Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21286 del 05/04/2018


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Penale Ord. Sez. 4 Num. 21286 Anno 2018
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
PITTALA’ FRANCESCO nato il 13/06/1995 a PRATO

avverso la sentenza del 28/06/2017 del GIP TRIBUNALE di PRATO
sentita la relazione svolta dal Consigliere GIUSEPPE PAVICH;
lette le conclusioni del PG Pasquale Fimiani, che ha concluso per il rigetto del
ricorso,

Data Udienza: 05/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Francesco Pittalà, tramite il suo difensore di fiducia, ricorre avverso la
sentenza di applicazione di pena ex art. 444 cod.proc.pen. emessa nei suoi
confronti dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Prato per il reato
p. e p. dall’art. 589-bis cod.pen., commesso in Prato il 28 agosto 2016.
Per l’esattezza, giova evidenziare che la condotta alla guida del Pittalà che
cagionò la morte della persona offesa Piero Bigagli, investito in prossimità di un

decesso del Bigagli, a causa degli esiti del traumatismo conseguenti al sinistro
stradale, intervenne appunto il 28 agosto dello stesso anno.

2. Con l’unico motivo di doglianza, l’esponente lamenta violazione di legge in
riferimento al fatto che il reato ascrittogli

ex art. 589-bis cod.pen. é stato

introdotto nel nostro codice penale in epoca successiva alla condotta contestata;
all’epoca in cui questa fu posta in essere era in vigore una disposizione penale
assai più mite; secondo l’esponente, quindi, é illegittima, per violazione degli artt.
25 Cost., 7 Convenzione E.D.U. e 2 cod.pen., l’applicazione alla fattispecie
dell’ipotesi di reato di cui al citato art. 589-bis, introdotta dopo il sinistro ma prima
del decesso del Bigagli dalla legge n. 41/2016: di tal che la norma applicata nella
specie é sicuramente meno favorevole di quella vigente all’epoca della condotta,
e la sua applicazione viola il principio di prevedibilità delle conseguenze penali della
condotta, affermato dalla Corte Costituzionale. Osserva l’esponente che, in base
al criterio adottato nella decisione impugnata, se il Bigagli fosse morto sul colpo
anziché dopo alcuni mesi dal sinistro, il reato sarebbe stato punito con una pena
sensibilmente meno grave.

3.

Con requisitoria scritta, il Procuratore generale presso la Corte di

Cassazione ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Prima di affrontare direttamente il motivo di doglianza rassegnato con il
ricorso in esame, é necessario esaminare brevemente il profilo della ricorribilità
per cassazione della sentenza di patteggiamento per ragioni inerenti alla pena:
non già a quella stabilita in concreto attraverso il patto recepito dal giudice, ma a
quella prevista in astratto, ossia alla cornice edittale.
La lagnanza del ricorrente é, in sostanza, riassumibile nei termini seguenti:
può dirsi legale l’applicazione (sia pure frutto di un accordo tra le parti) di una

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attraversamento pedonale, fu posta in essere il 20 gennaio del 2016, mentre il

pena che, al momento della condotta, si sarebbe collocata all’interno di limiti
edittali più favorevoli rispetto a quelli presi a base del patteggiamento e ricavati
dallo ius superveniens (ossia alla nuova e più severa cornice edittale che, al
momento dell’evento, era entrata in vigore)?
La questione si pone soprattutto perché la pena concordata nel caso di specie
risulta comunque riconnpresa sia nei limiti edittali vigenti all’epoca della condotta,
sia in quelli in vigore al momento dell’evento; ma é chiaro che, ove la pattuizione
fosse avvenuta secondo la lex mitior vigente al momento della condotta, essa

maggior favore per l’odierno ricorrente.
Il Collegio ritiene di dover rispondere senz’altro in senso affermativo al quesito
di che trattasi.
E’ noto che, secondo un’impostazione tradizionale risalente ai primi anni di
operatività del codice di rito oggi vigente, si affermava che la sentenza che
recepisce l’intesa raggiunta dalle parti sul quantum della pena da applicarsi in
concreto é ricorribile per Cassazione, oltre che per errores in procedendo, per
mancato proscioglimento – ricorrendone le condizioni – ai sensi dell’art. 129 cod.
proc. pen. (Sez. F, n. 2692 del 14/09/1990, Lofti Ben T., Rv. 185716).
Progressivamente si ammise che il ricorso per cassazione avverso sentenza
di patteggiamento potesse essere presentato anche in relazione a pena illegale,
ma ciò essenzialmente con riferimento al caso in cui il risultato finale del calcolo
non risultasse conforme a legge (cfr. ad es. Sez. 6, n. 18385 del 19/02/2004,
Obiapuna, Rv. 228047; e, più di recente, Sez. F, n. 38566 del 26/08/2014, Yossef,
Rv. 261468).
Negli ultimi anni, tuttavia, la nozione di pena illegale (oggi espressamente
menzionata fra i casi in cui é ammesso il ricorso per cassazione avverso la
sentenza a pena patteggiata, in base all’art. 448, comma 2-bis, cod.proc.pen.,
introdotto dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103) ha subìto
un’evoluzione che ne ha esteso la portata, anche con riguardo all’ammissibilità del
ricorso per cassazione contro la sentenza di applicazione di pena ex art. 444
cod.proc.pen.. Soprattutto in seguito al mutamento del quadro edittale relativo ai
reati in materia di stupefacenti (determinato sia dalle conseguenze della sentenza
n. 32/2014 della Corte Costituzionale, sia dall’entrata in vigore del D.L. 20 marzo
2014, n. 36, conv. con mod. dalla legge 16 maggio 2014, n. 79), la Corte di
legittimità ha avuto modo di affermare, a più riprese e anche a Sezioni Unite, che
é affetta da illegalità sopravvenuta la pena applicata sul consenso delle parti in
base a parametri edittali successivamente modificati da una legge penale più
favorevole, o colpiti da declaratoria d’illegittimità costituzionale, anche quando la

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avrebbe potuto condurre alla determinazione di un trattamento sanzionatorio di

pena concretamente irrogata sia compresa entro i limiti edittali nella specie
applicabili.
Basti qui ricordare la sentenza a Sezioni Unite 3azouli, che, con riferimento a
un ricorso avverso sentenza di patteggiamento, ha affermato l’illegalità della pena
determinata attraverso un procedimento di commisurazione che si sia basato, per
le droghe cosiddette “leggere”, sui limiti edittali dell’art. 73 d.P.R. 309/1990 come
modificato dalla legge n. 49 del 2006, in vigore al momento del fatto, ma dichiarato
successivamente incostituzionale con sentenza n. 32 del 2014, anche nel caso in

dall’originaria formulazione del medesimo articolo, prima della novella del 2006,
rivissuto per effetto della stessa sentenza di incostituzionalità (Sez. U, n. 33040
del 26/02/2015, Jazouli, Rv. 264205 e 264206).
Analogamente la sentenza a Sezioni Unite Marcon ha affermato che la pena
applicata con la sentenza di patteggiamento avente ad oggetto uno o più delitti
previsti dall’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990 relativi alle droghe c.d. leggere,
divenuta irrevocabile prima della sentenza n. 32 del 2014 della Corte
costituzionale, deve essere rideterminata in sede di esecuzione in quanto pena
illegale, e ciò anche nel caso in cui la pena concretamente applicata sia compresa
entro i limiti edittali previsti dall’originaria formulazione del medesimo articolo,
prima della novella del 2006, rivissuto per effetto della stessa sentenza di
incostituzionalità. (Sez. U, n. 37107 del 26/02/2015, Marcon, Rv. 264857).
In altre pronunzie l’illegalità della pena patteggiata é stata affermata anche
per i reati commessi prima della data di entrata in vigore del D.L. 20 marzo 2014,
n. 36, conv. con mod. dalla legge 16 maggio 2014, n. 79, che ha ridotto i limiti
edittali della sanzione irrogabile per il fatto di lieve entità di cui all’art. 73, comma
quinto, del d.P.R. n. 309 del 1990, anche qualora la pena determinata in concreto
sia compresa all’interno della forbice edittale (cfr. Sez. 2, Sentenza n. 2702 del
18/11/2015, dep. 2016, Nuti, Rv. 265822; Sez. 4, n. 49531 del 21/11/2014,
Loconte, Rv. 261074).
Ne deriva una nozione di pena illegale che, lungi dal riferirsi esclusivamente
al trattamento sanzionatorio che si collochi al di fuori della misura determinata
dalla legge, é comprensiva anche dell’ipotesi in cui la pena applicata in concreto
rientra in tale misura, ma si fonda su parametri astratti che nel frattempo sono
stati modificati; e ciò pur quando il trattamento sanzionatorio sia frutto della
volontà delle parti formalizzata attraverso il patteggiamento.
Nel caso oggetto del presente giudizio, la pena era stata pattuita in misura
tale da rientrare sia all’interno dei limiti edittali in vigore al momento dell’evento
(ossia del decesso della persona offesa Bigagli Piero, intervenuto il 28 agosto
2016, quando era già in vigore l’art. 589-bis cod.pen., oggetto di imputazione e

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cui la pena concretamente inflitta sia compresa entro i limiti edittali previsti

introdotto con la legge n. 41/2016), sia all’interno dei limiti edittali più favorevoli
vigenti al momento della condotta (ossia il 20 gennaio 2016, quando l’imputato,
alla guida dell’autovettura di cui all’imputazione, cagionò per colpa l’incidente da
cui conseguì la morte del pedone).
Nondimeno, come da prospettazione del ricorrente, vi era stato

medio

tempore un mutamento in peius del trattamento sanzionatorio.
E’ ben vero, infatti, che gli estremi edittali della fattispecie contestata (art.
589-bis comma 1 cod.pen.) sono compresi fra due e sette anni di reclusione,

prima dell’entrata in vigore della citata legge n. 41/2016 con riferimento al delitto
di omicidio colposo commesso con violazione delle norme sulla circolazione
stradale.
Ma, mentre in quest’ultimo caso era configurabile una circostanza aggravante
del delitto di omicidio colposo di cui al primo comma dell’art. 589 cod.pen.
(circostanza aggravante che, si badi, era soggetta a giudizio di bilanciamento,
atteso che il previgente testo dell’art. 590-ter cod.pen. qualificava come
aggravante rinforzata, sottratta come tale alla comparazione di cui all’art. 69
cod.pen., solo quella di cui al terzo comma dell’art. 589), nel caso di cui all’art.
589-bis, comma primo, cod.pen. deve parlarsi di ipotesi autonoma di reato (cfr.
sul punto Sez. 4, n. 29721 del 01/03/2017, Venni, Rv. 270918). Ciò del resto trova
rispondenza, nel caso di specie, come si ricava dai passaggi attraverso i quali si è
giunti alla determinazione della pena patteggiata: il computo delle circostanze
attenuanti generiche ha infatti determinato una diminuzione di un terzo rispetto
alla pena minima edittale (passata da due anni e un anno e quattro mesi di
reclusione), laddove, qualora le suddette attenuanti ex art. 62-bis cod.pen. fossero
state applicate al previgente art. 589, comma 2, cod.pen., per effetto del giudizio
di comparazione la pena minima applicabile sarebbe stata quella dell’ipotesi-base
di cui al primo comma dello stesso articolo, ossia sei mesi di reclusione in caso di
giudizio di equivalenza, che sarebbero potuti scendere a quattro mesi nel caso di
giudizio di prevalenza delle attenuanti generiche.
Di qui, fra l’altro, é agevole desumere l’interesse del ricorrente sotteso
all’impugnazione.
Ritiene pertanto il Collegio che, sotto l’indicato profilo, il ricorso de quo superi
il vaglio di ammissibilità, in quanto riferibile a una particolare ipotesi di pena
(asseritamente) illegale, che nella specie sarebbe divenuta tale per effetto del
mutamento della forbice edittale riferita allo stesso fatto, intervenuto fra il
momento della condotta e il momento dell’evento.

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esattamente come quelli stabiliti dall’art. 589, comma 2, cod.pen. nel testo vigente

I

2. Fatta questa ampia premessa, può affrontarsi la questione proposta dal
ricorrente: la quale attiene, per l’appunto, all’individuazione della legge penale
applicabile nei casi in cui, tra la condotta e l’evento, intercorra un arco temporale
durante il quale entri in vigore una norma penale che sanziona il medesimo reato
in termini più sfavorevoli all’imputato rispetto alla norma previgente.

3.

Nel fornire risposta al quesito di che trattasi, riferito al rapporto

intercorrente tra

tempus commissi delicti

e trattamento sanzionatorio, la

ovvero di consumazione, del reato; secondo l’indirizzo prevalente, per i reati di
evento tale momento coincide con quello in cui l’evento si verifica, anche laddove
ciò avvenga a distanza di tempo dal momento della condotta.
A tale indirizzo, come evidenziato dal Procuratore generale nella requisitoria
scritta, aderisce la giurisprudenza di legittimità ivi menzionata (Sez. 4, Sentenza
n. 22379 del 17/04/2015, Sandrucci e altri, n.m.), secondo cui, per il trattamento
sanzionatorio, deve comunque aversi riguardo a quello vigente al momento della
consumazione del reato, cioé al momento dell’evento lesivo. In breve sintesi, tale
orientamento riafferma il principio in base al quale, ai fini dell’applicazione della
disciplina di cui all’art. 2, cod.pen., il tempus commissi delicti va collocato al
momento della consumazione del reato; e nella specie, trattandosi di reato a forma
libera, tale momento coincide con il verificarsi dell’evento tipico.
La richiamata sentenza Sandrucci, giova qui ricordare, riguardava imputazioni
per omicidio colposo formulate nei confronti di due direttori di uno stabilimento
per la produzione di lampadine e tubi fluorescenti – i quali avevano ricoperto il loro
incarico in un arco temporale compreso fra il 1972 e il 1984 – in relazione a decessi
di dipendenti intervenuti tra il 2005 e il 2009 per rnesotelioma pleurico o per
adenocarcinoma polmonare (patologie lungo-latenti riferibili all’esposizione ad
amianto).
Nel caso in esame la condotta ascritta agli imputati si collocava per intero “a
monte” del duplice innalzamento dei limiti edittali della pena previsti per il reato
di cui all’art. 589 cod.pen., sui quali il legislatore era intervenuto in epoca
successiva a tale condotta, ossia dapprima con la L. 21 febbraio 2006, n. 102 (che
aveva innalzato da cinque a sei anni il limite superiore previsto dal secondo comma
in materia di infortuni sul lavoro), poi con il D.Lgs. 23 maggio 2008, n. 92,
convertito con modificazioni dalla L. 24 luglio 2008 n. 125, che aveva innalzato di
un anno il minimo edittale, portandolo a 2, e di un ulteriore anno il massimo
edittale, portandolo a 7 anni, per il reato di cui all’art. 589 c.p., comma 2.
Nell’affrontare la questione del trattamento sanzionatorio applicabile, con
particolare riguardo alla questione di legittimità costituzionale in allora sollevata

giurisprudenza si richiama alla legge penale in vigore al momento di commissione,

dai ricorrenti (avuto riguardo ai parametri costituiti dagli artt. 3 e 27, comma 3,
Cost.), la citata sentenza Sandrucci così si esprime testualmente: «(…) la pena
applicata non risulta illegale perché é comunque ricom presa nei limiti edittali
previsti dalla norma, da ritenere applicabile comunque osservato la correttezza
della decisione del giudice di merito che ha ritenuto manifestamente infondata la
questione di costituzionalità, evidenziando che per il trattamento sanzionatorio
doveva comunque aversi riguardo a quello vigente al momento della
consumazione del reato: cioé al momento dell’evento lesivo».

assorbente che questo fa riferimento al tempo in cui é stato commesso il reato e
cioé a quello in cui si é consumato. É cioé rispetto al momento della consumazione
del reato che potrebbe porsi una questione di applicazione di una normativa in
ipotesi più favorevole che sia sopravvenuta».
«Quindi é al momento della consumazione che bisogna avere riguardo alla
normativa applicabile e rispetto a tale momento può in ipotesi porsi una questione
di applicazione di normativa sopravvenuta. Ciò che qui deve escludersi, con
conseguente manifesta infondatezza in fatto della questione di costituzionalità».
Nella stessa sentenza Sandrucci vengono poi evocati alcuni precedenti
giurisprudenziali che si collocherebbero nel solco dei principi in essa affermati: il
riferimento é a Sez. 1, n. 20334 del 11/05/2006, Caffo, Rv. 234284 (in tema di
applicabilità della modifica apportata all’art. 9 dalla legge 31 luglio 2005 n. 155,
che ha trasformato la contravvenzione in delitto con riguardo alla violazione del
divieto di frequentare soggetti pregiudicati connessa alla misura di prevenzione
della sorveglianza speciale, di cui all’art. 9 legge n. 1423/1956) e ad alcune
pronunzie in materia di atti persecutori, con riferimento a condotte in tutto o in
parte commesse prima dell’entrata in vigore dell’art. 612-bis cod.pen., introduttivo
della nuova fattispecie sanzionatoria.
In realtà, va per l’esattezza osservato che i casi richiamati dalla sentenza
Sandrucci (riferibili a reati abituali, o comunque caratterizzati da condotte
protratte nel tempo) si riferiscono, nella quasi totalità, ad azioni poste in essere almeno in minima parte – “a cavallo” fra le due diverse discipline del trattamento
sanzionatorio. Solo il riferimento a Sez. 5^, 19/05/2011, L. riguarda un’ipotesi di
atti persecutori consumatasi nella vigenza della norma incriminatrice, in cui la
condotta materiale di minaccia e/o di molestia era stata posta in essere per intero
prima dell’entrata in vigore della nuova norma incriminatrice.

4. Nel solco dello stesso orientamento interpretativo si pone altresì Sez. 5, n.
19008 del 13/03/2014, Calamita e altri, Rv. 260003. Secondo detta pronunzia, in
tema di successione di leggi penali nel tempo, il concorrente che abbia realizzato

7

«Non vi é quindi ragione di evocare l’art. 2 c.p., comma 4, per il rilievo

un contributo causale interamente esauritosi prima della introduzione di una nuova
norma incriminatrice o meramente sanzionatoria é soggetto alla disciplina
sopravvenuta, anche se più sfavorevole, quando il reato é pervenuto a
consumazione dopo l’entrata in vigore di quest’ultima. Nella fattispecie la Corte
aveva ritenuto corretta l’applicazione della circostanza aggravante di cui all’art. 7
D.L. 13 maggio 1991, n. 152, conv. in legge 12 luglio 1991, n. 203, in relazione
ai reati di importazione e conseguente detenzione di armi da guerra, nei confronti
di un imputato che aveva intrapreso trattative con il venditore prima della

suo arresto e dopo l’entrata in vigore della nuova norma per effetto dell’apporto
di altri concorrenti.
Nella parte in diritto della sentenza in esame si legge:

«(…) quando una

condotta (concorsuale, nel caso di specie) inizia sotto il vigore di una norma
incriminatrice o meramente sanzionatoria, ma si conclude sotto il vigore di una
nuova norma della medesima specie, non può essere dubbio che debba trovare
applicazione la seconda norma, anche se le conseguenze in tema di pena possano
essere più severe. In tal caso non si ha alcuna violazione dell’art. 2 c.p., comma
4 perché, evidentemente, il tempus commissi delicti é quello in cui si perfeziona
la condotta o si verifica l’evento. E se la condotta si é protratta nel tempo (anche
eventualmente ad opera di più soggetti concorrenti) é il momento conclusivo
quello che rileva».
«Ciò é stato esplicitamente sostenuto per i delitti associativi (cfr., ad es., ASN
201040203-RV 248461), ma il principio deve trovare applicazione anche per i reati
non permanenti, quando l’azione abbia avuto durata apprezzabile e si sia,
comunque, conclusa (e dunque il reato abbia avuto consumazione) sotto la
vigenza della nuova legge (…)».
Qui la particolarità sta in ciò, che il reato permanente, o comunque
caratterizzato da condotte protratte nel tempo, viene commesso almeno in parte
(da alcuni fra i concorrenti) sotto il vigore della nuova e più severa previsione
sanzionatoria; ma quest’ultima, oltre a doversi applicare ai compartecipi che
pongano in essere condotte criminose anche nella vigenza di essa, trova
applicazione – secondo la sentenza in esame – anche nei riguardi di colui il quale
abbia fornito il proprio apporto concorsuale al reato limitatamente a condotte
esauritesi, per intero, sotto il vigore del previgente e più favorevole quadro
legislativo.

5. L’approccio ermeneutico fin qui illustrato presenta tuttavia, ad avviso del
Collegio, notevoli controindicazioni con riferimento a fattispecie del tipo di quella
che forma oggetto del presente giudizio.

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introduzione dell’aggravante, e la condotta illecita si era però perfezionata dopo il

Invero, a ben vedere, una rigorosa adesione al ragionamento posto a base
delle richiamate pronunzie (cui del resto si é uniformato il rappresentante della
Procura generale nella sua requisitoria scritta) implicherebbe che, anche in
presenza di una condotta – nella specie istantanea, anziché “di durata” – posta in
essere (oltretutto per colpa) sotto il vigore di una disciplina legislativa più
favorevole in punto di trattamento sanzionatorio, trovi applicazione la legge penale
in vigore al momento dell’evento, intervenuto a distanza di tempo, pur quando
essa preveda per il reato de quo conseguenze sanzionatorie più severe rispetto a

Non va sottaciuto che un pur risalente indirizzo giurisprudenziale di legittimità
era pervenuto a soluzioni opposte, che si ritiene di dover oggi condividere e
riproporre, quanto meno in relazione a fattispecie come quella in esame.
Ci si riferisce in particolare a Sez. 4, n. 8448 del 05/10/1972, Bartesaghi, Rv.
122686, secondo la quale, nel caso di successione di leggi penali che regolano la
stessa materia, la legge da applicare e quella vigente al momento dell’esecuzione
dell’attività del reo e non già quella del momento in cui si é verificato l’evento che
determina la consumazione del reato.
Dal canto suo, sempre in tema d’individuazione del tempus commissi delicti,
la dottrina prevalente sembra aderire a quest’ultima opzione interpretativa (che
per comodità viene comunemente definita “criterio della condotta”) in
contrapposizione a quella precedentemente illustrata (denominata “criterio
dell’evento”). In generale si afferma che, applicando il criterio dell’evento, il
soggetto non sarebbe in grado di adeguare la propria condotta alle mutate
prescrizioni di legge. La legge successiva verrebbe così applicata retroattivamente
a fatti commessi in un tempo in cui non era conoscibile.
Sempre secondo la dottrina, sono peraltro previste diverse declinazioni dei
suddetti criteri.
Ad esempio, nei reati omissivi propri, si ha riguardo al momento della
scadenza del termine utile per ottemperare all’obbligo la cui violazione é
penalmente sanzionata; nei reati a forma vincolata istantanei, e nel delitto tentato,
il momento del commesso reato coincide con il momento di realizzazione completa
della fattispecie; nei reati di durata (in specie nei reati permanenti ed in quelli
necessariamente ed eventualmente abituali) parte della dottrina ritiene rilevante
il momento in cui la condotta ha termine e la legge applicabile é la legge (anche
più sfavorevole) in vigenza della quale la condotta cessa o si protrae; altri Autori
censurano tale impostazione, perché confonderebbe fra consumazione e
realizzazione del reato: nel caso di reato permanente la consumazione avviene
quando la permanenza cessa, la realizzazione sussiste quando la permanenza ha

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quelle precedentemente vigenti.

inizio; con l’inizio della permanenza il reato deve ritenersi commesso ed é a questo
istante che occorre riferirsi per stabilire quale sia la legge applicabile.
Nei reati causalmente orientati (o a forma libera) di tipo doloso, la dottrina
ritiene che il momento rilevante coincida con l’ultimo momento sorretto da dolo,
mentre nei reati colposi esso coinciderebbe con il primo atto contrario ai doveri di
attenzione; oppure, secondo altra dottrina, con il momento in cui il colpevole
realizza l’ultimo fra gli elementi della condotta, che ricade sotto i suoi poteri di
controllo.

criterio in base al quale il tempus commissi delicti deve essere agganciato alla
consumazione del reato (a sua volta corrispondente alla verificazione dell’evento
tipico) si appalesa «pericolosamente fuorviante, giacché conduce ad adottare
un’interpretazione dell’art. 2 c.p. contraria al sistema di garanzie delineato dalla
Costituzione e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo».

Evocando una

serie di principi costituzionali e sovranazionali e richiamando la nota sentenza della
Corte Costituzionale n. 364/1988, lo stesso Autore evidenzia che

«l’esigenza

sottesa al principio di irretroattività della norma sfavorevole è quella di tutelare le
libere scelte dei consociati, e in definitiva la loro libertà di autodeterminazione,
rendendo prevedibili le conseguenze giuridico-penali delle condotte: evitando cioè
che taluno possa essere punito, o punito più severamente, in relazione a
fatti che, al momento in cui furono commessi, o non costituivano reato,
oppure, pur costituendo reato, erano soggetti ad un trattamento sanzionatorio più
mite».

6. A fronte di un così composito quadro interpretativo, il Collegio ritiene di
dover aderire, come già anticipato, al criterio della condotta, quanto meno con
riferimento alle fattispecie come quella in esame (che é inquadrabile tra i reati
colposi a forma libera).
Appaiono opportune, sul punto, alcune considerazioni.
Sono sicuramente suggestive e meritevoli di riflessione le considerazioni del
ricorrente nel sottolineare che, a fronte di un incidente stradale avvenuto nel
vigore del più favorevole quadro normativo

quoad poenam,

il trattamento

sanzionatorio che ne é seguito é dipeso in modo decisivo dal momento del decesso
della vittima: se il pedone fosse morto sul colpo, la legge penale applicabile
sarebbe stata quella ante I. n. 41/2016, contenente (come si é visto) previsioni
più miti; poiché invece la persona offesa é deceduta dopo che la legge n. 41/2016
é entrata in vigore, ragionando sulla base del cd. criterio dell’evento dovrebbe
applicarsi quest’ultima, benché più severa in punto di pena. E questo sebbene non
fosse prevedibile, per il soggetto attivo, che il trattamento sanzionatorio a suo

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Altro Autore, commentando la citata sentenza Sandrucci, evidenzia che il

carico sarebbe stato sensibilmente peggiore in dipendenza della permanenza in
vita della vittima per alcuni mesi dopo il sinistro.
E’ di tutta evidenza che tale epilogo stride con il principio nullum crimen, nulla
poena sine (praevia) lege poenali, e con l’assunto, condivisibilmente sostenuto
dalla richiamata dottrina, in base al quale il principio di irretroattività della legge
penale meno favorevole si pone a garanzia del soggetto attivo, nella
considerazione che egli non dev’essere chiamato a soggiacere non solo a previsioni
incriminatrici non vigenti al momento del fatto, ma neppure a previsioni

poteva non solo conoscere, ma neppure prevedere che lo ius superveniens potesse
comportare, per il reato da lui commesso, conseguenze più gravi di quelle in vigore
nel momento in cui egli si determinò a commettere il reato.
Nella specie, poi, la conseguenza dell’adozione del criterio dell’evento é ancor
più paradossale, poiché il soggetto attivo non aveva neppure agito con dolo, ma
con colpa: di tal che esulava dalla sua sfera di volizione quell’evento, le cui
conseguenze gli verrebbero poste a carico secondo la più grave previsione
sanzionatoria vigente al momento del verificarsi dell’evento medesimo.
Per questo non é condivisibile l’assunto secondo il quale, per stabilire la
previsione sanzionatoria applicabile, occorre sempre e comunque avere riguardo
al momento di consumazione del reato, anche quando – come nella specie – si
tratti di reato (colposo) di evento a forma libera e l’evento (nella specie, la morte
della vittima) si sia verificato a distanza di tempo dalla condotta, quando nel
frattempo era entrata in vigore una più severa cornice edittale per lo stesso fatto.
I casi giurisprudenziali che si sono citati

supra

e che aderiscono,

sostanzialmente, al c.d. criterio dell’evento si riferiscono, pervero, a fattispecie
alquanto diverse da quella in esame, tutte riconducibili a reati “di durata” (abituali
o permanenti), alcune delle quali a ben vedere neppure sembrano potersi
rapportare a detto criterio: infatti, laddove anche solo una parte della condotta
riferibile al reato abituale o permanente sia stata posta in essere sotto il vigore
della nuova legge penale meno favorevole, é di tutta evidenza che si versa in
un’ipotesi pienamente riconducibile ai principi generali in materia di successione
di leggi penali nel tempo, perché la condotta (riferita a reato non istantaneo) si
protrae oltre il momento in cui la previsione sanzionatoria diviene più grave.
A parte ciò, la frizione fra il principio costituzionale di legalità penale e la
previsione di un trattamento sanzionatorio più grave di quello vigente all’epoca
della condotta, quando quest’ultima si esaurisca invece per intero sotto il vigore
della lex mitior, appare comunque nettamente percepibile.

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sanzionatorie che dopo il fatto sono divenute più gravi: ciò in quanto egli non

A fondamento del principio di legalità stanno, per l’appunto, la conoscibilità e
la prevedibilità in concreto sia del precetto penale che della relativa sanzione
(“nullum crimen, nulla poena”).
A proposito della prevedibilità in concreto, infatti, essa costituisce com’é noto
un criterio-guida per assicurare la tenuta costituzionale di una serie di istituti che,
sotto il profilo della legalità penale, sono stati considerati “problematici” o “di
confine”: si pensi, solo per fare qualche esempio, al concorso anomalo (cfr. Sez.
5, n. 34036 del 18/06/2013, Malgeri e altri, Rv. 257251), al delitto di morte o

del 22/01/2009, Ronci, Rv. 243381), ai delitti aggravati dall’evento (cfr. Sez. 5,
n. 18490 del 14/11/2012 – dep. 2013, Acerbis, Rv. 256239) e così via.
Se però si sposta il tema della (necessaria) prevedibilità dall’evento alla
sanzione, é di tutta evidenza che le considerazioni che sorreggono il criterio della
prevedibilità in concreto non soccorrono più, atteso che non può certo evocarsi, e
porsi a carico del soggetto attivo, l’onere di prevedere che medio tempore (dopo
il compimento della condotta e prima del verificarsi dell’evento) il legislatore
decida di colpire il reato con maggiore gravità. Diversamente opinando, la minaccia
penale verrebbe deprivata della sua funzione di influenza dell’autodeterminazione
dei consociati (funzione rivolta necessariamente alle azioni presenti e future,
giammai a quelle passate); al tempo stesso, si abdicherebbe a un’essenziale ratio
garantistica che ispira e contraddistingue l’intero sistema penale, sotto il profilo
dell’individuazione non solo del precetto, ma anche della sanzione da applicarsi
ratione temporis.
Sotto il profilo dell’uniformità e della coerenza logica dell’ordinamento, va
chiarito che i principi stabiliti dall’art. 2 cod.pen. rispondono a logiche e a finalità
diverse rispetto ad altri istituti che chiamano in causa la commissione del reato:
ad esempio, non possono evocarsi ai fini che qui interessano le previsioni in tema
di decorrenza del termine di prescrizione (art. 158 cod.pen.), atteso che esse non
coinvolgono la prevedibilità delle conseguenze penali della condotta (del resto,
quando ciò accade, anche l’istituto della prescrizione, di diritto sostanziale,
soggiace alle previsioni di cui all’art. 2 cod.pen.: cfr. ex multis Sez. 3, n. 3385 del
17/11/2016 – dep. 2017, A, Rv. 268805; Sez. 6, n. 31877 del 16/05/2017, B, Rv.
270629; Sez. 3, n. 47902 del 18/07/2017, Abrate, Rv. 271446); differenti sono
anche le finalità della disciplina del /ocus commissi delicti di cui all’art. 6 cod.pen.
e della disciplina della competenza per territorio di cui all’art. 8 cod.proc.pen.: con
l’avvertenza, però, che in tali ambiti acquista rilievo anche la condotta in sé
considerata; e che anzi il secondo comma dell’art. 8 cod.proc.pen. stabilisce che,
se si tratta di fatto dal quale é derivata la morte di una o più persone, é competente
il giudice del luogo in cui é avvenuta l’azione o l’omissione.
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lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 cod.pen.: cfr. Sez. U, n. 22676

7. Si ritiene da ultimo opportuno evidenziare, in adesione ai rilievi critici della
migliore dottrina, che l’adozione del c.d. criterio dell’evento – quanto meno, lo si
ripete, in fattispecie del tipo di quella oggetto del presente giudizio – si pone in
contrasto con una serie di principi fondamentali dell’ordinamento.
Ci si riferisce in primo luogo al principio di uguaglianza (art. 3 Cost.), attesa
l’ingiustificata disparità di trattamento che ne deriva tra soggetti autori di una
medesima condotta nello stesso momento, sol perché l’evento del reato si verifica

In secondo luogo, al principio di legalità di cui all’art. 25, comma 2, Cost.,
riferito pacificamente non solo alla necessaria conoscibilità del precetto, ma anche
alla conoscibilità e prevedibilità della sanzione penale prevista per la relativa
violazione (nullum crimen, nulla poena sine praevia lege poenali). Sotto tale
profilo, non appaia improprio il richiamo ai principi affermati nella ben nota
sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, laddove vi si afferma
che l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità,
scusa l’autore dell’illecito: un riflesso, questo, della necessaria conoscibilità ex ante
delle prescrizioni penali, che non può non estendersi anche alla prevedibilità delle
conseguenze sanzionatorie della violazione del precetto. Si condivide a tal
proposito l’opinione dottrinaria secondo la quale, attraverso il percorso tracciato
dalla Consulta nella citata sentenza, il principio di legalità di cui all’art. 25, comma
2, Cost. si salda con il principio di colpevolezza ex art. 27 co. 1 Cost..
In terzo luogo, al principio di adesione dell’ordinamento ai vincoli derivanti
dagli obblighi internazionali (art. 117, comma 1, Cost.), con particolare riguardo
ai principi, enunciati dall’art. 7 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo e ribaditi a
più riprese dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, di “accessibilità” della
norma penale per il destinatario (sia sotto il profilo del precetto, sia sotto il profilo
della sanzione) e di “prevedibilità” delle conseguenze della sua condotta in caso di
trasgressione di precetti penali.

8. A fronte, peraltro, del sopra delineato contrasto (quanto meno potenziale)
di orientamenti giurisprudenziali, si ravvisano le condizioni per devolvere la
questione alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 618, comma 1, cod.proc.pen., il cui
intervento chiarificatore si impone, nel sistema processuale, quale corollario della
funzione nornofilattica di cui la Corte di legittimità é depositaria soprattutto nella
sua più autorevole composizione, nel perseguimento della tendenziale uniformità
della giurisprudenza.
Nella specie, il dictum del Consesso apicale potrà fornire indicazione, in
relazione agli aspetti come sopra evidenziati, circa la soluzione da dare alla

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in tempi diversi per ragioni a loro non riferibili.

seguente questione: “se, a fronte di una condotta interamente posta in essere
sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella
vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione il
trattamento sanzionatorio vigente al momento della condotta, ovvero quello
vigente al momento dell’evento”.

P.Q.M.

Così deciso in Roma il 5 aprile 2018.

Il Consigliere estensore
(Giu

e lavich)

Il Presidente
(Giao o Fumu)

Loti

Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.

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