Khelil, in particolare: a) il dominio di fatto di Scaroni su SAIPEM S.p.A. riferito da
Varone; b) le intercettazioni sull’utenza di Scaroni; c) i rapporti tra Tali e
Scaroni, con specifico riferimento agli incontri con il ministro Khelil e con
Bedjaoui; d) i rapporti tra Vella e Bedjaoui; e) le dichiarazioni di Stefano Cao e
Claudio Descalzi; f) i pagamenti effettuati dal gruppo SAIPEM a Pearl Partners ltd
e OGEC, secondo Varone anche in favore di ENI, nonché i flussi di denaro diretti
ad una cerchia di persone legate al ministro algerino; g) il mancato rispetto delle
procedure previste per l’autorizzazione dell’acquisto della società canadese FCP;
h) i contratti di consulenza tra la FCP e una società riconducibile a Bedjaoui.
Il Giudice ha rilevato come due siano i principali elementi d’accusa:
– per un verso, le dichiarazioni di Pietro Varone ed, in una certa misura, di
Tullio Orsi; al riguardo ha notato come quest’ultimo abbia in parte riferito notizie
acquisite de relato dal primo; come, con riguardo alle posizioni degli imputati
Vella e Scaroni, le dichiarazioni dei due chiamanti non siano convergenti; come
tali narrazioni non siano comunque confermate da riscontri esterni specifici ed
individualizzanti – neppure dal punto di vista logico – rispetto al coinvolgimento
degli imputati Vella e Scaroni e della società ENI in un accordo corruttivo,
mentre gli altri elementi – in assenza di una significatività univoca – non riescono

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con riferimento alla vicenda riguardante ENI S.p.A. o comunque in relazione al

ad assurgere a prova ex se, ma neppure confermano quanto sostenuto dai
chiamanti in correità;
– per altro verso, i contratti stipulati da SAIPEM S.p.A. e le sue controllate
con Pearl Partners ltd ed i molteplici flussi di denaro tracciati – in parte destinati
ad essere meglio chiariti sulla scorta delle rogatorie in corso -; a tale proposito, il
Giudice ha rilevato come tali flussi di denaro non siano riconducibili direttamente
ad ENI se non attraverso le parole di Varone ed Orsi.
2.4. Il Giudice ha dunque passato analiticamente in rassegna ciascuno degli

ed ha osservato:
a) che non può ritenersi provato il dominio di fatto di SCARONI su SAIPEM
riferito da Varoni sulla scorta degli elementi raccolti, in particolare non dal
contenuto delle intercettazioni, né dalla circostanza che Scaroni abbia incontrato
il ministro dell’energia algerino in sedi non istituzionali – e certamente anomale,
come riferito da Cao e De Scalzi (all’epoca in ruoli apicali di ENI) -, potendo
trattarsi di incontri non illeciti destinati ad attività di “lobbismo”; d’altra parte, è
necessario distinguere il piano gestionale nel quale si prendono decisioni
operative e si fanno scelte direzionali – rispetto al quale non vi sono elementi
concreti per affermare che vi sia stata un’ingerenza di Scaroni nelle vicende
SAIPEM -, da quello economico contabile amministrativo, dove l’interesse
dell’azionista di maggioranza poteva aver portato ad interferenze o sinergie in
relazione a vicende che potevano avere effetti sul valore del titolo azionario (v.
pagine 17 e seguenti);
b) che le intercettazioni telefoniche di Scaroni – anche là dove interloquiva
con l’allora ministro Passera dicendo “noi di SAIPEM” – hanno un contenuto non
univoco e non confermano che l’imputato fosse il dominus di tale società, avendo
questi fornito una spiegazione plausibile della rilevanza delle questioni
concernenti i bilanci ed i conti economici delle società del gruppo ENI (v. pagine
23 e seguenti);
c) che i rapporti tra Tali e Scaroni con specifico riferimento agli incontri con
il ministro Khelil e Bedjaoui, documentati dalle e-mail aziendali e dalle
annotazioni nelle agende sequestrate, non possono ritenersi dimostrativi di un
coinvolgimento di Scaroni negli accordi illeciti concernenti SAIPEM; Scaroni non
era presente all’incontro fra Tali e Varone con il ministro, organizzato da
Bedjaoui, nel quale l’esponente politico indicò quest’ultimo come mediatore, nella
sostanza incaricandolo di concordare i pagamenti necessari per ottenere gli
appalti; Varone ha riferito del coinvolgimento di ENI nella vicenda corruttiva peraltro in termini solo generici -, ma ha collocato la partecipazione fisica di
Scaroni alle trattative soltanto “a valle” e per la cura di interessi inerenti alla
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elementi indicati dal pubblico ministero a base della richiesta di rinvio a giudizio

medesima società ENI, mentre non ha parlato del coinvolgimento di Vella e di
Scaroni negli accordi con Bedjaoui in ordine agli appalti assegnati a SAIPEM e nei
contratti con la Pearl Partners ltd; sotto diverso profilo, il Gup ha evidenziato
come, dal contenuto delle e-mail, emergano i contatti tra i rappresentanti di ENI
e quelli della Sonatrach e l’interesse di Scaroni ad incontrare il ministro algerino
Khelil, incontro poi avvenuto con la partecipazione di Tali e Varone, ma anche di
Stefano Cao, sicché risulta difficile pensare – e comunque impossibile da provare
– che esso avesse una finalità illecita, mentre non appare indicativo di un

in considerazione dei pregressi rapporti di quest’ultimo con Bedjoaui; anche il
fatto che gli incontri siano avvenuti in un albergo, seppure dato anomalo, non è
di per sé dimostrativo di illiceità; d’altra parte, è innegabile che fra le due società
ENI e SAIPEM vi fosse un continuo flusso di informazioni ed uno scambio di
“cortesie” istituzionali, tipica espressione della sinergia o – meglio – della
cooperazione tra società appartenenti al medesimo gruppo; la circostanza che i
due amministratori delegati delle società ENI e SAIPEM – cioè Scaroni e Tali abbiano visto assieme Bejaoui presso l’hotel di Parigi non è di per sé indicativa
dell’esistenza di un unico accordo condiviso dai due, anche perché l’incontro
avveniva quando ormai l’acquisto di FCP era – a rigor di logica – già avvenuto;
ancora, la circostanza che, nella comunicazione e-mail dell’8 ottobre 2009,
Scaroni chiedesse a Domenico Dispensa quale fosse il ruolo del ministro Khelil in
relazione a Sonatrach rappresenta un elemento di contrasto rispetto alla tesi
accusatoria; dalle e-mail emerge una prassi consolidata fra le due società per
organizzare incontri con il ministro Khelil attraverso Tali e Varoni, in virtù dei
rapporti privilegiati che questi avevano con Bedjiaoui, come confermato anche
da Scaroni, trattandosi di canale comunque utilizzato anche da persone non
coinvolte nel procedimento, quali Claudio De Scalzi (v. pagine 25 e seguenti);
d) che, quanto ai rapporti tra Vella e Bedjaoui, le dichiarazioni rese dal
Varone sono risultate prive di riscontri, in quanto dagli atti emerge che Vella
conosceva Bedjaoui per motivi di lavoro, come dimostrano i contatti emersi dalle
indagini, mentre non sono state acquisite prove in merito alla partecipazione di
Vella agli incontri informali tra il ministro e Scaroni né contatti diretti fra Vella e
quest’ultimo, sicché mancano riscontri specifici ed individualizzati alle parole del
Varone, non potendosi ritenere tali le conversazioni e-mail acquisite; pertanto,
non risulta riscontrato che Vella consapevolmente e con finalità corruttive, in
accordo con Scaroni, abbia tenuto contatti con Bedjaoui al fine di corrompere il
ministro, né che egli abbia preso accordi per accollare il pagamento della
tangente a SAIPEM S.p.A. (v. pagine 40 e seguenti);

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accordo illecito il fatto che Tali si offrisse di fungere da canale di comunicazione,

e) che le dichiarazioni di Stefano Cao e Claudio De Scalzi non possono
ritenersi costituire delle accuse nei confronti di Scaroni o Vella, in quanto essi,
per un verso, non hanno segnalato nessuna condotta illecita dei quali siano stati
testimoni diretti, né difficoltà in relazione all’acquisto di FCP; per altro verso,
hanno evidenziato l’anomalia degli incontri organizzati al di fuori dei rapporti tra
le delegazioni ufficiali, dei quali, tuttavia, come emerge dalle e-mail acquisite,
essi erano consapevoli (là dove Cao era destinatario della mail nella quale si
parla dell’incontro informale tra Scaroni ed il ministro algerino in Vienna; De

primo era conoscenza di come si stava muovendo Vella, in linea con il ruolo
rivestito nella società) (v. pagine 44 e seguenti);
f) che i pagamenti effettuati dal gruppo SAIPEM a Pearl Partners ltd e OGEC,
pur documentalmente accertati, non provano la provenienza delle somme da ENI
o dai suoi vertici; d’altra parte, non vi sono elementi dimostrativi della
sistematica sovrafatturazione da parte delle società LEAD e OGEC – partners o
subcontractors di SAIPEM – riferita da Orsi, essendo stato accertato un aumento
del 3% dei costi in relazione ad un solo progetto; lo stesso Varone ha negato,
sostanzialmente smentendo Orsi, che le fatture potessero essere gonfiate; in
ogni caso, l’aumento del 3% poteva essere stato anche un modo escogitato da
Varone e Bejaoui per arricchirsi a spese della società; che, quanto ai flussi di
denaro diretti ad una cerchia di persone legate al ministro algerino accertati dalla
Guardia di Finanza, si tratta di elementi neutri, non essendo queste somme
riconducibili ad ENI, all’acquisto di FCP e all’estensione CAFC; anche le
dichiarazioni di Carlo Bentini della società Bentini S.p.A. – subcontrattista di
SAIPEM (che ha riferito di avere corrisposto ingenti somme di denaro, per poter
lavorare in Algeria, sempre a Omar Habour e Fardi Bedjaoui, entrambi
presentatisi come molto vicini al ministro ed in grado di poter influire sulla
gestione dei contratti legate alle Oil Company) – non provano il coinvolgimento di
ENI nelle vicende corruttive (v. pagine 51 e seguenti);
g)

che, quanto al mancato rispetto della procedure previste per

l’autorizzazione per l’acquisto della società canadese FCP – in particolare
l’autorizzazione del ministro Khelil senza rispettare il termine di tre mesi -, dagli
atti non è dato di comprendere se l’autorizzazione fosse strettamente necessaria
oppure se costituisse una condizione aggiuntiva richiesta per la certezza e la
validità degli accordi come dichiarato da Cavanna; dalle e-mail emerge
innegabilmente il perseguimento di un obiettivo comune sia da parte dei
dipendenti di ENI sia degli esponenti di Sonatrach e Alnaft, il che, tuttavia, non è
necessariamente indicativo dell’esistenza di un accordo corruttivo su larga scala,
potendo spiegarsi in ragione degli enormi interessi in gioco; il Giudice ha notato
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Scalzi era protagonista di uno scambio di e-mail con Tali, da cui emerge che il

che, se veramente vi fosse stata un’operazione corruttiva a base delle azioni
decisioni societarie, l’interesse intorno al bene placet del ministro non avrebbe
avuto ragion d’essere, conclusione confermata dal comportamento tenuto da
Bernini e da Vella (ove quest’ultimo si meravigliava davanti alla lettera del
ministro) (v. pagine 57 e seguenti);
h) che fossero stati firmati dei contratti di consulenza tra la FCP e una
società riconducibile a Bedjaoui è un elemento che si presenta molto debole, in
quanto non è dato di sapere come ENI avrebbe potuto collegare la società in

finanziarie (v. pagine 66 e seguenti).
2.5. Il Gup ha dunque concluso che, sebbene vi siano elementi per
sostenere l’esistenza di un accordo corruttivo tra Tali, Varone e il ministro
algerino per l’aggiudicazione di appalti, questi non possono tuttavia provare,
oltre ogni ragionevole dubbio – sulla base di considerazioni deduttive -, che ogni
contratto concluso all’epoca in quel paese sottintendesse il pagamento di
tangenti.
Tirando le fila del proprio ragionamento e riassumendo le conclusioni, il
decidente ha rilevato che risultano provati gli incontri tra Scaroni ed il ministro
Khelil ed il suo segretario Bedjaoui, la conoscenza tra Vella e Bedjaoui, i contatti
con Pearl Partners ltd ed i relativi pagamenti, i flussi di denaro – pagamenti e
flussi riferibili oggettivamente solo a SAIPEM e alle sue controllate – e
l’autorizzazione anticipata del ministro. Tuttavia, tali elementi non sono in grado
di fornire un valido riscontro logico ed individualizzato rispetto all’ipotesi
corruttiva emersa dalle dichiarazioni accusatorie di Varoni nei confronti di
Scaroni e Vella, là dove gli incontri di questi imputati con il ministro ed il suo
segretario si inseriscono in un contesto di relazioni di lunga data tra ENI e
l’Algeria. Non risulta inoltre raggiunta la prova della sovrafatturazione,
operazione che avrebbe dovuto consentire la creazione di ulteriori “fondi neri”
per tangenti, mentre l’autorizzazione del ministro non ha una connotazione
necessariamente illecita potendosi collocare nella discrezionalità che gli
competeva. Ancora, la decisione di Sonatrach di non esercitare il diritto di
prelazione per l’acquisizione della società canadese FCP – dato valorizzato dai
pubblici ministeri – potrebbe essere stata determinata da concrete ragioni
economiche a fronte dell’ingente ed impegnativo investimento. Sotto diverso
profilo, il Giudice ha osservato che gli elementi raccolti per quanto riguarda
l’acquisto di FCP, l’estensione al giacimento AFC e il coinvolgimento dei vertici
ENI risultano ormai cristallizzati e che il dibattimento, su tale fronte, non
potrebbe consentire l’acquisizione di elementi ulteriori, là dove la rogatoria ha ad

oggetto al Bedjaoui, fatto emerso dopo una serie di indagini bancarie e

oggetto esclusivamente flussi bancari non direttamente collegabili alla vicenda
ENI.
2.6. Dato atto della mancanza di prova del capo A) per tutti gli imputati in
relazione al progetto FCP e all’estensione CAFC e, quanto ai soli Scaroni e Vella
in relazione alla vicenda corruttiva degli appalti SAIPEM, il Gup ha inferito come
cada nel suo complesso l’imputazione per l’illecito amministrativo nei confronti
della società ENI S.p.A. nonché l’imputazione per l’illecito amministrativo, in
relazione alla sola vicenda concernente il progetto FCP e all’estensione CAFC, nei

3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso la Procura della Repubblica del
Tribunale di Milano ed ha chiesto l’annullamento della sentenza per i seguenti
motivi.
3.1. Violazione di legge processuale in relazione all’articolo 425 cod. proc.
pen. nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione
in relazione alla ritenuta esistenza di elementi insufficienti, contraddittori o
comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
Sotto un primo profilo, il ricorrente pone in luce che l’intera motivazione è
pervasa da confusione circa la regola di giudizio che governa l’udienza
preliminare là dove, dopo avere ricordato l’insegnamento della Corte di
cassazione, a pagina 16 della sentenza, il Giudice fa richiamo alla prova richiesta
ai fini della pronuncia di condanna oltre ogni ragionevole dubbio, principio non
applicabile al giudizio in sede di udienza preliminare, in quanto, allorché le fonti
di prova si prestino a letture alternative ed aperte, il Giudice è tenuto a disporre
il rinvio a giudizio.
Sotto diverso profilo, il ricorrente evidenzia che il Gup non ha considerato le
potenzialità espansive per l’accusa delle rogatorie disposte in Algeria, Svizzera e
Libano (la prima concernente la richiesta di interrogare i dirigenti di Alnaft e
Sonatrach in merito al progetto di sfruttamento del giacimento MLE ed
all’acquisizione della società canadese FCP da parte di ENI con la trasmissione di
tutti documenti concernenti le direttive date dal ministro Khalil; la seconda
riguardante l’acquisizione della documentazione bancaria del conto svizzero
riconducibile a Paolo Scaroni; la terza concernente la documentazione bancaria
relativa ai conti correnti di Pearl Partners che potrebbe fare luce sui rapporti tra
Bedjaoui e le società OGEC e LEAD). Le aporie di alcune fonti di prova
dichiarativa, segnatamente di Cao e De Scalzi, potrebbe essere superate
nell’esame dibattimentale e non può escludersi un contributo dichiarativo nel
corso del dibattimento da parte di alcuni degli imputati quali Tali e Bernini. In
conclusione, il complesso di tali circostanze rende evidente l’utilità del
dibattimento.
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confronti della società SAIPEM S.p.A.

3.2. Violazione di legge processuale in relazione all’articolo 192, comma 3,
cod. proc. pen. nonchè mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla valutazione delle chiamate in correità di Pietro
Varone e Tullio Orsi.
Lamenta il ricorrente che il Giudice ha operato una valutazione parcellizzata
e decontestualizzate delle dichiarazioni rese da Varone e Orsi, travisando altresì
le dichiarazioni del Varone in merito all’incontro cui parteciparono Varone, Tali, il
ministro Khalil ed il suo uomo di fiducia Bedjaoui.

travisare la portata fattuale degli elementi portati a riscontro, li ha esaminati
ricercando in essi un’autonoma ed esaustiva idoneità probatoria. Inoltre, il
Giudice ha omesso di considerare che la chiamata in correità di Varoni – quanto
agli incontri informali tra Scaroni ed il ministro algerino negli hotel di diverse
città e alla presentazione da parte del Varone del Bejaoui al Vella, su richiesta di
quest’ultimo – è riscontrata dal contenuto di numerose e-mail e dalle
dichiarazioni rese da Cao e De Scalzi, all’epoca rispettivamente direttore e
vicedirettore del settore E&P di ENI, i quali hanno dichiarato di non avere mai
incontrato Bedjaoui e che non rispondeva alla prassi dell’azienda che gli incontri
fossero organizzati con tali modalità. Il Giudice ha ancora trascurato di
considerare che dagli elementi raccolti nelle indagini, a partire da una certa data
– collimante con la distensione dei rapporti col ministro dell’energia -, anche ENI
cominciò a godere del mutato atteggiamento degli algerini ed cominciò a servirsi,
per le proprie “politiche commerciali”, della risorsa comune del gruppo
rappresentata Farid Bedjaoui.
3.3. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione alla valutazione dei singoli elementi di riscontro alle dichiarazioni di
Pietro Varone e Tullio Orsi.
Evidenzia il ricorrente che il Giudice ha errato nella valutazione di ciascuno
degli elementi indicati a riscontro delle chiamate in correità di Varone e Orsi. In
particolare:
a) quanto al dominio di fatto di Scaroni su SAIPEM, il Giudice ha dato una
lettura parziale delle dichiarazioni rese da Varone, che ha evidenziato non solo le
connessioni esistenti tra gli uffici legali di SAIPEM ed ENI, ma ha delineato un
quadro di rapporti di dipendenza concernenti il settore finanziario,
amministrativo e della sicurezza aziendale; inoltre, il controllo di SAIPEM da
parte ENI si accentuava con l’arrivo di Scaroni, ma non veniva mai formalizzato
né regolato da protocolli, fondandosi su mere relazioni personali, che peraltro
trovano riscontro nella fitta corrispondenza prodotta in giudizio;

11

Altrettanto erronea è l’operazione compiuta dal Gup allorchè, oltre a

b) il Giudice erra nella lettura di alcune conversazioni telefoniche, il cui
contenuto viene decontestualizzato, là dove non si tiene conto del fatto che esse
avvenivano allorquando era si era già avuta notizia ufficiale della inchiesta
penale per i fatti di corruzione in Algeria; le dichiarazioni accusatorie di Varone
nei confronti di Bernini sono state comunque riscontrate e il Giudice si dimentica
del ruolo di coimputato del Bernini al momento in cui ne valuta le conversazioni
intercettate; analoga erroneità di valutazione si riscontra con riferimento alla
lettura della conversazione tra presenti intercorsa fra Tali e Sajjad Mahdi (nella

pur avendo una percentuale del 43%) nonché delle conversazioni fra la moglie e
la sorella di Tali;
c) il Giudice ha compiuto una ricognizione parziale delle dichiarazioni del
Varone per quanto riguarda il coinvolgimento di Scaroni negli incontri con il
ministro e Bedjaoui in una fase in cui la complessa operazione non si era affatto
conclusa, là dove la richiesta di Scaroni di un incontro informale col ministro
conferma l’interesse di ENI alla positiva conclusione delle trattative
sull’ammontare della tangente che erano ancora in corso tra SAIPEM e
Bedjaoui; fa inoltre difetto la motivazione in merito ai rapporti fra Vella e
Bedjaoui, soggetto che non aveva nessun rapporto ufficiale con il ministero né
alcun ruolo in Sonatrach, ma che fungeva da intermediario tra il mondo di ENI e
SAIPEM ed il ministro algerino e che percepiva da SAIPEM ben 197 milioni di
euro attraverso la società schermo Pearl Partners e rilevanti ritorni di denaro oltre 200 mila euro – dai subcontractors di SAIPEM LEAD e OGEC; dagli atti
emerge inoltre che Bedjaoui aveva costruito una rete di persone per trattare le
questioni di ENI in cui era coinvolto Vella, come confermato dal documento
consegnato da Orsi ed acquisito agli atti, completamente trascurato dal Giudice,
che dimostra il ruolo di Vella, quale elemento di collegamento tra Bedjaoui e gli
imprenditori disposti a pagare tangenti, fra cui SAIPEM e ENI, rispettivamente
rappresentate, in detto biglietto. dal Varone ed, appunto, dal Vella;
d) il Giudice ha errato la valutazione delle dichiarazioni rese da Cao e De
Scalzi, là dove ha evocato criteri di valutazione della prova dichiarativa propri di
altri contesti processuali, assimilando i dichiaranti a soggetti deboli che possono
essere condizionati nelle risposte e dalle domande del pubblico ministero; la
valutazione delle dichiarazioni rese da Cao e De Scalzi è, d’altra parte,
contrassegnata da passaggi apodittici e da travisamenti della prova nonché da
contraddittorietà, in quanto il Giudice ventila la mendacità delle dichiarazioni di
Cao senza disporre la trasmissione degli atti al pubblico ministero; erra inoltre il
Giudice nel valutare le dichiarazioni di De Scalzi, tenendo conto delle e-mail
esaminate come di un’unica catena di comunicazioni senza soluzione di
12

quale il primo spiega come ENI eserciti il suo controllo totalizzante su SAIPEM

continuità e con un contenuto di informazioni unitario, stimando – erroneamente
– che il dichiarante dovesse essere a conoscenza di tutta la successione
precedente delle comunicazioni;
e) quanto ai pagamenti alla società Pearl Partners, a LEAD e OGEC ed ai
flussi di denaro, il ragionamento è contraddittorio in quanto, rispetto alle vicende
sottese a tali rapporti finanziari, il Giudice ha disposto il rinvio a giudizio degli
imputati; il Gup altresì trascurato le dichiarazioni rese da Carlo Bentini, persona
coinvolta in fatti analoghi in Algeria negli stessi anni e sempre in relazione ad

f) quanto al mancato rispetto della procedura di autorizzazione all’acquisto
da parte di ENI della società petrolifera canadese, il ricorrente deduce il vizio di
motivazione in quanto il Giudice non ha tenuto conto delle dichiarazioni di
Varone riportate in altra parte della motivazione così come degli incontri
avvenuti tra Tali, Scaroni, Bedjaoui ed il ministro Khelil; inoltre, il Gup non ha
considerato le dichiarazioni – probatoriamente significative – di Orsi, riscontrato
sul punto da Varone e da altri elementi acquisiti nelle indagini nonché dalla
successione temporale delle tappe per la stipula del contratto; il Giudice ha
inoltre travisato il dato della autorizzazione all’operazione data da parte del
ministro nonché il mancato esercizio del diritto di prelazione da parte di
Sonatrach; il ricorrente ha infine ribadito come le rogatorie in corso possano
offrire elementi assolutamente rilevanti quanto ai flussi finanziari.
3.4. Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione all’uso di massime d’esperienza nella valutazione degli elementi di
prova ed, in particolare, con riguardo alla ipotizzata attività di lobbismo svolta da
Scaroni e Vella in Algeria, là dove il Giudice ha altresì trascurato di considerare
che il codice etico approvato dal C.d.a. di ENI impone di osservare correttezza,
trasparenza e tracciabilità nei rapporti con la pubblica amministrazione e che,
nelle comunicazioni ufficiali della società, non v’è traccia di attività di lobbismo
autorizzata; ancora, ad avviso del ricorrente è errata la massima d’esperienza
applicata dal Giudice nella valutazione degli incontri informali in albergo con il
ministro algerino.
4. Avverso la sentenza ha presentato ricorso anche il Procuratore generale
della Repubblica presso la Corte d’appello di Milano e ne ha chiesto
l’annullamento per violazione degli artt. 425 e 192, comma 3, del codice di rito.
Sotto un primo profilo, il ricorrente eccepisce che il Giudice ha effettuato
una valutazione talmente penetrante degli elementi di prova offerti dal pubblico
ministero che si è risolta, di fatto, in un giudizio sul merito della colpevolezza,
andando oltre l’apprezzamento condotto sul piano esclusivamente processuale
della insostenibilità dell’accusa in giudizio.
13

appalti con SAIPEM;

Sotto diverso profilo, il Procuratore generale evidenzia come le motivazioni
della sentenza sui temi d’accusa appaiono talora incomplete, altre volte
apodittiche ed illogiche, là dove prospettano interpretazioni degli elementi
probatori alternative oppure fondate su mere asserzioni prive di riscontri.
Il ricorrente pone ancora in luce come il Giudice non abbia correttamente
valutato i riflessi probatori ottenibili nella fase del giudizio per effetto delle
rogatorie internazionali ancora in corso in Algeria, Svizzera e Libano. Ad avviso
del P.G, il Giudice non ha, d’altra parte, considerato come le criticità delle

dibattimentale. Il decidente ha inoltre operato richiami solo parziali alle
dichiarazioni rese da Varone e Orsi, sradicati dal contesto complessivo della
narrazione, ed ha erroneamente preteso che gli elementi indicati a riscontro di
tali chiamate in correità debbano avere natura di prova autonoma. Ancora, il
P.G. evidenzia che le dichiarazioni di Scaroni sono smentite nella parte in cui ha
dichiarato che Bedjaoui si presentava come segretario particolare del ministro,
dal momento che ciò non risulta in nessun incarico formale, nè Varone né Orsi
hanno mai reso dichiarazioni in tal senso.
Il ricorrente denuncia inoltre diversi aspetti di irragionevolezza e/o di
contraddizione del ragionamento seguito dal Giudice, in particolare: in merito al
fatto che gli incontri fra Scaroni ed il ministro algerino non possono spiegarsi in
termini di attività lobbistica – che deve svolgersi in modo trasparente ed è stata,
fra l’altro, regolamentata in ambito europeo con la creazione di un registro
comune europeo – e comunque sono stati indicati come anomali anche dai
soggetti apicali di ENI Cao e De Scalzi; quanto ai rapporti fra SAIPEM ed ENI ed,
in particolare, allo stretto controllo di quest’ultima sulla controllata accentuatosi
con l’arrivo di Scaroni, trattandosi di circostanza che emerge dagli atti, sebbene
non mai formalizzata in atti ufficiali; in ordine alla lettura delle intercettazioni,
operata dal Giudice estrapolando frasi dal complessivo contesto dichiarativo. La
motivazione è, d’altra parte, illogica e contraddittoria quanto alla valutazione
delle dichiarazioni rese da De Scalzi e Cao; quanto all’affermazione circa
l’insufficienza del materiale a dimostrazione dei “fondi neri” mediante
sovrafatturazione delle prestazioni a OEC e LEAD; quanto al mancato rispetto da
parte di ENI della procedura di autorizzazione del ministro algerino all’acquisto
della società petrolifera canadese; quanto alle dichiarazioni rese da Varone in
merito in merito alle ragioni che avevano portato ENI a pagare mediante SAIPEM
per il giacimento petrolifero di MLE ed alle circostanze che ne confermano
l’attendibilità (quali gli incontri serrati fra Tali, Scaroni, Bedjaoui ed il ministro)
nonché in merito all’autorizzazione del ministro all’acquisto di FCP e
all’ampliamento dell’esplorazione all’area denominata giacimento CAFC; quanto
14

dichiarazioni rese da Cao e De Scalzi possano essere superate nell’esame

all’omessa valutazione delle e-mail ricevute da ENI da parte del ministro in
merito al trattamento di favore ricevuto.
Lamenta il Procuratore generale che, contrariamente a quanto dato atto dal
Gup, dalle dichiarazioni di Vella e Scaroni (rectius Varone) non si evince che
quando Tali e Varone

(rectius Scaroni) incontravano il ministro algerino e

Bedjaoui la complessa operazione si fosse ormai conclusa. Dall’analisi dei conti
correnti bancari risultano confermate le dichiarazioni rese da Orsi e Varone
quanto alle ingenti somme percepite da Bedjaoui.

sull’erronea valutazione della posizione di Antonio Vella: il Giudice ha trascurato
le dichiarazioni rese da Orsi in merito al fatto che Bedjaoui aveva costruito una
rete di persone per trattare le questioni di ENI di cui faceva parte Vella, come
confermato dal documento consegnato da Orsi ed acquisito agli atti,
completamente trascurato dal Giudice.
5. Nella memoria depositata in cancelleria, l’Agenzia delle Entrate, in
persona del Direttore Generale in carica, rappresentato e difeso dall’Avvocatura
Generale dello Stato si è associata ai motivi di censura della Procura Generale
presso la Corte d’appello di Milano.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono fondati e devono pertanto essere accolti, con conseguente
annullamento con rinvio della sentenza impugnata e trasmissione degli atti al
Giudice per l’udienza preliminare di Milano per una nuova deliberazione. Ritiene
invero il Collegio che, nel pronunciare sentenza di non luogo a procedere, il
Giudice milanese sia andato oltre i confini posti al proprio sindacato dall’art. 425
del codice di rito ed abbia fatto una non corretta applicazione delle regole in
punto di valutazione delle prove.
2. Innanzitutto, occorre sgombrare il campo da un primo rilievo mosso dalle
difese di taluni imputati, là dove hanno chiesto che i ricorsi del Procuratore della
Repubblica presso il Tribunale di Milano e del Procuratore generale presso la
Corte d’appello di Milano siano dichiarati inammissibili in quanto fondati su
motivi tesi ad una rivisitazione del merito della decisione, a fronte di un
provvedimento liberatorio assistito da una motivazione non manifestamente
incongrua e, dunque, incensurabile nella sede di legittimità.
Il principio invocato dalle difese degli imputati persone fisiche e giuridiche frutto di una consolidata giurisprudenza di questa Corte in tema di controllo della
motivazione (secondo la quale lo scrutinio di legittimità non può spingersi sino
alla mirata rilettura dell’incarto processuale dovendo essere condotto sul piano
della non manifesta irragionevolezza dell’iter logico argomentativo) – si riferisce
invero al giudizio di merito all’esito del processo e non può essere tout court
15

Il ricorrente evidenzia infine che il vizio di motivazione si riflette anche

”esportato” ai fini del controllo della motivazione della sentenza di non luogo a
procedere, che – come si dirà meglio nel prosieguo – si fonda, non
sull’accertamento dell’innocenza dell’imputato, bensì sulla rilevata inidoneità del
compendio probatorio – di quello già assunto e di quello acquisibile nel processo a sostenere l’accusa in giudizio e giustificare lo sviluppo dibattimentale. Ne
discende che, sebbene talune censure mosse nelle impugnazioni siano
effettivamente volte a sollecitare una rilettura delle emergenze processuali – ed,
in questa parte, non v’è dubbio che i ricorsi siano inammissibili -, detto aspetto

concernenti le eccepite violazioni sia della regola di giudizio della sentenza di non
luogo a procedere ex art. 425 cod. proc. pen., sia del disposto dell’art. 192,
comma 3, cod. proc. pen., in relazione alla valutazione ed alla utilizzazione delle
chiamate in correità di Pietro Varoni e Tullio Orsi.
3. Sempre in via preliminare, va chiarito che i ricorsi delle parti pubbliche,
per quanto si diffondano principalmente su alcune posizioni (in particolare, sulla
posizione dello Scaroni) ed imputazioni [segnatamente su quella di cui al capo A)
e, quindi, sub capo B), concernente la responsabilità degli enti derivante dal
delitto di cui al capo precedente], non possono ritenersi inammissibili per
genericità con riguardo alle posizioni ed alla imputazione (in particolare, quella
sub capo C) meno coltivate negli atti d’impugnazione.
Sulla scorta di ciò si è già anticipato e che si dirà più diffusamente, la
decisione impugnata risulta minata alla base dalla duplice violazione degli artt.
425 e 192, comma 3, cod. proc. pen., con riguardo alla regola di giudizio da
applicare in udienza preliminare ed ai criteri di valutazione ed utilizzazione della
provvista indiziaria e probatoria comune a tutte le incolpazioni, di tal che la
ritenuta fondatezza delle doglianze mosse al riguardo dai ricorrenti non può che
travolgere integralmente la sentenza in verifica, in relazione alla generalità degli
imputati e delle imputazioni.
4. Il tema dell’ampiezza dei poteri del giudice dell’udienza preliminare e,
quindi, della regola di giudizio posta a base della sentenza di non luogo a
procedere è indubbiamente complesso e da sempre oggetto di un acceso
dibattito in dottrina e giurisprudenza.
L’udienza preliminare rappresenta uno dei principali snodi del procedimento
penale, quello nel quale il giudice è chiamato a vagliare la richiesta di rinvio a
giudizio formulata dal pubblico ministero ed a decidere se dare ingresso alla
successiva fase dibattimentale ovvero se decretare la conclusione del
procedimento, ferma restando la possibilità della revoca della sentenza di non
luogo a procedere ai sensi degli artt. 434 e seguenti cod. proc. pen. Il controllo
giurisdizionale sull’esercizio dell’azione penale ha una diretta influenza tanto sulle
16

risulta nondimeno assorbito dalla fondatezza delle deduzioni “a monte”,

garanzie di difesa dell’imputato quanto sulle esigenze di economia processuale,
risultando di tutta evidenza come la maggiore o minore chiusura delle maglie del
“filtro” da adoperare in questa fase possa scongiurare un’inutile prosecuzione
dell’attività processuale a vantaggio dell’imputato nonché incidere sui flussi degli
affari convogliati nella fase del giudizio, corrispondendo ad un ampliamento dei
poteri riconosciuti in capo al giudice un inevitabile effetto deflattivo dello sviluppo
dibattimentale.
4.1. Nella formulazione originaria, l’art. 425 cod. proc. pen. consentiva la

“evidente” la prova di una causa di proscioglimento, perché il fatto non sussiste,
l’imputato non lo ha commesso, il fatto non costituisce reato nonché per difetto
di imputabilità o punibilità.
All’indomani dell’entrata in vigore del vigente codice di rito, la Corte
Costituzionale ebbe modo di chiarire che l’udienza preliminare è stata concepita
non come strumento di accertamento della verità materiale, ma come fase
processuale non di cognizione piena, che esclude una valutazione approfondita
del merito dell’imputazione o di tipo prognostico sulle prospettive di condanna o
assoluzione dell’imputato; il giudice dell’udienza preliminare non deve
apprezzare il fondamento dell’accusa in termini di positiva verifica della
colpevolezza dell’imputato, ma soltanto scongiurare la celebrazione di un
dibattimento superfluo, operando una verifica su di un piano squisitamente
processuale (C. Cost., 8 febbraio 1991, n. 64; ord. 6 giugno 1991, n. 252; 8
febbraio 1991, n. 64; ord. 10 febbraio 1993 n. 41; 11 marzo 1993, n. 82).
4.2. Con la legge 8 aprile 1993, n. 105, il legislatore ha soppresso dall’art.
425 il requisito della “evidenza” della causa di non luogo a procedere, con
conseguente rafforzamento del potere valutativo del giudice dell’udienza
preliminare, non più condizionato da prove qualificate (C. Cost., 15 marzo 1994,
n. 88). Dopo la novella del 1993, il Giudice delle leggi ha ribadito la natura
“processuale” della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen. (C. Cost., ord. 24
gennaio 1996, n. 24; ord. 26 marzo 1997 n. 97).
4.3. La fase dell’udienza preliminare ha subito un incisivo rimodellamento
con la legge 16 dicembre 1999, n. 479, con la quale, per un verso, sono stati
ampliati i poteri istruttori demandati al giudice dell’udienza preliminare ai sensi
degli artt. 421-bis e 422, comma 1, cod. proc. pen. (esercitabili sia su
sollecitazione di parte, sia d’ufficio); per altro verso, si è previsto che il giudice
pronunci sentenza di non luogo a procedere “anche quando gli elementi acquisiti
risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa
in giudizio”.

17

pronuncia della sentenza di non luogo a procedere soltanto nel caso in cui fosse

Alla stregua dell’attuale assetto normativo, la sentenza di non luogo a
procedere poggia su basi più solide, in quanto la deliberazione si fonda su di una
piattaforma conoscitiva almeno tendenzialmente completa.
4.4. La riforma del 1999 ha indotto un ripensamento in dottrina ed in
giurisprudenza sui poteri esercitabili dal Gup a vaglio della richiesta di rinvio a
giudizio e, correlativamente, sulla natura della sentenza ex art. 425 cod. proc.
pen.
In dottrina prevale l’opinione secondo la quale la novella mira a rendere

caratteristiche della sentenza di non luogo a procedere, che era ed è rimasta una
pronuncia meramente processuale, destinata a valutare la ricorrenza dei
presupposti per il passaggio alla fase dibattimentale e, dunque, a sbarrare la
strada ad “imputazioni azzardate”.
La Corte Costituzionale, chiamata ad una nuova riflessione sulle attuali
connotazioni dell’udienza preliminare, preso atto del rinnovato quadro
normativo, ha sensibilmente corretto l’originaria impostazione. In particolare,
nella sentenza n. 224 del 2001 (in tema di incompatibilità del giudice), i Giudici
della Consulta hanno evidenziato che “a seguito delle importanti innovazioni
introdotte, in particolare, dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479, l’udienza
preliminare ha subito una profonda trasformazione sul piano sia della quantità e
qualità di elementi valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri
correlativamente attribuiti al giudice, e, infine, per ciò che attiene alla più estesa
gamma delle decisioni che lo stesso giudice è chiamato ad adottare”. Per altro
verso, si è evidenziato che il tema decisorio dell’udienza preliminare risulta
ampliato in considerazione dei più ampi poteri d’indagine riconosciuti alla difesa
con la legge 7 dicembre 2000, n. 397. Dato atto di tali novità, la Corte
costituzionale ha rimarcato che, nell’udienza preliminare – come regolata
dall’attuale disciplina -, da un lato, si realizza un contraddittorio più esteso
rispetto al passato; dall’altro, v’è “un incremento degli elementi valutativi, cui
necessariamente corrisponde – quanto alla determinazione conclusiva – un
apprezzamento del merito ormai privo di quei caratteri di “sommarietà” che
prima della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta
allo stato degli atti”. Con la sentenza n. 335 del 2002 (sempre in tema di
operatività del principio di imparzialità del giudice), il Giudice costituzionale ha
ribadito che “il nuovo art. 425, in questo modo, chiama il giudice a una
valutazione di merito sulla consistenza dell’accusa, consistente in una prognosi
sulla sua possibilità di successo nella fase dibattimentale”.
4.5. Sulla scia di tali affermazioni di principio, questa Suprema Corte, nel
suo più ampio consesso, ha osservato che, “per effetto delle innovazioni
18

effettiva la funzione di filtro dell’udienza preliminare, ma non ha alterato le

introdotte con la legge 16 dicembre 1999, n. 479, l’udienza preliminare ha subito
una profonda trasformazione sul piano sia della qualità e quantità di elementi
valutativi che vi possono trovare ingresso, sia dei poteri correlativamente
attribuiti al giudice, cui ha corrisposto, quanto alla determinazione conclusiva, un
apprezzamento del merito ormai privo di quei caratteri di sommarietà che prima
della riforma erano tipici di una delibazione tendenzialmente circoscritta allo
stato degli atti” (Sez. U, 26/06/2002 – dep. 19/09/2002, P.G. in proc. D’Alterio,
non massimata sul punto).

preliminare è intervenuta la legge 7 novembre 2002, n. 248, che, nel ridisegnare
i casi di rimessione (art. 45 cod. proc. pen.) e nel disciplinare gli effetti della
richiesta (art. 47, comma 2, cod. proc. pen.), ha previsto che il processo sia
obbligatoriamente sospeso prima dello svolgimento delle conclusioni e della
discussione e che il giudice non possa comunque pronunciare “il decreto che
dispone il giudizio o la sentenza”, con ciò facendo rientrare anche l’udienza
preliminare nel concetto di “processo di merito”.
4.7. Un fondamentale punto fermo sul tema è stato posto da questo Giudice
di legittimità, nella sentenza a Sezioni Unite Vottari. Investita della questione
concernente i rapporti fra rinvio a giudizio e giudizio di gravità indiziaria a fini
cautelari, questa Corte a composizione allargata ha evidenziato che, “pur
essendo innegabile che, all’interno di un disegno frammentario del legislatore, gli
strappi acceleratori verso un vero e proprio giudizio di merito, rispetto
all’originario carattere di momento di impulso meramente processuale, hanno
influito sulla struttura dell’udienza preliminare, la regola di diritto per il rinvio a
giudizio resta tuttavia qualificata dalla peculiarità dell’oggetto della valutazione e
del correlato metodo di analisi. L’obiettivo arricchimento, qualitativo e
quantitativo, dell’orizzonte prospettico del giudice, rispetto all’epilogo
decisionale, non attribuisce infatti allo stesso il potere di giudicare in termini di
anticipata verifica della innocenza-colpevolezza dell’imputato, poiché la
valutazione critica di sufficienza, non contraddittorietà e comunque di idoneità
degli elementi probatori, secondo il dato letterale del novellato comma 3 dell’art.
425, è sempre e comunque diretta a determinare, all’esito di una delibazione di
tipo prognostico, divenuta oggi più stabile per la tendenziale completezza delle
indagini, la sostenibilità dell’accusa in giudizio e, con essa, l’effettiva, potenziale,
utilità del dibattimento in ordine alla regiudicanda.
S’intende cioè sostenere che il radicale incremento dei poteri di cognizione e
di decisione del giudice dell’udienza preliminare, pur legittimando quest’ultimo a
muoversi implicitamente anche nella prospettiva della probabilità di colpevolezza
dell’imputato, non lo ha tuttavia disancorato dalla fondamentale regola di
19

4.6. A certificare il mutamento di struttura e di funzione dell’udienza

giudizio per la valutazione prognostica, in ordine al maggior grado di probabilità
logica e di successo della prospettazione accusatoria ed all’effettiva utilità della
fase dibattimentale, di cui il legislatore della riforma persegue, espressamente,
una significativa deflazione. Di talché, gli epiloghi decisionali dell’udienza
preliminare, quanto ai casi che risultino allo stato degli atti aperti a soluzioni
alternative, si ricollocano specularmene nel solco delle coordinate già tracciate
dall’art. 125 disp. att. cod. proc. pen, per l’archiviazione, come logico
completamento della riforma introdotta con la legge n. 105 del 1993, recante la

– dep. 26/11/2002, Vottari, Rv. 222602; Sez. VI, 16 novembre 2001 n. 45275,
Acampora, Rv. 221303).
4.8. Nei successivi arresti, questa Corte è nondimeno tornata a ribadire che
– anche a seguito delle modifiche alla disciplina della udienza preliminare e dei
presupposti della sentenza di non luogo a procedere operate con la novella del
1999 -, la sentenza di non luogo a procedere mantiene natura di sentenza di
natura processuale e non di merito. Il criterio di valutazione per il giudice
dell’udienza preliminare non è dunque l’innocenza dell’imputato, ma l’inutilità del
dibattimento, anche in presenza di elementi di prova contraddittori od
insufficienti, di tal che il giudice deve pronunziare sentenza di non luogo a
procedere solo quando sia ragionevolmente prevedibile che gli stessi siano
destinati a rimanere tali all’esito del giudizio (Cass. Sez. 6, n. 33921 del
17/07/2012, P.C. in proc. Rolla, Rv. 253127; Sez. 2, n. 48831 del 14/11/2013 dep. 05/12/2013, Pg in proc. Maida, Rv. 257645). In altri termini, la funzione di
“filtro” dell’udienza preliminare opererebbe nei soli casi di imputazione
palesemente “azzardata”.
4.9. Nell’avvicinarsi al termine della rassegna giurisprudenziale in materia,
occorre dare atto dei più recenti approdi della giurisprudenza di legittimità.
In particolare, si è affermato che, ai fini della pronuncia della sentenza di
non luogo a procedere, il giudice dell’udienza preliminare deve esprimere una
valutazione prognostica in ordine alla “completabilità degli atti di indagine” e alla
“inutilità del dibattimento”, anche in presenza di elementi di prova contraddittori
o insufficienti, dando conto del fatto che il materiale dimostrativo acquisito è
insuscettibile di completamento e che il proprio apprezzamento in ordine alla
prova positiva dell’innocenza o alla mancanza di prova della colpevolezza
dell’imputato è in grado di resistere ad un approfondimento nel contraddittorio
dibattimentale (Sez. 6, n. 36210 del 26/06/2014 – dep. 27/08/2014, P.C. in
proc. C., Rv. 260248). Secondo il principio generale desumibile dal sistema, deve
difatti procedersi al dibattimento solo se dallo svolgimento della relativa
istruttoria la prospettiva accusatoria può trovare ragionevole sostegno per fugare
20

soppressione del presupposto della ‘evidenza’ (Sez. U, n. 39915 del 30/10/2002

la situazione di dubbio, ma non anche in caso di astratta possibilità di una
decisione diversa a parità di quadro probatorio (Sez. 6, n. 17659 del 01/04/2015
– dep. 27/04/2015, P.G. in proc. Bellissimo e altro, Rv. 263256). In presenza di
fonti di prova che si prestino ad una molteplicità ed alternatività di soluzioni
valutative, il giudice deve verificare se tale situazione possa essere superata
attraverso le verifiche e gli approfondimenti propri della fase del dibattimento,
ma non può operare valutazioni di tipo sostanziale che spettano, nella predetta
fase, al giudice naturale (Cass. Sez. 6, n. 6765 del 24/01/2014, Pmt in proc.

Mette conto segnalare la pronuncia nella quale questa Corte ha affermato il
principio secondo il quale, nel delibare la legittimità dell’esercizio dei poteri
decisori da parte del giudice dell’udienza preliminare, si debba prescindere da
distinzioni astratte tra valutazioni processuali e valutazioni di merito e come si
debba piuttosto avere riguardo – come per le decisioni emesse all’esito del
dibattimento – alla completezza ed alla congruità della motivazione stessa, in
relazione all’apprezzamento dell’aspetto prognostico dell’insostenibilità
dell’accusa in giudizio, sotto il profilo della insuscettibilità del compendio
probatorio a subire mutamenti nella fase dibattimentale (Sez. 6, n. 290156 del
03/06/2015 – dep. 08/07/2015, P.M. e altro in proc. Arvonio e altri, Rv.
264053).
4.10. Un significativo passo in avanti nella elaborazione teorica dell’istituto
de quo è stato compiuto con la recente decisione con la quale questa Corte ha
affermato che il giudice dell’udienza preliminare è chiamato ad una valutazione
di effettiva consistenza del materiale probatorio posto a fondamento dell’accusa,
eventualmente avvalendosi dei suoi poteri di integrazione delle indagini, e, ove
ritenga sussistere tale necessaria condizione minima, deve disporre il rinvio a
giudizio dell’imputato, salvo che vi siano concrete ragioni per ritenere che il
materiale individuato, o ragionevolmente acquisibile in dibattimento, non
consenta in alcun modo di provare la sua colpevolezza (Sez. 6, n. 33763 del
30/04/2015 – dep. 30/07/2015, P.M. in proc. Quintavalle e altri, Rv. 264427).
Come si legge nell’ampia motivazione di tale sentenza, “la regola di giudizio
al fine del rinvio a giudizio o, per converso, del proscioglimento nel merito,
consiste innanzitutto nella presentazione da parte del P.M. di elementi probatori
che dimostrino allo stato un livello di fondatezza delle accuse, definibile “serio”.
Rispetto a tale precondizione, il giudice, nel contraddittorio delle parti,
valuterà che a tale materiale si aggiunga una prospettiva di utile sviluppo delle
prove a carico nel corso del dibattimento ovvero la impossibilità che ciò avvenga
(caso tipico è la utilizzazione di dichiarazioni del correo che ha, però, manifestato
la scelta di non ripetere le sue accuse). La situazione di incertezza probatoria,
21

Luchi e altri, Rv. 258806).

invece, pur se si colloca in un caso nel quale è innegabile lo “sviluppo
dibattimentale”, non giustifica il rinvio a giudizio. Il ruolo del Gup non è
certamente quello di verificare l’innocenza (se non evidente) o la colpevolezza,
bensì quello di individuazione di una minima probabilità di colpevolezza,
condizione che giustifica la sottoposizione al processo, e la assenza di ragioni per
ritenere che l’accusa non sia suscettibile di essere definitivamente provata in
dibattimento. Va peraltro rammentato come tale situazione si collochi in un
contesto di tendenziale completezza delle indagini che si rileva nell’art. 421-bis

5. Tirando le fila delle indicazioni ermeneutiche sopra delineate e tracciando
i principi posti a base della presente decisione, giudica il Collegio che, secondo la
disciplina dell’udienza preliminare come risultante dalla novella del 1999 ed alla
ratio della disposizione dell’art. 425 cod. proc. pen. – cui è indubbiamente
sottesa l’esigenza di evitare l’inutile prosecuzione di procedimenti fondati su basi
poco consistenti e di realizzare un effetto deflattivo di dibattimenti superflui -, la
sentenza di non luogo a procedere costituisca una sentenza di merito su di un
aspetto processuale. Ed invero, il giudice dell’udienza preliminare è chiamato ad
una valutazione sulla sostanza degli elementi dedotti dal pubblico ministero a
sostegno della richiesta ex art. 416 cod. proc. pen., eventualmente integrati ai
sensi degli artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen., dunque ad espletare un giudizio
di merito, e, nondimeno, tale giudizio di merito ha ad oggetto, non la fondatezza
dell’accusa – cioè la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato (salvo il caso in cui
essa sia evidente) -, bensì la capacità di siffatti elementi – perché sufficienti, non
insanabilmente contraddittori o idonei – di dimostrare la sussistenza di una
“minima probabilità” che all’esito del dibattimento sia affermata la colpevolezza
dell’imputato, in tale senso dovendosi declinare la sostenibilità dell’accusa in
giudizio codificata (in negativo) nel comma 3 dell’art. 425 e, quindi, la condizione
che possa giustificare la sottoposizione dell’incolpato a processo. In altri termini,
il Gup è tenuto a verificare che la piattaforma degli elementi conoscitivi, costituiti
dalle prove già raccolte e da quelle che potranno essere verosimilmente acquisite
nello sviluppo processuale – secondo una valutazione prognostica ispirata a
ragionevolezza -, sia munita di una consistenza tale da far ritenere probabile la
condanna e da dimostrare, pertanto, l’effettiva, seppure potenziale, “utilità del
dibattimento”.
Si deve dunque ribadire che, ai fini del rinvio a giudizio, è necessario che
sussista ciò che – nella sopra ricordata sentenza n. 33763/2015 – questa Corte
ha definito un “minimum probatorio” su cui innestare la valutazione circa la
“serietà del livello di fondatezza delle accuse”. Entro tale perimetro, il decidente
è investito di un giudizio di merito, di natura prognostica, fondato sulle
22

c.p.p.”.

acquisizioni già presenti nel fascicolo – eventualmente arricchite nei termini già
sopra delineati – valutate in una prospettiva non statica, ma dinamica, avendo
cioè riguardo al loro sviluppo ragionevole nel processo

(id est alla c.d.

potenzialità espansiva del dibattimento), dovendo anche sotto tale angolazione
verificare l’utilità dello sviluppo dibattimentale. Sul punto, va riaffermato il
principio già stabilito da questa Corte, nella sentenza n. 36210/2014 (sopra
ricordata), secondo il quale, ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a
procedere, il giudice dell’udienza preliminare deve esprimere una valutazione

dibattimento”, anche in presenza di elementi di prova contraddittori o
insufficienti, dando conto del fatto che il materiale dimostrativo acquisito è
insuscettibile di completamento e che il proprio apprezzamento in ordine alla
prova positiva dell’innocenza o alla mancanza di prova della colpevolezza
dell’imputato è in grado di resistere ad un approfondimento nel contraddittorio
di batti mentale.
Conclusivamente, la sentenza di non luogo a procedere discende da una
valutazione, non di non colpevolezza dell’imputato (salvo il caso di innocenza
evidente), bensì di insussistenza di elementi, acquisiti o potenziali (cioè
suscettibili di integrazione attraverso il contraddittorio dibattimentale), utili a
dimostrare la “serietà” dell’accusa e, quindi, l'”utilità” del passaggio alla fase
dibattimentale.
6. Da quanto testè rilevato discende che, se il giudice dell’udienza
preliminare è legittimato ad esercitare il proprio prudente apprezzamento nella
valutazione dei dati probatori al solo fine di verificare se l’impianto probatorio
sussistente – o ragionevolmente integrabile nel dibattimento – dimostri un livello
di fondatezza delle accuse definibile “serio”, rimangono fuori dall’orizzonte del
sindacato da espletare in questa fase quelle valutazioni che si sostanzino nella
lettura/interpretazione di emergenze delle indagini o delle prove già raccolte
connotate da una portata o da un significato “aperti” o “alternativi” o, dunque,
suscettibili di una diversa valutazione da parte dei giudici del dibattimento, anche
in ragione delle possibili acquisizioni istruttorie nel processo. Tale sindacato
attiene invero alla delibazione sul merito della pretesa accusatoria – e non della
effettiva utilità dello sviluppo dibattimentale -, e dunque compete in via esclusiva
ai giudici della cognizione.
6.1. Cercando di esemplificare, sarà certamente possibile pronunciare
sentenza di non luogo a procedere nel caso in cui l’impianto probatorio sia
fondato in via esclusiva sulle dichiarazioni di un chiamante in correità allorchè
non risultino acquisiti al fascicolo riscontri esterni individualizzanti e non si profili
all’orizzonte processuale la possibilità di una futura acquisizione di essi, secondo
23

prognostica in ordine alla “completabilità degli atti di indagine” e alla “inutilità del

un giudizio prognostico improntato a criteri di ragionevolezza. Di contro, al
giudice dell’udienza preliminare è preclusa la diretta valutazione del narrato del
chiamante per affermarne l’inconsistenza a fondare il giudizio di colpevolezza
così come la svalutazione degli elementi forniti dall’inquirente a costituire valido
riscontro individualizzante al dichiarato, atteso che tale apprezzamento del
compendio probatorio sostanzia una decisione sulla

res iudicanda, cioè un

giudizio sulla fondatezza dell’accusa elevata dal pubblico ministero, e non una
decisione sulla serietà dell’impianto dell’accusa, che appunto compete al Gup; ciò

generale, l’inconsistenza del quadro d’accusa siano di così luminosa evidenza da
rendere manifesta l’inutilità di far proseguire oltre la causa, atteso che in siffatte
ipotesi gli elementi a carico non consentono letture alternative diverse da quella
della palese infondatezza della prospettazione accusatoria.
7. A tali coordinate ermeneutiche non si è conformato il Giudice del
provvedimento in verifica.
8.

In primo luogo, mette conto porre in rilievo come il corredo

argomentativo della sentenza impugnata, a discapito della mole del documento,
sia in effetti carente nella ricostruzione degli elementi a carico.
8.1. Ed invero, il Giudice milanese ha dato conto delle fonti di prova a carico
in modo del tutto parcellizzato ed, in particolare, non ha chiarito in termini
completi e puntuali quale sia il contenuto delle dichiarazioni rese dai principali
accusatori, segnatamente da Pietro Varone e Tullio Orsi, con ciò impedendo a
questa Corte di verificare sia la fondatezza della non perfetta convergenza
dell’apporto conoscitivo dei due chiamanti rilevata dal decidente, sia – e
soprattutto – di individuare i profili del narrato che avrebbero dovuto essere
confermati da specifici elementi di riscontro individualizzante – stimati dal Gup
assenti o comunque sguarniti di univoca significatività – e, dunque, di valutare se
il giudizio espresso in merito alla superfluità del dibattimento possa o meno
ritenersi corretto.
8.2. Il difetto di motivazione riguarda anche il tema delle rogatorie, là dove,
non essendo precisato in sentenza il contributo probatorio da esse acquisibile,
risulta preclusa a questo Giudice di legittimità la verifica in ordine alla legittimità
della valutazione espressa dal Gup in merito alla sostanziale irrilevanza (almeno
per le posizioni investite dal proscioglimento) delle acquisizioni richieste
all’estero, in particolare con riguardo a quelle formulate all’A.G. del Libano e
della Svizzera che, secondo i ricorrenti, dovrebbero – di contro – fornire precise e
preziose conferme all’assunto d’accusa.
8.3. Le carenze della motivazione sopra delineate rendono il provvedimento
impugnato viziato da nullità ai sensi dell’art. 606 lett. e) cod. proc. pen.
24

salvo il caso in cui l’inattendibilità del dichiarante o della sua narrazione o, più in

La valutazione espressa dal Gup nel senso della inutilità del dibattimento
non può che presupporre una ricostruzione puntuale e completa del compendio
probatorio sia esistente e dedotto a corredo della richiesta ex art. 416 cod. proc.
pen., sia di quello processualmente acquisibile nello sviluppo del procedimento,
così da rendere possibile a questo Giudice della impugnazione di comprendere le
premesse del ragionamento seguito per pervenire all’esito liberatorio e verificare
la correttezza della ritenuta insussistenza del

“minumum

probatorio”

dimostrativo di un “serio” livello di fondatezza delle accuse. Il Giudice che sbarri

dell’azione penale, è tenuto ad assolvere con puntualità all’obbligo di
motivazione e ad esplicitare, con considerazioni circostanziate e conformi a
ragionevolezza, i motivi per i quali abbia escluso la serietà della proposizione
accusatoria – e, dunque, la prevedibilità di una futura affermazione di condanna nonchè stimato irrealistico l’arricchimento nello sviluppo dibattimentale del
materiale probatorio ritenuto al momento insufficiente.
9.

Ma anche a prescindere dalla rilevata lacuna argomentativa, come

anticipato, la decisione del Giudice di Milano deve essere comunque annullata
per l’erroneità tanto della regola di giudizio seguita ai fini dell’esito liberatorio,
quanto dei principi di diritto e delle massime d’esperienza utilizzati per valutare
taluni degli elementi probatori.
10. Quanto al primo aspetto, ritiene il Collegio che il Giudice milanese abbia
errato là dove non si è fermato a delibare la serietà dell’impianto probatorio
come sottoposto al proprio vaglio, tenendo altresì conto della potenzialità
espansiva dello sviluppo processuale, ma ha compiuto, sulla base degli elementi
offerti, un vero e proprio giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa e, quindi,
sulla colpevolezza/innocenza degli imputati, persone fisiche e persone giuridiche.
Ed invero, il Giudice ha evidenziato come l’impianto accusatorio poggi, per
un verso, sulle dichiarazioni di Pietro Varone ed, in parte, di Tullio Orsi assunte in
incidente probatorio (e dunque ormai acquisite al processo come prove),
rilevando che le dichiarazioni del secondo sono in parte de relato rispetto a
quanto acquisito dal primo e che i narrati dei due chiamanti non sono,
comunque, perfettamente convergenti; per altro verso, sulla documentazione
concernente i contratti stipulati da SAIPEM S.p.A. e le sue controllate con Pearl
Partners Ltd e sui molteplici flussi di denaro tracciati (in parte oggetto delle
rogatorie in corso), osservando che i flussi finanziari non sono riconducibili
direttamente ad ENI e, quindi, a Scaroni se non attraverso le parole di Varone ed
Orsi.
Seguendo il criterio di valutazione sopra delineato nei paragrafi 5 e 6 del
considerato in diritto, dinanzi alle circostanze storico fattuali emergenti dalle
25

il corso del procedimento, in un sistema governato dal principio di obbligatorietà

dichiarazioni di Varone e Orsi, il Giudice si sarebbe dovuto limitare a verificare la
sussistenza – fra le acquisizioni degli inquirenti – di elementi idonei a fungere da
riscontro individualizzante in termini di pertinenza al thema probandum e di non
manifesta inconsistenza dei dati dedotti e, dunque, a valutare sotto tale profilo la
“serietà” del quadro d’accusa. Di contro, il Gup non avrebbe potuto sottoporre
ciascuno di tali elementi ad un’operazione di interpretazione, valutazione e scelta
fra l’una o l’altra delle possibili letture alternative, atteso che tale apprezzamento
si è risolto in un giudizio di merito sulla fondatezza dell’accusa – spettante in via

d’essere in relazione ad elementi che, proprio nell’ottica nei quali erano stati
sottoposti al vaglio del giudicante, non costituivano prove, ma soltanto dei dati a
convalida delle dichiarazioni accusatorie degli imputati dello stesso reato o in
reato connesso.
10.1. La migliore evidenza di quanto si sostiene si trae dalla estrema
ampiezza ed analiticità delle motivazioni sviluppate dal decidente per pervenire
alla conclusione liberatoria. Anziché limitarsi a dare atto delle chiamate in
correità/reità di Pietro Varone e Tullio Orsi e ad evidenziare la sussistenza o,
rectius, l’insussistenza di elementi potenzialmente idonei a costituire riscontro
individualizzante al loro narrato, il Giudice ha proceduto ad un’approfondita e
diffusa disamina – articolatasi in ben sessanta cartelle (da pagina 17 a pagina
67) – di ciascuna evidenza probatoria o indiziaria indicata dai pubblici ministeri a
rinforzo e si è quindi diffuso sulla interpretazione e sulla portata dimostrativa di
tali elementi per affermarne l’intrinseca inidoneità ed, a volte, la
contraddittorietà. In altri termini, il Gup è pervenuto alla conclusione circa
l’insufficienza e/o l’inidoneità degli elementi indicati a riscontro alle propalazioni
accusatorie – con conseguente ritenuta mancanza del “minumum probatorio”
necessario per l’evoluzione dibattimentale – all’esito di un giudizio condotto alla
luce del proprio prudente apprezzamento nell’ambito del quale ha soppesato ed
interpretato i diversi dati indicati dagli inquirenti, operando di volta in volta una
scelta fra le plurime letture e possibili significati di essi. Il che costituisce
luminosa dimostrazione del fatto che le valutazioni sottese alla sentenza ai sensi
dell’art. 425 pronunciata lo scorso 2 ottobre costituiscono espressione di una
delibazione di puro merito, sulla sostanza e fondatezza delle accuse, non
consentita nella fase in quanto riservata al giudizio dibattimentale.
Si pensi – a titolo di esempio – all’interpretazione data dal Gup agli scambi
verbali o via mail intercettati, concludendo che essi smentiscono il “dominio di
Scaroni su SAIPEM” dedotto dall’accusa; al significato ed al peso probatorio
assegnato ai documentati incontri fra Scaroni, Tali, Varoni, Bedjaoui ed il
ministro algerino Khelii, ricondotti dal decidente ad una mera attività di lobbying;
26

esclusiva al giudice della cognizione – e non aveva, ad ogni modo, ragion

alla lettura/valutazione delle conversazioni e-mail acquisite agli atti ed alla
ritenuta inidoneità delle stesse a riscontrare le accuse mosse da Varone a carico
di Vella; alla stimata irrilevanza a fungere da elemento di conferma alle parole di
Orsi (in merito alla sistematica sovrafatturazione da parte delle società LEAD e
OGEC – partners o subcontractors di SAIPEM – per creare le provviste per il
pagamento delle tangenti) della accertata sovrafatturazione di talune prestazioni
da parte di tali società; alla svalutazione compiuta dal decidente del mancato
rispetto della procedura e della tempistica ordinari previste per l’autorizzazione,

parte di ENI S.p.A.
10.2. Tradisce l’approccio del Gup al tema anche qualche passaggio della
motivazione, in particolare quello nel quale Giudice afferma che “neanche in una
visione unitaria, si riesce, pertanto, a costituire la prova richiesta per una
pronuncia di condanna oltre ogni ragionevole dubbio” (v. pagina 16 del
provvedimento in verifica), facendo espresso richiamo al criterio di valutazione
codificato all’art. 533 del codice di rito per la fase del giudizio di merito e che per le ragioni pocanzi esposte – non può trovare applicazione in sede di udienza
preliminare.
10.3. Cartina di tornasole di tale conclusione sono, inoltre, tanto i motivi
dedotti dai ricorrenti, quanto le argomentazioni sviluppate nelle memorie dagli
imputati e da ENI S.p.A., là dove, per evidenziare ora le criticità, ora la
condivisibilità dell’iter logico argomentativo seguito dal Giudice del
provvedimento impugnato, le parti hanno proceduto ad un approfondito esame
delle fonti di prova e degli elementi di conoscenza da esse traibili e, dunque, alla
valutazione della portata dimostrativa di essi – ora a carico, ora a discarico
(seconda dell’esponente) – contestando ovvero ribadendo la correttezza delle
massime d’esperienza di volta in volta applicate dal Giudice nel vagliare gli
elementi di riscontro. La natura degli argomenti tesi a confutare piuttosto che a
validare la motivazione svolta nella sentenza in rassegna – tutti dispiegati sul
piano del merito – dimostra come il Gup non si sia mosso sul terreno della
verifica della consistenza e serietà del materiale probatorio fornito dall’accusa id est della sussistenza di elementi sufficienti, non contraddittori o comunque
idonei, anche alla luce dei possibili sviluppi nella fase dibattimentale, per ritenere
sussistente una “minima probabilità di colpevolezza” -, ma su quello – si
ribadisce, non consentito in questa fase – della verifica della possibilità di
affermare, sulla scorta del compendio probatorio (attuale e futuro), la
colpevolezza degli imputati.
11. Sotto diverso profilo, va rilevato come il Gup, non solo abbia debordato
dai limiti posti al proprio scrutinio, ma abbia comunque fatto un uso non corretto
27

data dal ministro algerino Khelil, per l’acquisto della società canadese FCP da

delle regole che presiedono alla valutazione ed alla utilizzazione delle
dichiarazioni rese dai chiamanti in correità fissata dall’art. 192, comma 3, cod.
proc. pen.
11.1. Oltre ad operare una valutazione di attendibilità e utilizzabilità della
prova dichiarativa – fisiologicamente rimessa al giudice dibattimentale, salvo i
casi di evidente inconsistenza -, il Gup ha preteso, nella sostanza – visto il livello
di gravità, precisione e concordanza richiesto -, che ciascuno degli elementi di
riscontro alle dichiarazioni fosse dotato di un’autonoma portata probatoria.

individualizzante necessario a fini di riscontro è e rimane pur sempre un indizio,
che non deve pertanto connotarsi quale prova autoportante; dall’altro lato, che
può costituire valido elemento di conferma ad una dichiarazione anche un
contributo de relato (nella specie, di Orsi rispetto a quanto dichiarato da
Varone), salvo il prudente apprezzamento del giudice circa l’autonomia,
l’attendibilità e, dunque, l’idoneità di essa a fungere da elemento di conforto,
comunque riservata (salvo i casi di inaffidabilità evidente), al giudice del
dibattimento.
Si consideri, quale esempio, l’irragionevole svalutazione del peso delle
dichiarazioni di Carlo Bentini della società Bentini S.p.A., là dove il Giudice ha
affermato che la vicenda riferita dal teste non può ritenersi espressione – per
induzione – di una regola generale applicabile nel caso di specie, con ciò
trascurando di considerare che Bentini ha dichiarato di essere stato, quale sub
contractor di SAIPEM, “costretto” a pagare ingenti somme di denaro a Omar
Habour e Fardi Bedjaoui (gli stessi che sono imputati nel presente procedimento)
per “poter lavorare” in Algeria ed ottenere appalti nel settore petrolifero: la
persona informata dei fatti ha, dunque, riferito una vicenda che riguarda la
stessa tipologia di contratti (quelli delle oli company), il medesimo contesto
ambientale (appalti in Algeria) e, soprattutto, le richieste di versamento di
tangenti da parte dei medesimi soggetti coinvolti nei fatti oggetto del presente
procedimento, quali personaggi molto vicini al ministro dell’energia Chiekib
Khelil. Il dato conoscitivo riferito da Bentini, secondo il quale per poter lavorare
in Algeria nel settore dell’energia “Il faut fa/re un payment”, se non poteva
essere riguardato quale prova piena, certamente avrebbe dovuto essere
considerato quale indizio e, dunque, quale possibile elemento di riscontro alle
chiamate in correità di Varoni e Orsi in merito al pagamento di tangenti da parte
delle società di appartenenza. In altri termini, non si trattava di evincere una
regola generale dal caso particolare, ma di utilizzare il caso particolare – in
quanto strettamente aderente alla vicenda sotto lente e connotato da modalità e

28

Ciò senza considerare, da un lato, che l’elemento specifico ed

circostanze consimili – quale elemento a

corroboration

delle dichiarazioni

accusatorie.
11.2. Va ancora rilevato come il Gup, nel valutare le evidenze indicate quali
riscontri, abbia talvolta fatto ricorso a massime d’esperienza che non possono
essere condivise, in quanto non conformi a ragionevolezza o, comunque, non
argomentate con riferimento a dati di comune esperienza nello specifico contesto
spazio-temporale in cui maturavano le condotte, così da poterne affermare la
rispondenza all’id quod plerumque accidit.

S.p.A. e SAIPEM S.p.A., Pietro Tali, Paolo Scaroni ed Antonio Vella, con
l’esponente politico di rilievo del Governo algerino – il ministro Chekib Khelil – ed
il suo “segretario particolare” Farid Nourredine Bedjaoui, che il Giudice prendendo netta posizione nella interpretazione e valutazione del dato fattuale,
sebbene aperto ad una molteplice lettura – ha ridotto a mera attività lobbistica,
senza peraltro dare conto degli elementi della prassi nel settore dei contratti
internazionali sulla scorta dei quali abbia fondato tale affermazione, per di più
andando in contrasto col dato d’esperienza portato dai vertici della società
Stefano Cao e Claudio De Scalzi Scalzi (all’epoca dei fatti in ruoli apicali di ENI)
quanto alle ben diverse modalità “ordinarie” di conduzione delle trattative
all’estero da parte delle società del gruppo ENI.
11.3. Coglie nel segno anche il rilievo dei ricorrenti secondo il quale il Gup
avrebbe errato nell’operare la prognosi circa il non “utile sviluppo delle prove a
carico nel corso del dibattimento”.
Il Giudice ha, invero, trascurato di considerare l’arricchimento del
compendio probatorio suscettibile di derivare dall’esame dibattimentale dei testi
Cao e De Scalzi (in particolare, sull’anomalia” degli incontri riservati dei vertici di
ENI e SAIPEM, fra cui Scaroni e Vella, con esponenti politici algerini e loro
portavoce), anche nell’ottica di superare le zone d’ombra evidenziate dallo stesso
Giudice, nonché dagli elementi acquisibili all’esito delle rogatorie. A tale ultimo
proposito, va rilevato che, anche ad ammettere – come evidenziato dai difensori
di altro coimputato nel separato procedimento – che la Procura della Repubblica
già disponga delle dichiarazioni dei due funzionari algerini richieste all’A.G. del
paese nordafricano, non può negarsi – secondo un giudizio prognostico ispirato a
ragionevolezza -, la possibile rilevanza a supporto dell’accusa e, segnatamente,
quali elementi di riscontro delle dichiarazioni a carico rese da Varoni e Orsi, degli
esiti delle richieste di assistenza giudiziaria verso la Svizzera – concernente
l’acquisizione della documentazione relativa al conto corrente di Paolo Scaroni e, soprattutto, verso il Libano, concernente (per quanto dato atto dalla Procura
ricorrente) la documentazione bancaria relativa ai conti correnti di Pearl
29

Si vedano, in particolare, gli “incontri informali” avvenuti fra i vertici di ENI

Partners, che potrebbe fare luce sui rapporti tra Bedjaoui e le società OGEC e
LEAD, sub contractors di SAIPEM S.p.A., che ricevevano ingenti somme di
denaro a titolo di pagamento di prestazioni contrattuali – in ipotesi d’accusa “gonfiate”, per poi smistare le maggiorazioni a fini corruttivi, e fornire elementi
utili a riscontro delle chiamate di correo.
La circostanza che, all’epoca della celebrazione dell’udienza preliminare, le
richieste di assistenza giudiziaria inoltrate alle Autorità Giudiziarie di tre Paesi
stranieri non fossero state adempiute (o soltanto in parte espletate), non può di

di avanzare comunque la richiesta di rinvio a giudizio in assenza di tali esiti
rogatoriali, essendo l’esercizio dell’azione penale soggetto dal codice di rito ad
una specifica e rigorosa tempistica nonché condizionato dai termini di
prescrizione del reato, il che, in presenza di un articolato contesto di prove da
verificare e indizi da apprezzare unitariamente, ne ha non irragionevolmente
sconsigliato una dilazione in attesa dell’evasione delle richieste alle A.G.
straniere.
In sintesi, neanche il giudizio prognostico negativo in merito alla
“potenzialità espansiva” per l’accusa derivante dallo sviluppo dibattimentale del
procedimento risulta adeguatamente argomentato.
12. Sulla scorta delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata
deve essere annullata senza rinvio.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano dovrà celebrare
una nuova udienza preliminare e procedere ad una nuova valutazione in merito
alla sussistenza o meno delle condizioni per giustificare la sottoposizione a
processo degli imputati – persone fisiche e giuridiche -, conformandosi ai principi
di diritto sopra espressi in punto di regola di giudizio da seguire in udienza
preliminare e di onere argomentativo della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen.,
in ipotesi ancora legittima, allorquando congruamente argomentata.

P.Q. M .
annulla senza rinvio la sentenza impugnata e rimette gli atti all’ufficio del Giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano in diversa composizione per
l’ulteriore corso.

Così deciso in Roma il 18 maggio 2016

Il consigliere estensore

per sé risolversi in una sanzione verso la scelta dell’organo della pubblica accusa

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