Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21328 del 05/03/2018
Penale Ord. Sez. 6 Num. 21328 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: DI STEFANO PIERLUIGI
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COSENTINO GIOVANNI LUIGI nato il 08/03/1955 a CHIAROMONTE
avverso la sentenza del 23/05/2017 della CORTE DI CASSAZIONE di ROMA
sentita la relazione svolta dal Consigliere PIERLUIGI DI STEFANO;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Cosentino Giovanni Luigi propone ricorso straordinario ex art. 625 bis cod. proc.
pen., con atto a firma del difensore munito di procura speciale, avverso la
sentenza 1956/2017 di questa Corte di Cassazione che confermava in punto di
responsabilità e determinazione della pena principale la sentenza della Corte di
Appello di Potenza del 25 marzo 2016 di condanna per il reato di estorsione
aggravata ex articolo 7 I. 203/1991, rilevando degli errori di fatto nelle risposte
date a tre motivi di appello.
Si espongono nell’ordine ciascun errore e le relative valutazioni di questa Corte.
1) Il primo errore è stato rilevato nella risposta data al settimo motivo di
ricorso secondo il quale la sentenza della Corte di Appello «senza fornire
alcuna motivazione, ha comminato una pena base più alta all’imputato»
Su tale motivo, questa Corte di Cassazione, premetteva che
la sentenza di primo grado aveva ritenuto la equivalenza tra la aggravante
di cui all’articolo 7 I. 203/1991 e la attenuante di cui all’articolo 8 stessa
legge;
Data Udienza: 05/03/2018
la sentenza di secondo grado aveva ritenuto preclusa tale comparazione
per cui aveva applicato sulla pena base l’aumento dovuto per la
aggravante in questione e sulla pena così risultante aveva applicato la
riduzione per la attenuante speciale; in tale modo, determinava una pena
finale comunque inferiore a quella applicata dal giudice di primo grado
Quindi rispondeva al motivo di appello escludendo la violazione del divieto di
reformatio in pejus:
«il giudice di appello facendo corretta applicazione dei
principi …. circa la natura speciale ed eccezionale della circostanza attenuante di
cui all’art. 8 L.203/91, ha escluso l’inserimento della stessa nel giudizio di
grado ed ha proceduto poi alla rideterminazione della pena infliggendo una
sanzione minore. Posto quindi che una delle componenti valutate dal giudice di
primo grado come rientrante nel giudizio di bllanciamento veniva scorporata
attribuendo alla stessa natura di attenuante autonoma che riduceva la pena già
calcolata con le altre aggravanti pure sussistenti (art.
7
L.203/91), la
determinazione della sanzione base nella misura superiore a quella stabilita dal
primo giudice non viola il detto divieto trattandosi di risultante dell’accoglimento
del motivo di appello specificamente proposto e determinante comunque una
riduzione della pena finale. Invero per effetto della eliminazione della attenuante
dell’art. 8 dal giudizio di bilanciamento la sola operatività della aggravante
precedentemente posta nel nulla dal giudizio di equivalenza comportava
necessariamente l’elevazione della sanzione base dell’art. 629 cod.pen. in termini
anche maggiori (anni 5 ex art. 629 + 1/3 ex art. 7) rispetto a quelli stabiliti dal
giudice di secondo grado (anni 6)- in misura quindi inferiore ai minimi edittali
assoluti»
Secondo il ricorrente
«Il Giudice della sentenza impugnata dunque, escludendo il giudizio di
bilanciamento fra l’art. 8 e l’art.
7 L.203/98 – giudizio di bilanciamento
successivamente al quale il Giudice di primo grado aveva determinato la pena
base in anni cinque – non ha affatto applicato un aumento per le” … aggravanti
pure sussistenti … “, come erroneamente affermato dalla Suprema Corte, non
essendo state affatto contestate altre aggravanti oltre a quella di cui all’art.
7
L.203/98 – che, per espressa voluntas legis non si applica in caso di applicazione
dell’attenuante dell’art.8 L.203/98 – e si è limitata, piuttosto, a prendere atto del
fatto che, non potendosi effettuare alcun giudizio di bilanciamento fra l’art. 8 e
l’art. 7 L.203/98 – come affermato dallo stesso legislatore e come hanno ribadito
le Sezioni Unite citate dalla sentenza di secondo grado impugnata – era
necessario diminuire nella misura almeno di 1/3 la pena base. travisando quanto
affermato dalla Corte di Appello di Potenza ignorando, di riflesso, anche quanto
hanno affermato, in punto di diritto, le Sezioni Unite.».
La contestazione, quindi, da un lato è pretestuosa e dall’altro del tutto irrilevante.
bilanciamento operato nei termini di equivalenza da parte del Tribunale di primo
Innanzitutto la sentenza qui impugnata non ha affatto ritenuto che la Corte di
Appello abbia applicato una pluralità di aggravanti ma, utilizzando l’espressione
«con le altre aggravanti pure sussistenti (art.
7 L.203/91)», ha chiarito che la
aggravante applicata era solo quella speciale. Il ricorrente, con la trascrizione
solo parziale di tale brano, omettendo, però, il contenuto esplicativo posto nelle
parentesi, tenta di convincere che la sentenza abbia detto il contrario. Invece, ed
è di massima evidenza, non vi è stato alcun travisamento.
Per il resto, in ordine alla risposta al settimo motivo, il ricorso fa considerazioni
varie che non individuano errori rilevanti:
di pena per la aggravante speciale in misura inferiore al minimo di legge,
ciò non rileva quale errore ex art. 625 bis cpp perché sul punto non
poteva esservi certo una refornnatio in peius da parte del giudice di
legittimità;
la sentenza di questa Corte, poi, aveva ritenuto ben applicate sia la
circostanza aggravante che quella attenuante ed ha ritenuto che la pena
fosse correttamente determinata in misura rispettosa del principio del
divieto di riforma peggiorativa.
Quindi il ricorso, in definitiva, non indica alcun errore di fatto (salvo cercare di
farlo risultare con la parziale trascrizione di cui si è detto) ma si duole di profili di
apprezzamento in diritto che non sono certamente un possibile oggetto di ricorso
straordinario.
2)
Il secondo errore è indicato nella risposta al secondo motivo di ricorso con
il quale l’imputato si doleva nella decisione di rigetto della richiesta di
rinvio della udienza del 25 marzo 2016 quando egli risultava detenuto per
altro ed aveva espresso la volontà di partecipare.
Non è chiaro in cosa consista la doglianza del ricorrente laddove la Corte di
Appello, seppure, sembra, in riferimento ad una diversa udienza ma con identica
situazione, ha ritenuto di dovere applicare il comune e noto principio per cui non
vi è diritto al rinvio del soggetto sottoposto agli arresti domiciliari per altro che
non abbia chiesto al giudice competente per la misura cautelare di potersi recare
in udienza.
Vi è, quindi, risposta in termini sulla questione posta dalla difesa e l’eventuale
erroneo riferimento alla singola udienza non comporta alcun errore di fatto che
abbia condizionato la decisione in termini sfavorevoli.
3) terzo errore: il ricorrente ritiene che vi sia errore di fatto nella risposta
data da questa Corte di legittimità ai motivi con i quali la parte si doleva
che la riduzione per effetto della attenuante di cui all’articolo 8 I. cit. fosse
Quanto all’osservazione che il giudice di appello ha determinato l’aumento
stata contenuta nel terzo della pena. Rileva che con il ricorso egli si
doleva, in questa sede di legittimità, dei motivi in fatto per i quali era
stata determinata la riduzione della pena per l’attenuante speciale,
ovvero il suo atteggiamento poco collaborativo in sede di udienza; la
Corte di Cassazione, invece, aveva ritenuto adeguata la motivazione
sostenendo che facesse riferimento al giudizio sulla personalità.
Anche in questo caso, si tratta di doglianza del tutto inconsistente perché, pur a
prescindere dalla originaria ammissibilità della questione in questa sede,
valorizzazione da parte dei giudici di merito della «condotta poco collaborativa»,
rappresentasse un giudizio negativo da parte loro sulla personalità dell’imputato.
Quanto ritenuto nella sentenza impugnata è, anzi, la esatta lettura del chiaro
testo della sentenza di merito.
Il ricorso straordinario è, quindi, inammissibile per manifesta infondatezza, con
conseguente applicazione della sanzione pecuniaria nella misura determinata in
dispositivo tenuto conto delle ragioni di tale inammissibilità.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro quattromila in favore della cassa delle
ammende
Roma, c
nella camera di consiglio del 5 marzo 2018
Il Con g nsore
il Presidente
Pierl g
Giacomi Paolpni
certamente non è un “errore di fatto” l’avere questa Corte ritenuto che la