Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21306 del 08/11/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21306 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: SIANI VINCENZO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
ROSETTI PIO nato il 19/07/1956 a VIAREGGIO

avverso l’ordinanza del 07/02/2017 del TRIB. SORVEGLIANZA di FIRENZE
sentita la relazione svolta dal Consigliere VINCENZO SIANI;
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Data Udienza: 08/11/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con l’ordinanza in epigrafe, emessa in data 7 – 8 febbraio 2017, il
Tribunale di sorveglianza di Firenze ha accolto l’istanza proposta da Pio Rosetti di
ammissione alla detenzione domiciliare per l’espiazione della pena di anni due di
reclusione mentre ha rigettato l’istanza del Rosetti di essere ammesso
all’affidamento in prova al servizio sociale.

Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso il difensore del Rosetti

chiedendone l’annullamento sulla scorta di un unico motivo con cui ha lamentato
erronea applicazione della disciplina di riferimento, anche in relazione al disposto
dell’art. 445 cod. proc. pen., nonché contraddittorietà e illogicità manifesta della
motivazione.
Secondo il ricorrente, il Tribunale di sorveglianza, escludendo la possibilità di
ammettere il Rosetti all’affidamento in prova e quella di autorizzare, in relazione
alla concessa detenzione domiciliare, il condannato ad allontanarsi dalla propria
abitazione per esercitare l’attività lavorativa, aveva errato, in quanto – pur
prendendo atto che l’applicazione della pena di anni due di reclusione ex art. 444
cod. proc. pen. (con la sentenza del G.u.p. di Tribunale di Lucca in data 26
settembre 2013, relativa al reato di bancarotta fallimentare fraudolenta) non
aveva contemplato, in conformità con il disposto di cui all’art. 445 cod. proc.
pen., l’irrogazione delle pene accessorie – aveva finito, tuttavia, con la sua
valutazione, per porre nel nulla il decisum del giudice di cognizione adottando
una determinazione

contra legem,

siccome esorbitante dallo spazio in cui

avrebbero dovuto muoversi, in sede esecutiva, i giudici di sorveglianza: invero,
disporre che il Rosetti non potesse ricoprire la carica di amministratore della DG
Srl, società a conduzione familiare costituita in epoca antecedente alla D&G Srl,
di poi fallita, né potesse svolgere la sua attività lavorativa per conto di essa,
nonostante le positive risultanze emergenti dalla relazione UEPE e dalle
informative di polizia, integrava una decisione ingiustificata ed impropriamente
irrogativa della corrispondente pena accessoria.
Quanto, poi, allo specifico diniego dell’autorizzazione di svolgere
quell’attività lavorativa nell’ambito dell’accordata detenzione domiciliare, la
pretesa del Tribunale di sorveglianza che il Rosetti, ultrasessantenne e con
problemi di salute, rinvenisse un diverso lavoro, dopo che per un’intera vita egli
si era sempre occupato del commercio di prodotti ittici, costituiva un’imposizione
oltremodo vessatoria, oltre che irragionevole. In ogni caso, il Rosetti aveva dato
prova di avere intrapreso un serio percorso di rivisitazione dei propri trascorsi:
fatto che bastava per legittimare la concessione di entrambe le misure

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2.

alternative, dovendo, per il resto, evidenziarsi che, sebbene non si richiedesse in
tal senso anche la dimostrazione del ristoro alla persona offesa, la
documentazione prodotta aveva dimostrato che l’intero patrimonio immobiliare
del Rosetti era gravato dalle ipoteche costituite a seguito delle fideiussioni
bancarie da lui rilasciate.

3. Il Procuratore generale ha prospettato il rigetto del ricorso, l’ordinanza
impugnata avendo correttamente chiarito la concreta incompatibilità fra il lavoro
proposto e la condizione personale del condannato, con il connesso rischio di

reiterazione di reati della stessa specie, per gli effetti che coerentemente ne
erano stati tratti, sia per il rigetto dell’istanza di affidamento in prova, sia per il
diniego dell’autorizzazione al lavoro in relazione alla concessa detenzione
domiciliare.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. L’impugnazione non è fondata e va pertanto rigettata.

2. Il Tribunale, a ragione del provvedimento di rigetto assunto, ha formulato
una valutazione congrua e non illogica, né contraddittoria.
L’analisi dei giudici di merito ha tenuto nel debito conto il fatto che al Rosetti
è stata applicata, ex artt. 444 e ss. cod. proc. pen., la pena di anni due di
reclusione per i reati di bancarotta fraudolenta per distrazione di euro 240.00,00
e dissipazione di merce per euro 887.000,00, nonché per aver cagionato il
fallimento per effetto di operazioni dolose nella qualità di amministratore unico
della D&G Sri, con la specificazione che la dissipazione era avvenuta alienando la
merce alla ditta individuale “Pescheria Vecchia Viareggio di Rosetti Pio”, di cui
egli era titolare, senza che fosse versato alcun corrispettivo alla società di poi
fallita, con ulteriore particolarità che il Rosetti aveva anche conferito nella società
stessa l’azienda della citata ditta individuale quando essa risultava gravata da un
patrimonio negativo superiore a 299.000,00 euro, stimandone l’avviamento
nell’importo di oltre 379.000,00 euro.
Posto tale sfondo, il Tribunale ha anche preso atto che il condannato aveva
dichiarato di svolgere attività lavorativa quale amministratore unico della DG Srl,
società a conduzione familiare di proprietà della figlia Francesca Rosetti e del
nipote Nicola Paoleschi, costituita prima del fallimento della D&G Srl, che
ugualmente si occupava del commercio di prodotti ittici all’ingrosso, dichiarando
di non percepire emolumenti per non gravare sulla società, mentre delle sue
esigenze si occupavano la suddetta figlia, la quale gli aveva dato in comodato

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anche la casa di abitazione, e la ex compagna Giovanna Di Cagno, e che egli,
cardiopatico sotto cura, era disposto a svolgere attività di volontariato.
I giudici di merito hanno rilevato che tali dati sono stati confermati dalla
relazione UEPE, da cui, tuttavia, è emerso anche che il Rosetti, pur avendo
accettato il confronto, ha palesato ritrosia nella rilettura delle sue condotte
devianti e dei reati commessi rivelando la sua propensione verso un mero
meccanismo di natura gestionale utilizzato per mandare avanti il lavoro
nonostante le difficoltà.
Data tale situazione, i giudici di sorveglianza hanno, senza per questo

invadere il campo della cognizione, correttamente considerato che la
prospettazione lavorativa formulata dal condannato, in evidente consecutio con
quella a cagione della quale egli aveva commesso il reato la cui pena era oggetto
di esecuzione, risultava e risulta assolutamente controindicata rispetto a
qualsiasi misura alternativa: in sostanza, il Rosetti intende svolgere esattamente
la stessa attività (per funzioni ed ambito commerciale) espletando la quale si è
reso protagonista di plurimi gravi reati nell’anno 2012, oltre che di alcuni dei
restanti reati emergenti dal suo certificato del casellario giudiziale.
Pertanto la conclusione secondo cui tale attività, rispetto alla quale non si è
ritenuto possibile svolgere controlli significativi e pregnanti, non rassicura in
alcun modo in relazione al concreto rischio di reiterazione da parte sua degli
stessi reati per i quali era stato condannato appare adeguatamente motivata e
logicamente coerente.
I giudici specializzati hanno sottolineato, altresì, che il Rosetti, nonostante
consistenti danni economici arrecati a terzi, aveva omesso qualsiasi
dimostrazione di avere avviato un’opera tesa al concreto risarcimento di tali
pregiudizi, posto che i danni stessi non risultavano ripianati dall’esito della
procedura fallimentare, non ancora definita, senza che peraltro emergessero
risorse adeguate per la formazione di un piano di riparto satisfattivo per tutti i
creditori.
La valutazione conclusiva è stata, pertanto, espressa nel senso che
l’esigenza imprescindibile di evitare che il condannato torni ad impiegare
nell’immediato la sua attività lavorativa nelle stesse funzioni e nell’identico
ambito territoriale e commerciale in cui ha commesso i reati succitati, oltre ad
impedirne l’ammissione all’affidamento in prova, esclude anche che possa
autorizzarsi – rispetto all’accordata detenzione domiciliare – lo svolgimento di
qualsivoglia attività lavorativa per conto della DG Srl.

3. La censura svolta dal ricorrente circa il diniego dell’affidamento in prova
al servizio sociale, valutate le puntualizzazioni sopra richiamate, non appare

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fondata.
I giudici di sorveglianza hanno infatti ragionevolmente argomentato nel
senso che, alla stregua della situazione descritta, la misura dell’affidamento in
prova (quella più ampia e caratterizzata dalle prescrizioni meno pervasive) non
possa essere accordata al Rosetti, dovendo escludersi che, sulla scorta risultanze
della relazione UEPE e della non accoglibile prospettazione di continuare a
svolgere attività lavorativa nello specifico ambito in cui aveva commesso i reati
sopra indicati, egli abbia maturato una sufficiente, sia pure allo stato prodromico,

commessi, la prospettiva da lui indicata risultando chiaramente incompatibile con
il raggiungimento di una consapevolezza adeguata ad affrontare il percorso
rieducativo al livello implicato dalla chiesta misura alternativa.
Anche la notazione inerente alla carenza del suo impegno allo scopo di
assicurare un qualche ristoro alle persone danneggiate dai suoi reati appare
oggetto di critica infondata da parte del ricorrente.
Deve muoversi dal rilievo che, ai fini del diniego della concessione del
beneficio dell’affidamento in prova al servizio sociale, il tribunale di sorveglianza
può legittimamente valutare l’ingiustificata indisponibilità del condannato a
risarcire la vittima, trattandosi di indice comportamentale comunque significativo
in relazione alla verifica dell’inizio del percorso di ravvedimento e, quindi, non
ostando a ciò la mancata previsione del risarcimento dei danni quale condizione
per la concessione del beneficio suddetto (Sez. 1, n. 39266 del 15/06/2017,
Miele, Rv. 271226).
A fronte della specifica notazione di incapienza della massa attiva del
fallimento per la soddisfazione delle ragioni creditorie, corrispondenti ai
pregiudizi determinati dal Rosetti con la sua attività antigiuridica, e dell’assenza
di concrete iniziative risarcitorie da parte sua, la critica mossa dal ricorrente al
Tribunale – di non aver considerato i gravami ipotecari esistenti sul suo
patrimonio per avere egli prestato, a suo tempo, garanzie alle banche a sostegno
dell’attività della società fallita – appare in ogni caso non dirimente.
Infatti, essa, oltre a non dare conto, sia pure per sommi capi, del destino
degli introiti conseguiti dalle operazioni distrattive e dissipative dal Rosetti
commesse nei sensi suindicati, non spiega la ragione per la quale questi si è
acconciato a svolgere attività gratuita per altra società, sempre facente capo ai
suoi familiari, e non abbia invece cercato, pur tenendo conto della sua età, di
impiegare altrove ed in posizione non sospetta l’addotta capacità lavorativa per
conseguire in modo trasparente risorse da destinare, oltre che al suo
sostentamento, al ristoro – o quanto meno ad un principio di ristoro delle
persone da lui danneggiate con i reati fallimentari commessi.

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revisione critica delle condotte serbate in relazione alla gravità dei reati

4. In ordine, poi, all’inibizione nell’ambito delle prescrizioni relative alla
detenzione domiciliare a svolgere alcun atto lavorativo o di gestione
amministrativa per la DG Srl, si è avuto già modo di chiarire – con riferimento
alla misura alternativa di più ampio respiro dell’affidamento in prova – che lo
statuto normativo di quell’istituto (con particolare riferimento all’art. 47, commi
quinto e sesto, Ord. pen.) non contempla alcuna limitazione in ordine al
contenuto delle prescrizioni, per cui esse, purché non contrarie alla legge e non

alla finalità di impedire al soggetto di svolgere attività o di avere rapporti
personali che possano portare al compimento di altri reati (Sez. 1, n. 2026 del
07/04/1998, Girardo, Rv. 211030, che ha evidenziato, di conseguenza, come tali
prescrizioni possano avere anche contenuto identico, sia pure parzialmente, a
quello di una pena accessoria tipica).
Questo principio vale parimenti – ed

a fortiori –

per la detenzione

domiciliare, in relazione al disposto di cui all’art. 47-ter Ord. pen., combinato a
quello di cui all’art. 284 cod. proc. pen., la prescrizione in esame essendo stata
ritenuta, con motivazione adeguata e non illogica, funzionale all’utile svolgimento
della misura ed al corrispondente conseguimento dello scopo rieducativo,
preservando il reo dal rischio di recidiva, altrimenti sussistente.

5. Deriva da tali considerazioni il rigetto dell’impugnazione.
Alla reiezione del ricorso segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in data 8 novembre 2017

immotivatamente afflittive, devono considerarsi legittime ove siano rispondenti

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