Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21306 del 09/05/2016


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 21306 Anno 2016
Presidente: SAVANI PIERO
Relatore: DE MARZO GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
NARDINI CLAUDIO N. IL 05/06/1972
avverso la sentenza n. 2126/2011 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
06/07/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIUSEPPE DE MARZO;

Data Udienza: 09/05/2016

Fatto e diritto
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Firenze ha confermato
l’affermazione di responsabilità di Claudio Nardini cui era stato contestato il reato
di cui agli artt. 582, 583, comma secondo, n. 1, cod. pen.
Nell’interesse dell’imputato è stato proposto ricorso per cassazione, affidato a
due motivi, con i quali si lamenta il mancato esame del motivo di gravame che
investiva la determinazione della pena.
Il ricorso è inammissibile.

adoperata dal giudice di primo grado per esprimere il giudizio di bilanciamento
deve ritenersi estesa a tutte le circostanze aggravati contestate e non alla sola
recidiva, atteso il carattere unitario del giudizio di comparazione, si osserva che
la Corte territoriale, ben consapevole della portata dei motivi di gravame – che
ha, infatti, puntualmente riprodotto nella prima parte della decisione -, si è
confrontata con la doglianza relativa alla entità della pena, rilevando che, tenuto
conto della gravità delle conseguenze del reato e della violenza dell’aggressione,
la sanzione irrogata era tutt’altro che incongrua e sproporzionata.
Del resto, il giudice di primo grado, nel suo pur non limpido calcolo, ha
valorizzato l’entità delle lesioni e il carattere proditorio e immotivato
dell’aggressione, in tal modo mostrando di volersi discostarsi dal minimo
edittale, con la conseguenza che la pena base indicata in motivazione di tre anni
di reclusione non può logicamente rappresentare né, come evidente, il minimo
edittale delle lesioni gravissime (sei anni di reclusione), né il minimo edittale
(effettivamente di tre anni), previsto per le lesioni gravi, giacché in quest’ultimo
caso non vi sarebbe stata alcuna necessità di ulteriormente argomentare.
D’altra parte, il fatto che poi, dopo avere illustrato, in termini che non palesano
alcuna manifesta illogicità, le ragioni della determinazione della pena base in tre
anni di reclusione, il giudice di primo grado abbia irrogato la pena di due anni di
reclusione, pur riconoscendo la mera equivalenza delle circostanze, rappresenta
un risultato non rispondente al sistema normativo, ma del quale non s’è
lamentato il pubblico ministero e non può dolersi, per evidente carenza di
interesse, il ricorrente.
Alla inammissibilità del ricorso consegue,

ex art. 616 cod. proc. pen., la

condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in
favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si
stima equo determinare in euro 2.000,00.

P.Q.M.

1

Chiarito, come ben avvertito dal ricorrente, che la non perspicua formula

t

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, in data 9 maggio 2016
I Pre,idente

Il Componente estensore

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