Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21319 del 10/04/2018


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 21319 Anno 2018
Presidente: PAOLONI GIACOMO
Relatore: CRISCUOLO ANNA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
MAIOLINO MICHELE nato il 03/05/1968 a CATANIA
PAPPALARDO MARIO nato il 16/08/1972 a CATANIA
SGROI ANTONINO DANIELE nato il 19/02/1975 a CATANIA

avverso la sentenza del 22/12/2016 della CORTE APPELLO di CATANIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ANNA CRISCUOLO
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore PERLA LORI, che
ha concluso per l’inammissibilita dei ricorsi di MAIOLINO Michele e PAPPALARDO
Mario e per il rigetto del ricorso di SGROI Antonino Daniele.
udito il difensore, avv. LOMBARDO Carmelo, quale sost. proc. dell’avv.
IMPELLIZZERI Antonio in difesa di MAIOLINO Michele, che si riporta ai motivi e
ne chiede l’accoglimento.

Data Udienza: 10/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. In parziale riforma della sentenza emessa all’esito di giudizio abbreviato
dal G.u.p. del Tribunale di Catania nei confronti di Pappalardo Mario, Maiolino
Michele e Sgroi Antonino Daniele, la Corte di appello di Catania ha rideterminato
la pena per il Pappalardo, qualificato il fatto ai sensi dell’art. 74, comma 2, d.P.R.
309/90, in anni 6 di reclusione, per il Maiolino in anni 4 e mesi 10 di reclusione e
per lo Sgroi in anni 4, mesi 5 e giorni 10 di reclusione, confermando nel resto la

Gli imputati sono stati riconosciuti colpevoli del reato di partecipazione
all’associazione finalizzata alla detenzione, distribuzione, commercializzazione di
cocaina e marijuana, facente capo a Mazzei Sebastiano e composta anche da
Galati Massaro Gianni e Riccombeni Prospero, separatamente giudicati, con il
compito di detenere lo stupefacente per conto dell’associazione e di cederlo agli
acquirenti; il Pappalardo ed il Maiolino sono stati ritenuti, inoltre, responsabili
anche di plurime cessioni di stupefacente (in concorso con il Mazzei, il Galati
Massaro ed il Riccombeni, separatamente giudicati).
L’affermazione di responsabilità è stata fondata sulle dichiarazioni di alcuni
collaboratori di giustizia, concordi nel riferire dell’esistenza dell’associazione
facente capo al Mazzei, in grado di rifornire stabilmente altri gruppi mafiosi di
consistenti quantitativi di cocaina, nonché sulle risultanze di intercettazioni
telefoniche, attestanti l’attività illecita svolta ed i ruoli dei partecipi, risultando il
Pappalardo ed il Maiolino impegnati nella custodia e nella distribuzione dello
stupefacente e lo Sgroi, incaricato di recuperare i crediti da vari acquirenti.

2. Avverso la sentenza hanno proposto ricorso i difensori degli imputati, che
ne chiedono l’annullamento per i motivi di seguito illustrati.

3. Il difensore del Pappalardo deduce:
3.1 erronea applicazione dell’art. 74 d.P.R. 309/90 e degli artt. 192 e 195
cod. proc. pen. nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione,
mancando la prova dell’esistenza di un’associazione finalizzata al traffico di
stupefacenti con a capo il Mazzei ed il Pappalardo, in quanto i colloqui tra i due
non avevano ad oggetto sostanze stupefacenti e le dichiarazioni dei collaboratori
Viola e D’Aquino sono generiche, prive di riscontri e non indicano il Pappalardo
quale collaboratore del Mazzei.
La Corte di appello si è limitata a condividere la valutazione del giudice di
primo grado e ad affermare in maniera apodittica l’esistenza dell’associazione,
richiamando le dichiarazioni dei collaboratori senza verificarne la credibilità o

sentenza appellata.

effettuarne una valutazione critica, senza considerarne la genericità e l’assenza
di riscontri individualizzanti, in violazione dei criteri fissati dall’art. 192 cod. proc.
pen. e dei principi affermati sul punto dalle Sezioni Unite.
Evidenzia che la stessa Corte di appello riconosce che le conversazioni tra il
Mazzei ed il Pappalardo depongono solo per un rapporto di amicizia, tant’è che
l’unica conversazione riportata nelle sentenze di merito è quella del 16 novembre
2010, nel corso della quale il Pappalardo informava il Mazzei di aver chiamato
quel deficiente dello Spina perché il giorno dopo si sarebbe dovuto recare a

poteva andarci anche dopo: sul punto la Corte di appello si è limitata a sminuire
la tesi difensiva, secondo la quale il colloquio aveva un oggetto lecito, in quanto
il Pappalardo gestiva una rivendita di ricariche telefoniche, senza però spiegare
quali siano gli elementi di reità emergenti da detta conversazione. Anche le altre
conversazioni intercettate sono del tutto neutre e, come sono state ritenute
insufficienti a fondare un giudizio di colpevolezza per il reato di associazione
mafiosa, avrebbero dovuto condurre ad analoga soluzione per il reato di cui
all’art. 74 d.P.R. 309/90; anche per la supposta convocazione del Maiolino da
parte del Mazzei si è trascurato che il Pappalardo convocò il Maiolino a casa sua
e non altrove e ciò smentisce la tesi del loro coinvolgimento nell’attività illecita;
è, inoltre, contraddittoria la ritenuta estraneità del Pappalardo ai presunti
contrasti tra il Mazzei e gli altri coimputati e l’affermata appartenenza del
ricorrente all’associazione, pur avendo la Corte di appello ammesso che il primo
giudice non aveva valutato le conversazioni segnalate dalla difesa nell’atto di
appello.
La motivazione sull’esistenza dell’associazione è apparente, in quanto non
viene individuata una cassa comune, una base logistica né un’organizzazione, sia
pure rudimentale, non potendo risultare sufficienti i risultati delle intercettazioni
o la semplice realizzazione di più reati di spaccio, genericamente indicati nel capo
B1). La sentenza non spiega per quali ragioni semplici condotte di acquisto o
vendita di sostanze stupefacenti integrino una condotta partecipativa; elenca una
serie di conversazioni senza indicarne il contenuto né spiegare perché siano
rilevanti; non indica alcuno degli elementi caratterizzanti l’associazione, non
potendo considerarsi base logistica l’abitazione del Pappalardo, non risultando
che fosse base operativa del gruppo né luogo di incontro degli associati; non
risulta individuato il luogo di approvvigionamento né l’esistenza di una cassa
comune, deponendo in senso contrario le conversazioni n. 336, 347, 413 e quelle
indicate nell’atto di appello, in quanto nelle stesse manca qualsiasi riferimento a
pregresse forniture di stupefacenti, ma la Corte di appello si è limitata a
affermare che l’esistenza della cassa comune risulta aliunde, senza spiegare

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Lentini a consegnare delle ricariche, ottenendo dall’altro la rassicurazione che

quali siano gli elementi di prova. I ruoli emergenti dalle conversazioni indicate
nell’atto di appello sono indefiniti e la Corte di appello ha ritenuto irrilevante che
l’unico episodio di detenzione accertato è quello conclusosi con l’arresto del
ricorrente, mancando altri sequestri o accertamenti, che riscontrino la corretta
interpretazione delle conversazioni intercettate e, in mancanza di sequestri di
sostanze stupefacenti, non é dato sapere sulla base di quali elementi sia stata
ritenuta operante un’associazione finalizzata alla vendita di cocaina e marijuana
e perché sia contestata anche la vendita di hashish; analoga indeterminatezza si

rilevante al fine dell’inquadramento dei fatti nell’ipotesi di lieve entità;
3.2 inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 74, comma 6, d. P.R.
309/90, in quanto il rigetto della richiesta riqualificazione del reato nel
paradigma del sesto comma dell’art. 74 d.P.R. 309/90 non è adeguatamente
motivato, avendo la Corte di appello valorizzato solo la quantità sequestrata al
ricorrente e le somme di danaro emergenti dai colloqui, invece, del tutto
modiche ed indicative di cessioni di scarse quantità, effettuate ad amici e
conoscenti, che imponevano di ricondurre i fatti nell’ipotesi associativa minore.

4. Il difensore di Sgroi Antonino Daniele articola i seguenti motivi:
4.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in
relazione al delitto associativo, in quanto la Corte di appello ha omesso di
considerare le censure difensive e la proposta lettura alternativa del contenuto
delle intercettazioni, stante l’esistenza di un rapporto di debito-credito
intercorrente tra il ricorrente ed il Pappalardo: era stato, infatti, documentato il
credito di 25 mila euro vantato dallo Sgroi e sottolineata la coincidenza
temporale tra lo stesso e i colloqui intercettati, aventi ad oggetto il recupero di
somme di danaro, riferibili a detto credito, ammesso anche dal Pappalardo nel
corso dell’interrogatorio, ma la Corte di appello ha affermato che non era stata
fornita la prova, limitandosi ad affermare la responsabilità dell’imputato senza
indicare su quali elementi è stata fondata e ritenendo criptico il linguaggio
utilizzato, invece, chiaramente riferito alla riscossione di somme di danaro;
4.2 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in
relazione all’art. 74 d.P.R. 309/90, in quanto il ricorrente ha rapporti solo con il
Pappalardo e la circostanza esclude che fosse un intraneo. La Corte di appello si
è limitata a sostenere che il frequente riferimento a “quelli” dimostrasse la
consapevolezza del ricorrente circa la destinazione delle somme da recuperare
ad alimentare le casse dell’associazione, senza motivare tale conclusione e
trascurando che tali affermazioni sono del Pappalardo e non del ricorrente né vi
sono elementi da cui desumere che il ricorrente fosse consapevole di agire per

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riscontra per i quantitativi trattati, non indicati, pur trattandosi di elemento

una associazione dedita al traffico di stupefacenti e che tali somme non fossero
destinate ai creditori del Pappalardo, titolare di un esercizio commerciale. Si
evidenzia che l’esclusione del ruolo di promotore del Pappalardo è incompatibile
con la tesi che un partecipe potesse decidere come destinare le somme riscosse
piuttosto che destinarle alla cassa comune, specie considerando che capo
dell’associazione è ritenuto il Mazzei, reggente dell’omonimo clan mafioso;
peraltro, vi è contraddizione con la sentenza di primo grado, che aveva escluso
la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 d.lgs. 152/91 per il reato

5. Il difensore del Maiolino deduce:
5.1 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 74 d.P.R.
309/90, risultando carente la motivazione sul reato associativo, del quale non
sono indicati gli elementi costitutivi né é delineato il ruolo del ricorrente ed il
contributo fornito. La sentenza si limita ad affermare apoditticamente che il
ricorrente è inserito nel sodalizio, ma non indica gli elementi dai quali si desume
la consapevolezza dello stesso di agire nell’ambito di una struttura organizzata,
trascura che non vi sono contatti tra il ricorrente e il capo dell’associazione e che
è stata esclusa l’aggravante di cui all’art. 7 d.lgs. 152/91. Il richiamo alle
dichiarazioni dei collaboratori è assertivo, stante l’estraneità del ricorrente a
contesti mafiosi; i contatti del ricorrente con il Pappalardo non sono collegabili a
quelli tra questi ed il Mazzei; si trascura che il ricorrente non è mai stato trovato
in possesso di stupefacente, che non vi è prova di una struttura organizzativa e
di una cassa comune, potendo al più ricavarsi dalle intercettazioni singoli episodi
di cessione, avvenuti in un arco temporale limitatissimo, né la sentenza spiega
perché non siano inquadrabili nell’ipotesi concorsuale piuttosto che in quella
associativa, atteso che gli episodi afferiscono a contatti tra il ricorrente ed il
cognato Galati Massaro o tra il ricorrente ed il Pappalardo. La sentenza non
spiega né dalle intercettazioni emerge che il ricorrente fosse a conoscenza
dell’impegno di altri; peraltro, il ricorrente non ha precedenti specifici, non sono
stati monitorati incontri tra lo stesso e i presunti correi, manca ogni riscontro e
dopo l’arresto del Pappalardo il ricorrente non ha rapporti con altri, dal che si
ricava che il rapporto è precario ed occasionale e non stabile e permanente;
5.2 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 74, comma
6, d.P.R. 309/90, in quanto l’esclusione di tale inquadramento è motivata in
modo apodittico e assertivo, nonostante i quantitativi di cui il gruppo si
approvvigionava fossero limitati e potendo i fatti ritenersi di lieve entità; la
motivazione è inoltre, contraddittoria laddove fa riferimento a contesti mafiosi

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associativo ed i reati fine di cui all’art. 73 d.P.R. 309/90.

con cui il gruppo coopererebbe, nonostante l’esclusione dell’aggravante di cui
all’art. 7 d.lgs. 152/91;
5.3 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 73 d.P.R.
309/90, in quanto la formulazione dell’imputazione è generica, non è stato
individuato un solo acquirente a cui il ricorrente avrebbe ceduto stupefacente né
la sentenza motiva sul punto;
5.4 violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 73, comma
quinto, d.P.R. 309/90, non essendo stati considerati i fatti isolati emersi dalle

ricorrente, affermandosi apoditticamente la rilevante offensività della condotta
senza indicare le ragioni.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

I ricorsi sono inammissibili, in quanto ripropongono censure già

sottoposte alla Corte di appello, che le ha disattese con motivazione puntuale e
congrua in base agli elementi valorizzati dal giudice di primo grado, emergenti
dalla lettura coordinata delle intercettazioni telefoniche, raccordata alle
dichiarazioni dei collaboratori di giustizia.
I ricorrenti propongono, invece, una lettura frammentaria e selettiva delle
conversazioni intercettate, isolandone alcune, ritenute favorevoli alla tesi
difensiva, contestando l’interpretazione operata dai giudici di merito ed evitando
di coordinarle con le dichiarazioni dei collaboratori.
Precisato che l’interpretazione del significato delle conversazioni intercettate
è questione di fatto, rimessa all’esclusiva valutazione dei giudici di merito, che
non è censurabile se non nei limiti della manifesta illogicità ed irragionevolezza
della motivazione con cui è recepita (Sez. 2, n. 50701 del 04/10/2016, D’Andrea
e altri, Rv. 268389), non ravvisabile nel caso di specie per quanto si dirà, i
ricorrenti non si confrontano con l’operazione ricostruttiva contenuta nella
sentenza di primo grado, condivisa dai giudici di appello, che ne hanno
riconosciuto la linearità e sostenibilità logica, muovendo dalle dichiarazioni dei
collaboratori.
Posto che i ricorrenti formulano motivi sostanzialmente analoghi, sebbene
diversamente declinati, i temi comuni saranno congiuntamente trattati anche in
ragione dello stretto collegamento tra le posizioni.

2. Contrariamente all’assunto della difesa del Pappalardo, la valutazione di
attendibilità dei collaboratori risulta effettuata già nella sentenza di primo grado,
nella quale si dà atto della credibilità del narrato in ragione della specificità e

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intercettazioni, il limitato arco temporale della condotta ed il ruolo marginale del

ricchezza dei particolari riferiti, e dell’attendibilità dei dichiaranti per la
qualificazione delle fonti, trattandosi di appartenenti a diversi gruppi mafiosi
operanti nel catanese, che avevano preso parte al traffico di stupefacenti ed in
modo convergente avevano riferito delle dinamiche dei rispettivi gruppi e dei
rapporti con il clan dei “carcagnusi”, facente capo a Nuccio Mazzei, reggente del
clan.
In particolare, il D’Aquino, il Musumeci ed il Viola hanno riferito del traffico di
stupefacenti, gestito dal clan Mazzei, tra la fine del 2011 ed il giugno 2012, della

quantitativi di cocaina (2-3 kg a settimana, secondo il Musumeci) e delle
forniture periodiche assicurate agli altri clan mafiosi (indicate dal Viola nella
misura di 5-10 kg di cocaina a settimana, v. pag. 55 e 56 della sentenza di
primo grado).
Il D’Aquino, appartenente al clan Cappello, aveva riferito del ruolo apicale
del Mazzei, intervenuto a regolare i rapporti con il suo clan, interessato ad una
piazza di spaccio, gestita da soggetti vicini al Mazzei, disponendo che la stessa
continuasse ad essere gestita dai “carcagnusr; il Musumeci, appartenente al clan
Bonaccorsi, oltre ad indicare gli appartenenti al clan Mazzei con i quali aveva
trafficato cocaina nel quartiere San Cristoforo negli anni 2009-2010, aveva
riferito che il clan disponeva anche di altri sodali, che operavano fuori da detto
quartiere; analogamente il Viola, appartenente al clan Santapaola, aveva riferito
dei contatti avuti con esponenti di spicco del clan Mazzei per il traffico di droga.
Risulta, pertanto, smentita dalla convergenza dichiarativa indicata la dedotta
inesistenza di un’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti facente capo
al Mazzei; scarsamente rilevante la circostanza che i collaboratori non avessero
indicato il Pappalardo, quale appartenente all’associazione, avendo gli stessi
indicato solo i soggetti con i quali avevano avuto rapporti, ma riferito di una più
ampia articolazione soggettiva del clan, e sussistenti i riscontri, ricavabili dai
colloqui intercettati.

3. Del tutto infondata è la dedotta estraneità dei ricorrenti, il cui
coinvolgimento nel traffico illecito e l’appartenenza al gruppo sono stati ritenuti
provati dalle risultanze intercettative.
Già il giudice di primo grado aveva respinto la tesi difensiva del Pappalardo
circa l’oggetto lecito dei colloqui, dimostrando con argomenti logici e puntuali che
il termine “ricariche telefoniche” solo in apparenza si riferiva all’attività lecita del
ricorrente, effettivamente titolare di un negozio di telefonia, trattandosi, invece,
di un termine di copertura, utilizzato e condiviso dai coimputati per mascherare
l’oggetto illecito delle conversazioni.

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titolarità di alcune piazze di spaccio, della capacità di gestire consistenti

Come indicato nelle sentenze di merito ciò si ricava da numerose
conversazioni e dall’incongruenza dei discorsi, apparentemente riferiti a prodotti
di telefonia, invece, lineari se letti secondo la chiave interpretativa adottata,
della quale ha fornito riscontro l’arresto del Pappalardo, trovato in possesso di 32
grammi di cocaina pura, sostanza da taglio, bilancino e materiale per il
confezionamento il 31 gennaio 2011.
Dimostrativo

della

dell’interpretazione

correttezza

del

linguaggio

convenzionale, adottato dai ricorrenti, è stato ritenuto il colloquio del 31

fosse andata a finire con quella cosa” per poi subito correggersi e domandare di
“quelle schede, che doveva venire a prendere”: il prosieguo del colloquio
inequivocabilmente dimostrava che discutevano di sostanza stupefacente e
dell’ottima qualità della stessa rispetto a quella fornita in una precedente
occasione, non essendo il discorso e, soprattutto, il confronto compatibile con
pregresse forniture di prodotti di telefonia (pag. 57 della sentenza di primo
grado).
Analoga conferma veniva desunta dai colloqui tra il Pappalardo ed il Galati
Massaro, stante il riferimento a “schede di un certo tipo, che sarebbero state
disponibili la stessa sera”, ed alla somma di 500 euro, inviata al primo tramite
Michele Maiolino, cognato del Galati Massaro, o il riferimento a “10 pezzi” o a
“ricariche da pagare”; ancora, veniva valorizzata la richiesta del Galati Massaro
al Pappalardo circa l’arrivo delle ricariche, cui seguiva la domanda di questi
all’altro circa l’eventuale arrivo di “quelle degli altri”, a riprova che non
discutevano di prodotti di telefonia; o la risposta del Pappalardo, che, alla
domanda del Galati Massaro circa le condizioni del tempo, diceva che occorreva
attendere le 18.30, per poi convocarlo presso la sua abitazione ed esortare, dopo
l’incontro, il Maiolino a mettersi in contatto con l’altro, al fine di dimostrare
l’assoluta illogicità del colloquio, invece, decifrabile utilizzando la chiave di lettura
fornita dal giudicante (pag. 59 sentenza di primo grado).
Decisiva conferma veniva tratta dal colloquio del 23 dicembre 2010 tra il
Pappalardo e lo Sgroi, al quale il primo ribatteva, avendo appreso delle difficoltà
di pagamento di un debitore, dicendo:”ho chiuso con lui, sempre si lamenta, va
bé apposto se la va a prendere da un’altra parte, non mi interessa, non gliene do
più ricariche” o dal colloquio tra il Pappalardo e due acquirenti per sincerarsi del
gradimento della qualità dello stupefacente (“com’era come ti avevo detto io? e,
ottenuta risposta affermativa, chiedeva “l’importante é che sei contento, ma te li
hanno fatti i complimenti?”), a riprova dell’incompatibilità di simili discorsi con
forniture di schede o ricariche telefoniche.

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dicembre 2010, nel corso del quale l’interlocutore chiedeva al Pappalardo “come

Risulta, pertanto, sorretta da congrua e logica motivazione l’interpretazione
dei colloqui intercettati e la valenza probatoria ad essi attribuita dai giudici di
merito.
Il ruolo attivo del Pappalardo nella gestione del traffico di stupefacenti e nel
coordinamento dell’attività degli altri sodali risulta delineato dalle conversazioni
valorizzate dai giudici di merito, attestanti che il Pappalardo inviava tramite il
Maiolino lo stupefacente al Galati Massaro, come provato dall’incompatibilità
dell’invio di ricariche tramite il Maiolino con il commento del Galati, il quale

Pappalardo, il quale ribatteva che, invece, erano d’accordo di “tenerne metà
ciascuno”(pag. 61 sentenza di primo grado) nonché dall’inconciliabilità del
colloquio del 27 dicembre 2010 con l’apparente oggetto lecito dello stesso,
ricavabile dalla sequenza del discorso tra il Pappalardo ed il Galati, chiaramente
riferibile all’acquisto di una partita di stupefacente, in quanto il Pappalardo gli
riferiva del rimprovero del quale era stato destinatario e gli intimava di
raggiungerlo al negozio con Michele; nell’informarlo del mancato arrivo delle
ricariche, di cui gli chiedeva il Galati, il Pappalardo ribatteva che “il problema era
proprio quello”, facendo riferimento alla somma di 6 mila euro inviata, a fronte di
una richiesta di 6.500 euro, per l’acquisto di “un motorino, che, se fosse stato
lento, doveva essere buttato” (pag. 62 della sentenza di primo grado).
La difesa del Pappalardo aveva contestato che dai colloqui risultasse il ruolo
del ricorrente di fornitore del Galati Massaro, essendo invece, quest’ultimo a
procacciare le ricariche al ricorrente, ma correttamente i giudici di appello hanno
ritenuto irrilevante la circostanza, traendosi dai colloqui conferma dell’utilizzo del
linguaggio comune e della fittizietà del termine di copertura utilizzato, atteso che
il Galati Massaro non esercitava attività nel settore della telefonia (a pag. 59
della sentenza di primo grado si valorizza il colloquio nel quale il Galati chiedeva
al Pappalardo se gli servivano ricariche telefoniche e si offriva di procurargliene
cento), e che di norma accadeva il contrario.
Considerato che l’alternanza di ruolo è compatibile con l’attività illecita
comune, nella maggior parte dei casi era il Pappalardo a rifornire il Galati: infatti,
nel dicembre 2010 era il Galati a richiedere al Pappalardo delle ricariche (“sali
sessanta ricariche”) e nel periodo natalizio era nuovamente il Pappalardo a
procurare “ceste e regali” al Galati Massaro e ad inviargli, tramite il Maiolino,
soldi e “un bel panettone”(pag. 63 sentenza primo grado); era sempre il Galati
Massaro a sollecitare il Maiolino a rinviare gli appuntamenti con i clienti, secondo
le indicazioni del Pappalardo, che necessitava di tempo per preparare “ceste e
pani”, assicurando nel contempo a tale Alessandro di trovarsi dalla sua comare e
che la situazione era positiva, tant’è che lo richiamava per chiedergli “quanti

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asseriva che Michele “se li era presi e consumati lui”, provocando l’irritazione del

pani” gli servivano, ottenendo in risposta “10”, mentre i proventi delle cessioni
erano destinati al Pappalardo, che si avvaleva dello Sgroi per il recupero dei
crediti, come si ricava dal colloquio in cui il Pappalardo intimava al Galati
Massaro di recuperare 200 euro dal suo cliente, tale Alessandro, da consegnare a
Daniele (lo Sgroi appunto) e, soprattutto, dai colloqui tra il Pappalardo e
quest’ultimo, come si dirà.

4. Contrariamente all’assunto dei ricorrenti, l’esistenza di una cassa comune

riferiva delle somme ancora da riscuotere dai clienti e da destinare a terzi, tant’è
che al termine dei conteggi, compresivi degli importi che sia il Maiolino, sia il
Galati che lo Sgroi stesso dovevano ancora incassare, questi affermava che “se
accumulano un po’ di soldi e glieli portano, quelli sono contenti”(pag. 66
sentenza di primo grado); è stata altresì, desunta dal colloquio tra il Pappalardo
ed il Galati Massaro, nel corso del quale discutevano del prelievo di 300 euro da
una comune disponibilità da consegnare ad un terzo o della necessità di parlare
di alcune questioni con il “bambino” alias del Mazzei, indicato dai collaboratori
(pag. 68 sentenza di primo grado), ma soprattutto, è stata tratta dal colloquio
tra il Pappalardo e lo Sgroi, nel corso del quale il Pappalardo, dopo aver appreso
dei ritardi nell’adempimento di un debitore, affermava, significativamente
parlando al plurale, “noialtri non abbiamo bisogno di queste sanguisughe, se loro
si devono divertire con la mia minchia no, lui i soldi mi deve dare” (pag. 77 della
sentenza di primo grado).
Anche la tesi difensiva del mero rapporto di amicizia tra il Pappalardo ed il
Mazzei risulta smentita dalla pluralità di elementi indicata dai giudici di merito
con i quali il ricorrente non si confronta.
Sono stati ritenuti indicativi dell’appartenenza del ricorrente all’associazione
e della subordinazione alle disposizioni del Mazzei il colloquio nel quale il
Pappalardo gli comunicava di essere impegnato nella consegna di ricariche,
menzionando Stella Lucio, ritenuto appartenente all’associazione di stampo
mafioso, di cui il Mazzei era reggente, incassandone l’assenso a differire il loro
incontro; la convocazione del Maiolino per riferirgli una cosa da parte del
“bambino” ovvero del Mazzei e la convocazione anche del Galati Massaro per la
stessa ragione; la immediata convocazione del Maiolino presso la sua abitazione,
dopo essere stato convocato, a sua volta, dal Mazzei in tarda serata ed ancora la
convocazione del Maiolino, del Galati Massaro e dello Stella su richiesta del
Mazzei; il colloquio del 18 gennaio 2011 con il Maiolino, al quale il Pappalardo
riferiva di avere avuto una discussione con il Mazzei per colpa del cognato,
sollecitandolo a vedersi con urgenza: l’incontro, differito al giorno dopo,

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è stata desunta proprio dai colloqui tra il Pappalardo e lo Sgroi, al quale il primo

riguardava l’ammanco di 2.500 euro contestato al Galati Massaro e la questione
sorta con il Mazzei nella quale il Pappalardo voleva evitare di essere coinvolto.
Dai colloqui intercettati si comprendeva che vi era stato un contrasto tra il
Galati e Maurizio u lungu, che aveva picchiato il Galati alla presenza del
Pappalardo, accusandolo dell’ammanco, che aveva fatto infuriare il Mazzei, e che
per dirimere la questione il Galati aveva chiesto l’intervento del Riccombeni, il
quale avrebbe parlato con il Mazzei, a riprova del ruolo preminente di questi, cui
era demandata la risoluzione della questione ed al quale tutti erano tenuti a

Avuto riguardo al contesto svelato dai collaboratori e confermato dai colloqui
intercettati, risulta del tutto congruente la valorizzazione della catena di
comunicazione indicata, della pronta adesione del Pappalardo alle convocazioni
del Mazzei e del coinvolgimento nella vicenda dell’ammanco contestato al Galati.
La contestazione difensiva sul punto è del tutto infondata, risultando
ampiamente documentato dai colloqui riportati nella sentenza di primo grado
(pagine 68-70) il coinvolgimento del Pappalardo nella soluzione delle
problematiche sorte per l’infedele condotta del Galati Massaro, al punto da
insistere con questi affinché parlasse con il “bambino”, informare il Galati di
doversi recare da Michele perché aveva dovuto anticipare delle somme di
danaro, prelevandole dagli incassi del negozio, e ribadirgli che si sarebbero recati
insieme in luogo noto ad entrambi.
Anche le cautele utilizzate nell’evitare di nominare il Mazzei, indicandolo
come “il bambino” o “il ragioniere”(soprannonni indicati anche dai collaboratori),
e la circostanza che gli interlocutori comprendessero il riferimento e si
rendessero immediatamente disponibili confermano la corretta valutazione dei
giudici di merito circa il riconoscimento del ruolo verticistico del Mazzei, alle cui
disposizioni e decisioni i ricorrenti dovevano attenersi.

5. Inconsistente è anche la censura relativa alla mancata individuazione dei
canali di rifornimento, alla quale i giudici di merito hanno fornito congrua
risposta, sottolineando che la disponibilità di sicuri canali di approvvigionamento
era desumibile sia dalle intercettazioni, in ragione delle quantità movimentate e
dei relativi ricavati, sia dalle dichiarazioni dei collaboratori circa la disponibilità da
parte del clan di notevoli quantitativi di cocaina, destinati alle piazze di spaccio,
gestite dal clan, ed alle forniture settimanali assicurate agli altri clan mafiosi.
La circostanza trova riscontro nella improduttiva trasferta calabrese del
Galati Massaro il 30 dicembre 2010, che non bloccava affatto l’operatività del
traffico illecito: infatti, il Galati informava il Riccombeni di “non aver potuto fare
niente lì”, ma che avrebbe “preparato alcune ceste” per il giorno dopo ovvero il

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rendere conto.

giorno dell’arresto del Pappalardo, trovato in possesso di 32 grammi di cocaina
pura, sostanza da taglio e materiale per il confezionamento, come già detto.
Coerentemente i giudici di merito hanno ritenuto che le dichiarazioni del
Pappalardo, il quale nell’interrogatorio aveva sostenuto di aver svolto attività
lecita avente ad oggetto realmente ricariche telefoniche per importi pari a 40
mila euro al mese, non documentati, e di aver avuto rapporti di sola conoscenza
con il Mazzei, di lavoro con il Galati Massaro, che si riforniva di ricariche
telefoniche, e con lo Sgroi, che lo aiutava nella vendita delle ricariche e si

smentite dai colloqui intercettati, che ne dimostravano il ruolo attivo,
subordinato al Mazzei, di raccordo e contatto continuo con i sodali.

6.

Anche la partecipazione del Maiolino all’attività distributiva ed alle

dinamiche del gruppo è attestata, come ritenuto dai giudici di merito, dalla
partecipazione alla questione economica sorta per il comportamento del cognato,
dalle ripetute convocazioni presso l’abitazione del Pappalardo per riferirgli quanto
appreso dal Mazzei, dalla partecipazione alla distribuzione delle “ceste e dei pani”
ai ragazzi con i quali, insieme al cognato, avevano fissato un appuntamento per
il tardo pomeriggio del 31 dicembre, dalla condivisione del linguaggio di
copertura utilizzato, dalla pronta disponibilità ad eseguire consegne, anche di
danaro, su disposizione del Pappalardo o del cognato, e dal ruolo preminente e
direttivo, riconosciuto al Mazzei.
Del tutto infondata è la dedotta non configurabilità della partecipazione
associativa per il limitatissimo arco temporale in cui si sarebbe svolta.
L’obiezione, reiterata nel ricorso, ignora la risposta fornita dai giudici di
merito, che hanno chiarito che i primi rapporti con il Pappalardo risalgono al
novembre 2010 e le intercettazioni ne hanno dimostrato il ruolo dinamico,
funzionale all’attività ed al programma associativo, con consapevole adesione e
costante disponibilità.

7. Analogamente inammissibili per genericità e manifesta infondatezza sono
le censure formulate dalla difesa dello Sgroi, meramente reiterative di critiche
respinte dai giudici di merito con piana e coerente motivazione.
L’attività di recupero crediti svolta dallo Sgroi è stata ritenuta provata dalle
conversazioni intercettate con il Pappalardo, dimostrative della consapevolezza
del ricorrente della natura illecita dei crediti, come emblematicamente si ricava
dal colloquio del 23 dicembre 2010 con il Pappalardo e dal commento di questi
sul comportamento del debitore, incompatibile con la rivendita di ricariche
telefoniche, come già detto e ritenuto dai giudici di merito (pag. 76 sentenza

occupava del recupero dei suoi crediti, trattenendo una percentuale, risultavano

primo grado); analoga consapevolezza è stata desunta dal colloquio in cui il
Pappalardo gli riferiva della situazione debitoria di vari clienti e dal commento
dello Sgroi sulla destinazione delle somme a terzi e non al Pappalardo risultava
smentita la prospettazione alternativa proposta dalla difesa.
I giudici di merito hanno anche ritenuto che il ricorrente fosse consapevole
dell’esistenza dell’associazione e di una cassa comune, desumendolo dal
commento del Pappalardo, che, dopo aver appreso dal ricorrente dei ritardi
nell’adempimento di un debitore, affermava, significativamente parlando al

divertire con la mia minchia no, lui i soldi mi deve dare”, in tal modo riferendosi
ad una cointeressenza. E’ stato, altresì, valorizzato il colloquio del 27 dicembre
2010, in cui il Pappalardo intimava al Galati Massaro di recuperare il danaro da
un suo cliente e di consegnarlo a Daniele, ritenendo significativa la circostanza
che il Galati Massaro non facesse obiezioni né avesse incertezze sull’identità di
Daniele; ancora è stato attribuito rilievo alla circostanza che il Pappalardo gli
comunicasse che suo tramite “avrebbe mandato i soldi a quelli e siamo a posto”.
Parimenti significativa della partecipazione associativa è stata ritenuta la
circostanza che il Pappalardo lo informasse dell’incremento degli affari e del fatto
che anche i concorrenti avevano acquistato ricariche da lui (pag. 78), al pari dei
costanti riferimenti a somme di danaro nell’ordine non solo di centinaia, ma
anche di migliaia di euro, e ad incontri da effettuare in orari notturni, ritenuti
indicativi dell’oggetto illecito degli stessi, dei contatti con il Galati, e soprattutto,
della conversazione del 13 gennaio 2011, nel corso della quale il Pappalardo gli
comunicava di dovergli consegnare una cosa per “u picciririddu” ovvero per il
Mazzei: elementi correttamente ritenuti indicativi dell’inserimento nel gruppo, del
ruolo svolto, della perfetta conoscenza degli affari del gruppo e della
consapevolezza che l’attività del gruppo faceva capo ad un vertice.
Sulla scorta di tali emergenze già il giudice di primo grado aveva ritenuto
irrilevante la produzione difensiva, relativa al credito di 25 mila euro vantato
dallo Sgroi nei confronti del Pappalardo, per l’inconciliabilità dei colloqui
intercettati e delle somme riscosse con la restituzione del prestito, specie in
ragione dell’entità delle stesse, delle reazioni del Pappalardo a fronte degli
inadempimenti dei debitori, della consuetudine dimostrata dal ricorrente nel
rapportarsi ai debitori insolventi e della palese consapevolezza dello Sgroi della
destinazione delle stesse a terzi, piuttosto che all’estinzione del suo credito.
Gli elementi illustrati danno conto della coerente valutazione dei giudici di
merito, concordi nel ritenere i ricorrenti stabilmente inseriti nell’associazione
delineata, facente capo al Mazzei, attivamente impegnati nel traffico di
stupefacenti, abilmente schermato dal ricorso ad un comune linguaggio di

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plurale, “noialtri non abbiamo bisogno di queste sanguisughe, se loro si devono

copertura, con suddivisione di ruoli, interazione costante e convergente finalità di
profitto, destinata ad alimentare il commercio illecito.

8. Del tutto corretta è l’esclusione dell’ipotesi associativa minore in ragione
dell’entità dei quantitativi trattati, riferiti dai collaboratori, dell’estensione della
rete di smercio, della continuità nel tempo del traffico illecito, dell’entità delle
somme riscosse nonché della natura e dell’elevato grado di purezza del
quantitativo di cocaina sequestrato al Pappalardo, elementi che escludono la

La valutazione è conforme ai principi affermati da questa Corte, secondo i
quali la fattispecie associativa prevista dall’art. 74, comma sesto, d.P.R. n. 309
del 1990 è configurabile a condizione che i sodali abbiano programmato
esclusivamente la commissione di fatti di lieve entità, predisponendo modalità
strutturali ed operative incompatibili con fatti di maggiore gravità (Sez. 6, n.
12537 del 19/01/2016, Biondi e altri, Rv. 267267) e ciò in quanto, trattandosi di
fattispecie autonoma di reato (Sez. U. 34475 del 23/06/2011, Valastro, Rv.
250352), l’ipotesi attenuata deve caratterizzare la struttura associativa sin dal
momento genetico e deve investire sia il momento dell’approvvigionamento che
della distribuzione, non potendo aversi riguardo ai singoli episodi di cessione
accertati o ai quantitativi sequestrati, bensì alle potenzialità dell’associazione di
procurarsi quantitativi rilevanti e di maturare profitti consistenti, come emerso
nel caso di specie.

3. Parimenti corretta è la valutazione espressa per le cessioni di cui al capo
B1), essendo l’apprezzamento fondato non solo sul dato quali-quantitativo, ma
sulla valutazione complessiva delle condotte, con specifico riguardo alle modalità
ed ai mezzi utilizzati.
Non solo l’attività di cessione aveva ad oggetto sostanze di diversa tipologia,
come si ricava dall’utilizzo di termini di copertura differenti per le sostanze da
preparare e destinare alla vendita (ceste e pani), ma anche di ottima qualità,
come si desume dai commenti del Pappalardo; ha avuto una durata ed una
continuità apprezzabili, ma sono, soprattutto, le modalità delle condotte ad
escludere la minima offensività dei fatti, dovendo la stessa essere correlata
concreta capacità di azione dei ricorrenti in rapporto alla rete retrostante ed
alle modalità utilizzate per operare al riparo da controlli e azioni repressive delle
forze dell’ordine, ricavabili dagli elementi esposti, valorizzati nelle sentenze di
merito.

I3

minore portata offensiva del programma associativo.

All’inammissibilità dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al
pagamento delle spese processuali ed al versamento di una somma in favore
della cassa delle ammende, equitativamente determinata in euro duemila
ciascuno.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle

favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 10/04/2018.

Il Consigliere ?stensore
Anna C(i)scu Io

Il Presidente
Giaco

Paoloni

spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro duemila in

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