Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21297 del 08/02/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21297 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: TARDIO ANGELA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Corso Gioacchino, nato a Palermo il 16/03/1967

avverso l’ordinanza del 26/02/2016 della Corte di appello di Palermo

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Angela Tardio;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Oscar Cedrangolo, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità
del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di
una somma a favore della cassa delle ammende.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 26 febbraio 2016 la Corte di appello di Palermo, in
funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza avanzata da Corso
Gioacchino, volta a ottenere la rideterminazione in sede esecutiva della pena
inflitta con sentenza di condanna, emessa a suo carico in data 11 ottobre 2011
dal Tribunale di Palermo, riformata dalla Corte di appello di Palermo con sentenza

Data Udienza: 08/02/2017

del 9 ottobre 2012, irrevocabile il 30 ottobre 2013, nella parte in cui era stato
applicato l’aumento, ritenuto obbligatorio, per la recidiva ex art. 99, quinto
comma, cod. pen.
La Corte rilevava, a ragione della decisione, che:
– la richiesta era stata proposta dall’istante, a cui carico la pena base di anni
ventuno era stata aumentata di un terzo, pari ad anni sette di reclusione, per la
recidiva, in conseguenza del mutato quadro normativo di riferimento a seguito
della sentenza n. 185 del 23 luglio 2015 della Corte costituzionale, che aveva

parola «è obbligatorio», senza esplicare alcun «effetto abrogativo» rispetto
all’aggravante applicata, e ripristinando, casomai, la discrezionalità nel valutare
la recidiva prevista dalla normativa antecedente alla legge n. 251 del 2005;
– la rivisitazione del giudicato poteva, pertanto, riguardare al più il giudizio
discrezionale di fatto sottratto al giudice dalla indicata modifica normativa,
dichiarata illegittima quanto alla obbligatorietà dell’aumento, senza investire
l’accertamento del fatto;
– nella specie, i giudici della cognizione, vincolati ad aumentare la sanzione
per la recidiva, non avevano espresso alcuna valutazione discrezionale circa la
opportunità del disposto aumento;
– tale aumento era, tuttavia, oggettivamente opportuno e perfettamente
adeguato anche secondo una nuova valutazione discrezionale dei dati disponibili
in atti, avuto riguardo ai ripercorsi, molteplici e gravi precedenti penali del
condannato e alla sua rinnovata capacità criminale attestata dai titoli di reato da
ultimo commessi e giudicati.

2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione, per mezzo
dei suoi difensori, avvocati Michele Giovinco e Angelo Brancato, l’interessato
Corso, che ne chiede l’annullamento sulla base di unico motivo, con il quale
denuncia violazione di legge e vizio di motivazione, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b), c) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 81 e 99 cod. pen. e 125
cod. proc. pen.
2.1. Secondo il ricorrente, che ripercorre le argomentazioni sviluppate con
l’incidente di esecuzione, è del tutto censurabile la, pure ripercorsa, motivazione
dell’ordinanza che ha erroneamente ritenuto «oggettivamente opportuno e
perfettamente adeguato l’aumento per la recidiva» sul presupposto della
intervenuta sua duplice condanna per reati associativi, che, in quanto unificati
dal vincolo della continuazione, dovevano essere considerati come unico reato.
Vi è, inoltre, una sovrapposizione cronologica delle contestazioni concernenti
il reato associativo di cui all’art. 416-bis cod. pen. e il reato commesso in materia

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dichiarato l’illegittimità costituzionale della indicata norma limitatamente alla

di stupefacenti, che, contemporanei sotto il profilo temporale, hanno anche
formato oggetto della stessa ordinanza custodiale emessa nei suoi confronti il 12
marzo 2010 e sono stati giudicati in due distinti procedimenti solo per
insindacabili scelte processuali del Pubblico ministero, senza potersi ritenere
espressione di maggiore capacità delinquenziale e pericolosità sociale.
2.2. Secondo i principi espressi dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 35738
del 2010, e dalla stessa Corte costituzionale, con ordinanze n. 409 del 2007 e n.
193, n. 90 e n. 33 del 2008, l’aumento di pena per la recidiva può essere

delittuoso sia concretamente significativo di più accentuata colpevolezza e di
maggiore pericolosità del reo.
Al contrario la incorsa omissione motivazionale ha sottratto la opportunità di
verificare l’esistenza di un logico apparato argomentativo in rapporto alle
deduzioni svolte con l’incidente di esecuzione, trascurandosi anche di rilevare la
risalenza dei suoi precedenti penali e la loro natura non omogenea rispetto alla
successiva condanna, tali da rendere sproporzionata rispetto al fatto e alla sua
personalità la pena risultante dall’aumento per la recidiva.
2.3. La Corte inoltre erroneamente non ha ravvisato l’assoluta
incompatibilità tra l’istituto della recidiva e quello della continuazione,
pervenendo a una pena sproporzionata e avvertita come ingiusta.

3.

Il Sostituto Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta,

concludendo per la declaratoria d’inammissibilità del ricorso, costituendo i motivi
censure in punto di fatto della decisione in ordine alla motivata ritenuta
sussistenza dell’aggravante della recidiva.

4. Con note di replica depositate il 6 febbraio 2017 il ricorrente, contestando
le deduzioni espresse nella requisitoria scritta, insiste nell’accoglimento del
ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato.

2. Si premette in diritto che la Corte costituzionale, con sentenza n. 185
dell’8 luglio 2015, pubblicata sulla G.U. n. 30 del 29 luglio 2015, ha dichiarato la
illegittimità costituzionale -limitatamente alle parole «è obbligatorio»- dell’art.
99, quinto comma, cod. pen., come sostituito dall’art. 4 legge 5 dicembre 2005,
n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, in materia

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disposto solo se, al di là del riscontro formale dei precedenti, il nuovo episodio

di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze
di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), che aveva introdotto un’ipotesi
di recidiva obbligatoria, che ricorreva «se si tratta di uno dei delitti indicati
all’articolo 407, comma 2, lettera a), del codice di procedura penale».
Con tale pronuncia si è, in particolare, osservato che, posta la previsione
dell’applicazione della recidiva obbligatoria per i ridetti delitti sulla base di una
presunzione assoluta di più accentuata colpevolezza o di maggiore pericolosità
del reo legata al titolo del nuovo reato, è «irragionevole il rigido automatismo a

eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei
precedenti reati e dagli altri parametri che dovrebbero formare oggetto della
valutazione del giudice. È, altresì, ingiustificata l’equiparazione del trattamento
delle differenti ipotesi di reato previste nell’art. 407, secondo comma, lett. a)
cod. proc. pen. a seguito della cui commissione si prevede l’obbligatoria
applicazione della recidiva reiterata, a differenza di quanto disposto nei primi
quattro commi dell’art. 99 cod. pen. che prevedono ipotesi di diversa gravità
della recidiva. La disparità di trattamento è ancora più manifesta se si considera
che l’elenco dei delitti che comportano l’obbligatorietà concerne reati eterogenei.
La previsione di un obbligatorio aumento di pena legato solamente al dato
formale del titolo del reato, senza alcun accertamento della concreta
significatività del nuovo episodio delittuoso, viola, infine, anche il principio di
proporzione tra qualità e quantità della sanzione, da una parte, e offesa,
dall’altra, in quanto la preclusione dell’accertamento della sussistenza delle
condizioni che dovrebbero legittimare l’applicazione della recidiva può rendere la
pena palesemente sproporzionata» (Corte costituzionale, sentenza n. 185 del
2015, citata, mass. n. 38529).

3.

L’effetto di tale pronuncia è consistito, pertanto, nel ripristinare il

carattere facoltativo della recidiva prevista dall’art. 99, quinto comma, cod. pen.
anche per i reati di cui all’art. 407, secondo comma, lett. a) cod. proc. pen., resa
obbligatoria con la sua novellazione con legge n. 251 del 2005.

4. Questa Corte, intervenuta nell’apprezzamento di detto effetto nel giudizio
di cognizione, ha ritenuto illegittima la decisione con cui il giudice applichi
l’aumento di pena per effetto della recidiva, ritenuta obbligatoria ex art. 99,
comma quinto, cod. pen., senza operare alcuna concreta verifica in ordine alla
sussistenza degli elementi indicativi di una maggiore capacità a delinquere del
reo, considerato che l’applicazione dell’aumento di pena per effetto della recidiva
rientra nell’esercizio dei poteri discrezionali del giudice, che deve fornire

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cui dà luogo la norma censurata perché inadeguato a neutralizzare gli elementi

adeguata motivazione, con particolare riguardo all’apprezzamento della idoneità
della nuova condotta criminosa in contestazione a rivelare la maggiore capacità a
delinquere del reo che giustifichi l’aumento di pena (Sez. 2, n. 50146 del
12/11/2015, Caruso, Rv. 265684), giudicando non illegale la pena irrogata
precedentemente alla ridetta decisione qualora l’aumento di pena risulti
adeguatamente motivato in relazione alla gravità della condotta, alla negativa
personalità dell’imputato e alla pericolosità sociale di quest’ultimo (tra le altre,
Sez. 2, n. 20205 del 26/04/2016, Bonaccorsi, Rv. 266679; Sez. 2, n. 27366 del

267912).

5. Di tali principi si è fatta nella specie corretta applicazione, avendo la Corte
di appello coerentemente esplicato, premessa l’esatta interpretazione
dell’intervento della Corte costituzionale, le ragioni che sorreggevano l’epilogo
decisorio, rimarcando senza illogicità di sorta le emergenze degli atti disponibili,
e segnatamente i precedenti penali e i sopraggiunti fatti di reato specificamente
descritti, e congruamente valorizzando la evidente traibilità da detta trama di
rapporti delittuosi di una maggiore, e rinnovata nel tempo, capacità a delinquere
del ricorrente, mentre quest’ultimo, che infondatamente deduce la incorsa
violazione della normativa di riferimento e contesta la coerenza del discorso
giustificativo della decisione, sviluppa le sue doglianze e i suoi rilievi, pur dedotti
come censure di legittimità, in un ambito di merito, riferito all’apprezzamento
delle emergenze dei titoli di condanna anche quanto alla loro unicità/
duplicità/sovrapponibilità in fatto, invece non attingibile con il ricorso per
cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
Né ha pregio la reclamata incompatibilità tra gli istituti della recidiva e della
continuazione, essendo costante l’orientamento di legittimità, che, in linea con il
principio fissato dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 9148 del 17/04/1996, P.M. in
proc. Zucca, Rv. 205543), e superando l’opposta lettura con isolato precedente
(Sez. 5, n. 5761 del 11/11/2010, dep. 2011, Melfitano, Rv. 249255), ha
riaffermato che non esiste incompatibilità tra gli istituti della recidiva e della
continuazione, sicché, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi,
praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e,
quindi, quello per la continuazione (da ultimo, tra le altre, Sez. 2, n.
18317 del 22/04/2016, Plaia, Rv. 266695).

6. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
Segue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

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11/05/2016, Bella, Rv. 267154; Sez. 2, n. 37385 del 21/06/2016, Arena Rv.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 08/02/2017

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