Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21353 del 16/04/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 21353 Anno 2015
Presidente: CAMMINO MATILDE
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

SENTENZA
Sui ricorsi rispettivamente proposti nell’interesse di Zecca Mauro, n. a
Campi Salentina il 15.01.1978, rappresentato e assistito dall’avv.
Francesco Tobia Caputo e dall’avv. Alessandro Stomeo, di fiducia, e di
De Santis Monia, n. a Surbo il 16.12.1976, rappresentata e assistita
dall’avv. Alessandro Stomeo, di fiducia, avverso la sentenza della
Corte d’appello di Lecce, prima sezione penale, n. 402/2012, in data
20.03.2013;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
udita la requisitoria dell’Avvocato generale (WISUID dott. Carmine
Stabile che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità di
entrambi i ricorsi,

Data Udienza: 16/04/2015

sentita la discussione dell’avv. Ladislao Massaro, comparso in
sostituzione dell’avv. Francesco Vergine per la parte civile Zecca
Cristian che ha chiesto di affermarsi la penale responsabilità degli
imputati, confermando la sentenza di condanna emessa dalla Corte
d’appello di Lecce e chiedendo la condanna degli imputati al rimborso
delle spese sostenute nel presente giudizio che si quantificano in euro
7.030,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA;

sentita altresì la discussione dell’avv. Maria Francesca Fera, comparsa
in sostituzione dell’avv. Alessandro Stomeo, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 09.11.2011, il Tribunale di Lecce, in

composizione monocratica, assolveva Zecca Mauro e De Santis Monia
dal reato loro contestato (artt. 81, comma 2, 110 cod. pen., 12 I. n.
197/1991, per avere in esecuzione di un medesimo disegno criminoso,
ed in concorso tra loro, acquisito ed indebitamente utilizzato carte di
credito inviate dalla finanziaria Compass s.p.a. a Zecca Cristian
eseguendo acquisti per un importo complessivo di circa 1.200,00 euro
nelle date e presso i negozi specificamente indicati) con la formula
perché il fatto non è previsto dalla legge come reato, ritenendo che la
fattispecie incriminatrice in contestazione fosse stata abrogata dall’art.
64, comma 1 lett. a) d.lvo n. 231/2007.
1.1. Avverso tale pronuncia, proponeva appello il pubblico ministero
evidenziando che il reato previsto dall’art. 12 I. n. 197/1991 era stato
riproposto nei medesimi termini dall’art. 55, comma 9 d.lvo n. 231/2007
che aveva realizzato un classico esempio di continuità normativa.
2. Con sentenza in data 20.03.2013, la Corte d’appello di Lecce, in
riforma della sentenza di primo grado, dichiarava Zecca Mauro e De
Santis Mania responsabili del reato loro ascritto e li condannava alla
pena di anni uno, mesi sei di reclusione ed euro 800,00 di multa
ciascuno nonché al pagamento delle spese sostenute dalla parte civile
De Santis Cristian.
3. Avverso tale pronuncia, Zecca Mauro e De Santis Mania, con distinti ma nel contenuto identici – atti, propongono ricorso per cassazione,
lamentando, quale motivo unico di gravame, la violazione dell’art. 530

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cod. proc. pen. in relazione all’art. 12 I. n. 197/1991 nonché difetto
probatorio e motivazione illogica e contraddittoria.
In particolare, assumono i ricorrenti, come la Corte territoriale,
ignorando le evidenti lacune istruttorie in ordine alla ricostruzione dei
fatti di cui in imputazione, ha ritenuto provata l’abusiva utilizzazione da
parte degli imputati delle carte di credito di Zecca Cristian attraverso un
ragionamento fondato su inaccettabili presunzioni che non trovano

riscontro alcuno nelle risultanze dibattimentali. La prima presunzione
attiene alla circostanza, evidenziata dalla Corte, per cui i due ricorrenti
sarebbero entrati in possesso delle carte di credito di Zecca Cristian
“intercettandone il percorso ed impedendo così che giungessero al loro
effettivo destinatario”. La seconda presunzione, che poggia sulla prima,
è che gli imputati, impossessatisi delle carte di credito, le abbiano
attivate all’insaputa del destinatario, procedendo agli acquisti in
contestazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono manifestamente infondati e, come tali, risultano
inammissibili.
2. Con motivazione logica e congrua – e quindi immune dai denunciati
vizi di legittimità – la Corte territoriale dà conto degli elementi che
l’hanno portata ad affermare la penale responsabilità degli imputati.
2.1. Va ricordato, in proposito, che il controllo del giudice di legittimità
sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione
di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo,
restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di
ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 3, sent. n.
12110 del 19/03/2009 e n. 23528 del 06/06/2006). Ancora, la
giurisprudenza ha affermato che l’illogicità della motivazione , per essere
apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di
spessore tale da risultare percepibile ictu ocu/i, dovendo il sindacato di
legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese
le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano

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spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (Sez. 3,
sent. n. 35397 del 20/06/2007; Sez. U, sent. n. 24 del 24/11/1999,
Spina, Rv. 214794). Più di recente, è stato ribadito come ai sensi di
quanto disposto dall’art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. e), il
controllo di legittimità sulla motivazione non attiene ne’ alla
ricostruzione dei fatti ne’ all’apprezzamento del giudice di merito, ma è
circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due

requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni
giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di
difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia
la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento (Sez. 2, sent. n. 21644 del 13/02/2013, Badagliacca e
altri, Rv. 255542).
2.2. Il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative
della decisione ha dunque, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte
circoscritto.
Non c’è, in altri termini, come richiesto nei presenti ricorsi, la possibilità
di andare a verificare se la motivazione corrisponda alle acquisizioni
processuali. E ciò, anche alla luce del vigente testo dell’art. 606 cod.
proc. pen., comma 1, lett. e) come modificato dalla L. 20 febbraio 2006,
n. 46. Il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata
valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle
prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al
giudice del merito.
I ricorrenti non possono, come nel caso che ci occupa, limitarsi a fornire
una versione alternativa del fatto, senza indicare specificamente quale
sia il punto della motivazione che appare viziato dalla supposta
manifesta illogicità e, in concreto, da cosa tale illogicità vada desunta.
2.3. Il vizio della manifesta illogicità della motivazione deve essere
evincibile dal testo del provvedimento impugnato. Com’è stato rilevato
nella citata sentenza 21644/13 di questa Corte, la sentenza deve essere
logica “rispetto a sé stessa”, cioè rispetto agli atti processuali citati. In
tal senso, la novellata previsione secondo cui il vizio della motivazione
può risultare, oltre che dal testo del provvedimento impugnato, anche
da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di
gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti di questa Corte,
che rimane giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un

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ennesimo giudice del fatto.
2.4. Avere introdotto la possibilità di valutare i vizi della motivazione
anche attraverso gli “atti del processo”, costituisce invero il
riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di
legittimità il cosiddetto “travisamento della prova” che è quel vizio in
forza del quale il giudice di legittimità, lungi dal procedere ad una
(inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove),

se il relativo contenuto è stato o meno trasfuso e valutato, senza
travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini, vi sarà stato “travisamento della prova” qualora il
giudice di merito abbia fondato il suo convincimento su una prova che
non esiste (ad esempio, un documento o un testimone che in realtà non
esiste) o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello
reale (alla disposta perizia è risultato che lo stupefacente non fosse tale
ovvero che la firma apocrifa fosse dell’imputato). Oppure dovrà essere
valutato se c’erano altri elementi di prova inopinatamente o
ingiustamente trascurati o fraintesi. Ma – occorrerà ancora ribadirlo non spetta comunque a questa Corte Suprema “rivalutare” il modo con
cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di
merito.
2.5. Per esserci stato “travisamento della prova” occorre, tuttavia, che
sia stata inserita nel processo un’informazione rilevante che invece non
esiste nel processo oppure si sia omesso di valutare una prova decisiva
ai fini della pronunzia.
In tal caso, però, al fine di consentire di verificare la correttezza della
motivazione, va indicato specificamente nel ricorso per cassazione quale
sia l’atto che contiene la prova travisata o omessa.
Il mezzo di prova che si assume travisato od omesso deve inoltre avere
carattere di decisività. Diversamente, infatti, si chiederebbe al giudice di
legittimità una rivalutazione complessiva delle prove che, come più volte
detto, sconfinerebbe nel merito.
3. Se questa, dunque, è la prospettiva ermeneutica cui è tenuta questa
Suprema Corte, le censure che i ricorrenti rivolgono al provvedimento
impugnato si palesano manifestamente infondate, non apprezzandosi
nella motivazione della sentenza della Corte di appello di Lecce alcuna
illogicità che ne vulneri la tenuta complessiva. Rispetto a tale motivata,

)(
I

prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare

logica e coerente pronuncia, i ricorrenti chiedono sostanzialmente una
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e
l’adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione. Ma

per quanto sin qui detto – un siffatto modo di procedere è

inammissibile perché trasformerebbe questa Corte di legittimità
nell’ennesimo giudice del fatto.
4. La Corte territoriale, con motivazione fondata su una coerente analisi

critica degli elementi di prova e sulla loro coordinazione in un organico
quadro interpretativo, alla luce del quale appare dotata di adeguata
plausibilità logica e giuridica l’attribuzione a detti elementi del requisito
della sufficienza, rispetto al tema di indagine concernente la
responsabilità dei ricorrenti in ordine al delitto loro contestato, ha
riconosciuto:
– come tra gli acquisti in contestazione, quello per un importo di euro
410,00 del 06.05.2008 presso la gioielleria De Mauri in Surbo fu
effettuato dalla De Santis; quello per un importo di euro 300,00 del
07.05.2008 presso la gioielleria Preziosità in Campi Salentina fu
effettuato congiuntamente dalla De Santis e dallo Zecca Mauro; quelli
per gli importi rispettivamente di euro 18,00, 16,00 e 10,00,
rispettivamente del 6, del 7 e del 9 maggio 2008 presso il distributore di
benzina Api Geser in Surbo furono effettuati dalla De Santis;
– che, già in passato, lo Zecca Mauro aveva perpetrato in danno di Zecca
Cristian condotte analoghe;
– chee l’accertato illecito possesso delle carte di credito di proprietà dello
Zecca Cristian (a cui erano state spedite per posta dalla finanziaria
Compass e dallo stesso mai ricevute) «, doveva far necessariamente
presupporre che le stesse fossero state intercettate dai due imputati i
quali, peraltro, non erano stati in grado di fornire alcuna giustificazione
in merito a detto possesso.
5. Ne consegue l’inammissibilità dei ricorsi e, per il disposto dell’art. 616
cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende,
di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dai ricorsi, si
determina equitativamente in euro 1.000,00 per ciascuno nonché al
pagamento a favore della parte civile Zecca Cristian della somma di euro
3.510,00 oltre rimborso spese forfettarie, IVA e CPA

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PQM

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle
spese processuali e ciascuno della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa
delle ammende nonché al pagamento a favore della parte civile Zecca
Cristian della somma di euro 3.510,00 oltre rimborso spese forfettarie,
IVA e CPA.

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Dott. Andrea Pellegrino

Dott.ssa Matilde Cammino

Così deliberato in Roma, udienza pubblica del 16.4.2015

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