Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21291 del 03/10/2017


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21291 Anno 2018
Presidente: NOVIK ADET TONI
Relatore: MANCUSO LUIGI FABRIZIO

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
DE LUCIA LUIGI nato il 20/09/1985 a NAPOLI
LOMBARDI VINCENZO nato il 11/09/1979 a NAPOLI

avverso la sentenza del 29/09/2015 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI FABRIZIO MANCUSO
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY
che ha concluso per
Il P.G. conclude per l’inammissibilità dei ricorsi.

Udito il difensore

Data Udienza: 03/10/2017

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 19 maggio 2014, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Napoli, in esito a giudizio abbreviato,
dichiarava De Lucia Luigi e Lombardi Vincenzo colpevoli dei reati di
detenzione e porto di armi comuni da sparo commessi in Secondigliano il
14 aprile 2011, aggravati ai sensi dell’art. 7 decreto legge 13 maggio 1991,

Ritenuta la recidiva e il concorso formale, il Giudice condannava De Lucia
Luigi alla pena di cinque anni, quattro mesi di reclusione e 1.600,00 euro
di multa; condannava Lombardi Vincenzo, previa concessione
dell’attenuante prevista dall’art. 8 del citato testo normativo, alla pena di
tre anni, quattro mesi di reclusione e 1.200,00 euro di multa.

2.

Su gravami degli imputati, la predetta decisione veniva

parzialmente riformata dalla Corte di appello di Napoli con sentenza del 29
settembre 2015, che escludeva per entrambi l’aggravante di cui all’art. 7
decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla
legge 12 luglio 1991, n. 203, concedeva solo a Lombardi Vincenzo le
circostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata
recidiva, rideterminando le sanzioni penali per De Lucia Luigi in tre anni,
otto mesi e 1.200,00 euro di multa; per Lombardi Vincenzo in due anni,
quattro mesi di reclusione e 1.000,00 euro di multa.

2. Avverso la citata di appello hanno proposto ricorsi per cassazione
i difensori di entrambi gli imputati.

3. L’atto di ricorso proposto nell’interesse di Lombardi Vincenzo è
articolato in due motivi.
3.1. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea
applicazione degli artt. 62-bis, 81, 132, 133 cod. pen., 8 decreto legge 13
maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio
1991, n. 203. La negazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7
decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla
legge 12 luglio 1991, n. 203, non comporta automaticamente l’esclusione
dell’attenuante di cui all’art. 8 del predetto testo normativo. Nel caso in
esame, l’Autorità giudiziaria ha potuto accertare grazie al contributo di
Lombardi Vincenzo che la vicenda oggetto di giudizio, pur coinvolgendo

2

n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203.

persone affiliate a

clan camorristici, non riguardava strettamente la

perpetrazione di reati tipici delle predette organizzazioni. Lombardi
Vincenzo, infatti, ha riferito che le due pistole calibro 38 detenute e portate
in luogo pubblico non dovevano essere utilizzate nella faida in corso fra il
clan di Di Lauro e quello della Vinella Grassi, ma per una questione d’onore.
3.2. Con il secondo motivo si deduce mancanza, arbitrarietà e
manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del

disapplicato l’attenuante di cui al citato art. 8.

4. L’atto di ricorso proposto nell’interesse di De Lucia Luigi è
articolato in due motivi.
4.1. Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 129 cod. proc.
pen. L’imputato aveva rinunciato ai motivi di merito ma ciò non esonerava
il giudice di appello dal decidere sui motivi in base ai quali potevano
pronunciarsi formule assolutorie ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.
4.2. Con il secondo motivo si deduce mancanza della motivazione e
violazione degli artt. 62-bis e 133 cod. pen. Il giudice di appello ha solo
affermato che la sanzione irrogata dal giudice di primo grado doveva
essere rideterminata, ma non ha indicato i criteri che ha seguito nel
determinarla.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I motivi proposti nell’interesse di Lombardi Vincenzo vanno trattati
congiuntamente e risultano manifestamente infondati, quindi
inammissibili.
1.1. Ai fini dell’applicabilità della speciale attenuante prevista dall’art.
8 D.L. 13 maggio 1991 n. 152, convertito nella legge 12 luglio 1991 n. 203,
per coloro che si dissociano dalle organizzazioni di tipo mafioso,
adoperandosi per evitare che l’attività delittuosa sia portata ad ulteriori
conseguenze, non è necessaria la formale contestazione della circostanza
aggravante di cui all’articolo 7 della stessa legge, ma è sufficiente che di
questa ricorrano i presupposti, anche se non contestati, vale a dire che il
reato sia stato commesso in presenza dei presupposti della norma

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provvedimento impugnato. Il giudice di appello non ha motivato perché ha

avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416-bis cod. pen. ovvero
al fine di agevolare l’attività di un’associazione di tipo mafioso.
1.2. Nel caso in esame, il giudice di appello ha escluso la sussistenza
dei presupposti per la suddetta aggravante, quindi ha correttamente
escluso anche l’attenuante in argomento.

2. Con riguardo al primo motivo del ricorso proposto nell’interesse

legittimità, è inammissibile per genericità del motivo il ricorso per
cassazione che, prospettando la violazione dell’obbligo di immediata
declaratoria di una causa di non punibilità, non indica elementi concreti in
forza dei quali il giudice d’appello avrebbe dovuto adottare la pronuncia
liberatoria dopo che l’imputato aveva rinunciato ai motivi di appello sul
tema della responsabilità (Sez. 3, n. 19442 del 19/03/2014 – dep.
12/05/2014, Ferrante, Rv. 259418; Sez. 7, n. 46280 del 12/11/2009 – dep.
02/12/2009, Liemonte, Rv. 245495).
Nel caso ora in esame, il ricorrente è incorso nel predetto vizio, con
la conseguente inammissibilità del motivo, perché si è limitato a lamentare
genericamente il mancato proscioglimento ai sensi dell’art. 129 cod. proc.
pen., ma non ha indicato alcun elemento preciso in base al quale il giudice
di appello avrebbe dovuto pronunciarsi nel senso invocato.

3. Il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del De Lucia,
riguardante la motivazione in ordine alla commisurazione della pena, è
manifestamente infondato, perché il giudice di appello, con motivazione
sufficiente e non illogica, nel determinare la pena ha richiamato gli artt.
132 e 133 cod. pen.

4. In conclusione, i ricorsi devono essere dichiarati inammissibili. Ai
sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., i ricorrenti devono essere condannati al
pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma
di euro 2.000,00 alla Cassa delle ammende, non essendo dato escludere alla stregua del principio di diritto affermato dalla Corte costituzionale nella
sentenza n. 186 del 2000 – la sussistenza dell’ipotesi della colpa nella
proposizione dell’impugnazione.

4

di De Lucia Luigi, deve ricordarsi che, secondo la giurisprudenza di

P. Q. M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento
delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 2000
in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 3 ottobre 2017.

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