Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21335 del 09/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21335 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: LIGNOLA FERDINANDO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
DJORDJEVIC JADRANKA N. IL 21/09/1995
avverso la sentenza n. 4516/2015 TRIBUNALE di TORINO, del
05/10/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO
LIGNOLA;

Data Udienza: 09/05/2016

RILEVATO IN FATTO

– che con l’impugnata sentenza, pronunciata ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen.,
fu applicata a DJORDJEVIC JADRANKA per furto aggravato in abitazione la pena
concordata con la pubblica accusa nella misura di due anni di reclusione ed euro
400 di multa;
– che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione personalmente
l’imputata, deducendo mancanza della motivazione in ordine alla mancata

CONSIDERATO IN DIRITTO

– che il ricorso è manifestamente infondato, in quanto si dà espressamente atto,
‘nell’impugnata sentenza, della ritenuta sussistenza delle condizioni tutte, positive e
negative, previste dall’art. 444 cod. proc. pen. per l’applicazione della pena su
richiesta, ivi compresa quella costituita dall’assenza dei presupposti per la
pronuncia di sentenza assolutoria ai sensi dell’art. 129 c.p.p.; il che basta ad
escludere ogni violazione di legge ed a soddisfare le esigenze di motivazione proprie
delle pronunce del genere di quella impugnata, qualora facciano difetto (come si
verifica nel caso di specie) specifici elementi, ricavabili dal testo del medesimo
provvedimento o indicati nell’atto di gravame (assolutamente generico sul punto),
dai quali possa invece desumersi che taluna delle suddette condizioni fosse
mancante (si vedano in proposito, fra le altre: Sez. 4, n. 7768 del 11/05/1992,
Longo, RV 191238; Sez. 3, n. 1693 del 19/04/2000, Petruzzelli, RV 216583; Sez. 2,
n. 27930 del 21/05/2003, Lasco, Rv. 225208; Sez. 4, n. 34494 del 13/07/2006,
Koumya, Rv. 234824; Sez. 1, n. 4688 del 10/01/2007, Brendolin, Rv. 236622; Sez.
2, n. 6455 del 17/11/2011 – dep. 17/02/2012, Alba, Rv. 252085);
– che d’altra parte va ricordato che in tema di patteggiamento, la possibilità di
ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione del fatto contenuto in
sentenza deve essere limitata ai casi di errore manifesto, ossia ai casi in cui
sussiste l’eventualità che l’accordo sulla pena si trasformi in un accordo sui reati,
mentre deve essere esclusa tutte le volte in cui la diversa qualificazione presenti
margini di opinabilità; inoltre, anche in questo caso, la verifica sull’osservanza della
previsione contenuta nell’art. 444, comma secondo, cod. proc. pen. deve essere
compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta
motivazione della sentenza e dei motivi dedotti nel ricorso (Sez. 6, n. 15009 del
27/11/2012 – dep. 02/04/2013, Bisignani, Rv. 254865);
– che con riferimento alla congruità della pena, questa Corte ritiene che la parte che
abbia prestato il proprio consenso all’applicazione di un determinato trattamento
sanzionatorio, non può poi dolersi della successiva ratifica del patto da parte del
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derubricazione del fatto in delitto tentato ed alla pena applicata;

giudice, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, in quanto ha
implicitamente esonerato quest’ultimo dell’obbligo di rendere conto dei punti non
controversi della decisione, è infatti sufficiente che il giudice dia conto di aver
sottoposto ad un giudizio valutativo la proposta di patteggiamento formulata
concordemente dalle parti e di averla ritenuta congrua rispetto alle componenti
oggettive e soggettive del fatto-reato (Sez. 3, n. 42910 del 29/09/2009, Gallicchio,
Rv. 245209), indipendentemente dai singoli passaggi interni, in quanto è
unicamente il risultato finale che assume valenza quale espressione ultima e
definitiva dell’incontro delle volontà delle parti (Sez. 3, n. 28641 del 28/05/2009,

– che la ritenuta inammissibilità del ricorso comporta le conseguenze di cui all’art.
616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere
ogni profilo di colpa, anche l’applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui
importo stimasi equo fissare in euro 2000;

P. Q. M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al versamento della somma di 2000 euro in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 9 maggio 2016
Il consigliere estensore

Il pr si nte

Fontana, Rv. 244582);

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