Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21270 del 23/01/2018


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 21270 Anno 2018
Presidente: ANDREAZZA GASTONE
Relatore: LIBERATI GIOVANNI

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Linnonta Dario, nato a Vimercate il 20/7/1959
avverso la sentenza del 31/1/2017 della Corte d’appello di Milano
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Giovanni Liberati;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale
Gianluigi Pratola, che ha concluso chiedendo di dichiarare inammissibile il
ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 31 gennaio 2017 la Corte d’appello di Milano ha respinto
l’impugnazione dell’imputato, confermando così la sentenza del 1 aprile 2014 del
Tribunale di Milano, con cui Dario Limonta era stato condannato alla pena,
condizionalmente sospesa, di mesi otto di reclusione, in relazione al reato di cui
all’art. 10 ter d.lgs. 74/2000 (ascrittogli per avere, quale amministratore unico
della S.p.a. Centroedile, omesso di versare l’imposta sul valore aggiunto dovuta
in base alla dichiarazione annuale 2010, pari a euro 3.089.710).

2. Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,
affidato a quattro motivi.

Data Udienza: 23/01/2018

2.1. Con un primo motivo ha denunciato l’erronea applicazione dell’art. 10
ter d.lgs. 74/2000, in quanto la Corte d’appello aveva indebitamente e
impropriamente applicato principi interpretativi stabiliti dalla giurisprudenza di
legittimità, in particolare con la sentenza n. 38722 del 2016, affermati in
relazione alla diversa ipotesi delittuosa di cui all’art. 10 bis d.lgs. 74/2000, non
applicabili al delitto contestatogli, trattandosi di fattispecie non omogenee,
essendo diversa la condotta tipica dei due delitti e diverso l’elemento soggettivo,
costituito dal dolo eventuale nel reato di cui all’art. 10 ter e dal dolo diretto in

vicenda in esame di principi affermati in relazione a fattispecie diverse, con la
conseguente necessità di annullare la sentenza impugnata per nuovo esame
riguardo all’elemento soggettivo del reato.
2.2. Mediante un secondo motivo ha denunciato ulteriore violazione dell’art.
10 ter d.lgs. 74/2000, in relazione alla esclusione della rilevanza della oggettiva
impossibilità di adempiere alla obbligazione tributaria, non essendo necessario
dimostrare l’esistenza di una causa di forza maggiore, ma sufficiente allegare e
documentare circostanze che evidenzino la non volontarietà della omissione.
In particolare sarebbe sufficiente a escludere il dolo della condotta, la
dimostrazione di una situazione di insolvenza; della sua insorgenza in un
momento anteriore o, quantomeno, concomitante con la scadenza del debito
tributario; della involontarietà della verificazione di tale situazione; del rispetto
da parte dell’imprenditore delle regole sui pagamenti nel corso della crisi
d’impresa.
2.3. Con un terzo motivo ha prospettato ulteriore violazione dell’art. 10 ter
d.lgs. 74/2000, in riferimento alla affermazione della Corte d’appello secondo cui
sarebbe configurabile la responsabilità per gli omessi versamenti quando
l’attività di impresa sia stata proseguita nonostante una situazione di tensione
finanziaria, non ancora tradottasi in uno stato di insolvenza, giacché tale
ricostruzione della fattispecie addebiterebbe all’imprenditore un evento futuro
non voluto, conseguenza di una condotta posta in essere quando lo stesso non
era preveduto né prevedibile.
2.4. Mediante un quarto motivo ha denunciato vizio della motivazione per il
travisamento di una prova decisiva, costituita dalle dichiarazioni del consulente
della difesa, Dott. De March„in ordinzeela imprevedibilità della crisi verificatasi
awfoc…

nel mercato immobiliare,

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Corte d’appello guevte=ese145~=kl

je~flitabi, mentre il suddetto consulente aveva affermato che la stessa era
stata improvvisa e imprevista in quanto le analisi di mercato e gli indici di settore
facevano intravedere una ripresa del mercato immobiliare alla fine dell’anno
2010.

2

quello di cui all’art. 10 bis. Ciò determinava l’erroneità della trasposizione alla

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso, peraltro in larga parte riproduttivo dei motivi d’appello,

adeguatamente considerati dalla Corte territoriale e disattesi con motivazione
idonea, non è fondato.

2. Giova premettere che la Corte d’appello di Milano, dopo aver richiamato i
principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di mancato
versamento di imposte o ritenute fiscali operate dal datore di lavoro, ha escluso

la configurabilità di uno stato di forza maggiore idoneo a scriminare l’omissione
dell’imputato, evidenziando che questi, pur a fronte di difficoltà emerse si(..dall’anno 2008, di contrazione del fatturato e dei pagamenti da parte dei clienti
nell’anno seguente, aveva proseguito l’attività d’impresa nel 2010, nella
consapevolezza della esistenza di condizioni di mercato e di finanza tali da non
consentire il regolare assolvimento del debito d’imposta, non solo alla sua
scadenza fisiologica, ma anche in quella dilatata, corrispondente, per le imposte
sul valore aggiunto relative all’anno 2010, al dicembre 2011.
La Corte territoriale ha quindi ricavato la volontarietà dell’omissione
contestata all’imputato dalla prosecuzione della attività di impresa, nonostante
l’aggravarsi progressivo, tra l’anno 2010 e l’anno 2011, della crisi della società e
del mercato edile in cui essa operava, attestato dalla consulenza tecnica prodotta
dall’imputato medesimo, e la conseguente indisponibilità di risorse finanziarie da
destinare all’assolvimento degli obblighi tributari, affermando che la scelta di
proseguire nell’attività d’impresa, nonostante tali condizioni (provvedendo ad
assolvere nel contempo obbligazioni più indispensabili, nella prospettiva della
prosecuzione dell’attività produttiva, di quelle tributarie, quali quelle verso i
fornitori e i dipendenti, onorate in parte), rendeva volontaria e dolosa la
determinazione di non provvedere al versamento alla scadenza dell’imposta sul
valore aggiunto.
Sono state, poi, escluse l’imprevedibilità di tale crisi e anche la dimostrazione
del ricorso a risorse personali, dell’amministratore o dei soci, per farvi fronte, ed
è stata affermata l’irrilevanza, sia sul piano della impossibilità di provvedere
all’adempimento dell’obbligazione tributaria, sia sul piano della involontarietà
della condotta, dei mancati pagamenti da parte di clienti della società,
trattandosi di eventi rientranti nel rischio d’impresa, e avendo, comunque, la
società fatto ricorso al credito attraverso lo sconto di fatture, che avrebbe quindi
consentito il pagamento delle imposte da versare.

3

1–ii

3. A fronte di tali considerazioni, conformi alla consolidata giurisprudenza di
questa Corte e pienamente logiche, i motivi di ricorso risultano privi di
fondamento.
3.1. Non sussiste, anzitutto, la violazione dell’art. 10

ter d.lgs. 74/2000

denunciata con il primo motivo, per l’indebita applicazione dei principi stabiliti in
materia di omesso versamento di ritenute certificate anche all’omesso
versamento dell’imposta sul valore aggiunto.
La Corte d’appello non ha, infatti, operato alcuna indebita assimilazione tra

come reati omissivi propri (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 6220 del 23/01/2018,
Ventura, Rv. 272069), ma ha richiamato la consolidata elaborazione
interpretativa di questa Corte, circa i presupposti per poter ravvisare una
situazione di difficoltà idonea a consentire di ravvisare uno stato di forza
maggiore o a escludere l’elemento soggettivo del reato.
Va al riguardo ricordato il consolidato orientamento interpretativo di questa
Corte in proposito, secondo cui, al fine della dimostrazione della assoluta
impossibilità di provvedere ai pagamenti omessi, occorre l’allegazione e la prova
della non addebitabilità all’imputato della crisi economica che ha investito
l’impresa e della impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità che ne sia
conseguita tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto (cfr. Sez. 3,
n. 20266 del 08/04/2014, Zanchi, Rv. 259190; Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014,
Schirosi, Rv. 263128; Sez. 3, n. 43599 del 09/09/2015, Mondini, Rv. 265262).
Per escludere la volontarietà della condotta è, dunque, necessaria la
dimostrazione della riconducibilità dell’inadempimento alla obbligazione verso
l’Erario a fatti non imputabili all’imprenditore, che non abbia potuto
tempestivamente porvi rimedio per cause indipendenti dalla sua volontà e che
sfuggono al suo dominio finalistico (Sez. 3, n. 8352 del 24/06/2014, Schirosi,
Rv. 263128; conf. Sez. 3, n. 15416 del 08/01/2014, Tonti Sauro; Sez. 3, n.
5467 del 05/12/2013, Mercutello, Rv. 258055; Sez. 3, 9 ottobre 2013, n.
5905/2014).
Si tratta di principi, che il Collegio condivide, applicabili sia all’omesso
versamento di ritenute certificate sia all’omesso versamento dell’imposta sul
valore aggiunto, in quanto attengono ai requisiti per poter ravvisare uno stato di
forza maggiore idoneo a scrinninare la condotta o a consentire di escludere la
sussistenza dell’elemento soggettivo, cioè la volontarietà della medesima
condotta, cosicché non vi è stata alcuna indebita assimilazione di fattispecie
dissimili, né impropria applicazione di principi ermeneutici, non essendovi
ragione per una indagine meno rigorosa circa la volontarietà della condotta nelle
ipotesi di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto.

4

tali fattispecie, peraltro entrambe caratterizzate dal dolo generico e strutturate

3.2. Considerazioni in parte analoghe possono essere svolte riguardo al
secondo motivo, mediante il quale il ricorrente ha prospettato ulteriore violazione
dell’art. 10

ter

d.lgs. 74/2000, per l’erroneità della affermazione della

insussistenza di uno stato di forza maggiore, in quanto lo stato di difficoltà
finanziaria, nella specie addirittura di insolvenza, determinerebbe l’inesigibilità
della condotta dovuta e sarebbe quindi idoneo a escludere l’elemento soggettivo
del reato.
La Corte d’appello, oltre ad escludere la configurabilità di uno stato di forza

crisi finanziaria dell’impresa amministrata dall’imputato sulla sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato, disattendendola motivatamente,
sottolineando la volontarietà della prosecuzione dell’attività d’impresa (con la
conseguente assunzione delle obbligazioni verso l’Erario), il pagamento di altre
obbligazioni e il ricorso al credito attraverso lo sconto di fatture, da cui è stata
ricavata in modo pienamente logico la volontarietà della condotta: l’assunzione
della obbligazione di pagamento dell’imposta sul valore aggiunto, conseguente
alla prosecuzione della attività d’impresa, e il suo inadempimento, sono, infatti,
derivati da scelte pienamente consapevoli dell’imputato, in relazione alle quali
egli aveva possibilità alternative (sia quanto alla prosecuzione della attività,
potendo proporre la messa in liquidazione della società o ricorrere a procedure
concorsuali o di esdebitazione; sia quanto alla scelta delle obbligazioni da
soddisfare), cosicché correttamente ne è stata ravvisata la volontarietà.
3.3. Anche il terzo motivo, mediante il quale è stata ulteriormente lamentata
la violazione dell’art. 10

ter d.lgs. 74/2000, è infondato per le medesime

considerazioni, non essendo stata affermata la responsabilità dell’imputato per
un evento futuro e imprevedibile, in relazione al quale egli non possedeva alcuna
possibilità di dominio finalistico, ma, come evidenziato, per la prosecuzione della
attività d’impresa nella consapevolezza delle difficoltà finanziarie della società e
del suo mercato di riferimento, per l’adempimento di altre obbligazioni a
preferenza di quelle verso l’amministrazione finanziaria, per il ricorso al credito
mediante lo sconto di fatture; la piena consapevolezza della condotta e la sua
volontarietà sono state, dunque, tratte a seguito di una ricostruzione della
vicenda secondo cui l’imprenditore, nell’alternativa tra proseguire l’attività
d’impresa o cessarla o promuovere procedure concorsuali, e tra assolvere i debiti
tributari o quelli verso altri soggetti, si è deliberatamente e consapevolmente
determinato per la prosecuzione dell’attività e l’omissione del versamento delle
imposte, con la conseguente corretta affermazione della sussistenza
dell’elemento soggettivo del reato contestato, in considerazione della libera
determinazione dell’imputato alla realizzazione della condotta contestagli.

5

maggiore, ha esaminato la prospettazione difensiva, riguardo alla incidenza della

3.4. Infine anche il quarto motivo, mediante il quale è stato prospettato il
travisamento di quanto dichiarato dal consulente tecnico dell’imputato, circa
l’imprevedibilità della crisi che investì il settore immobiliare nel 2010, è
infondato, in quanto mediante tale doglianza il ricorrente censura un
accertamento di fatto compiuto concordemente dai giudici di merito, circa la
prevedibilità sin dal 2008 della evoluzione negativa della situazione finanziaria
della società amministrata dall’imputato; non è stata, dunque, prospettata
l’esistenza di una palese e non controvertibile difformità tra i risultati

merito ne abbia inopinatamente tratto, giacché la Corte d’appello ha evidenziato
come sin dall’anno 2008 si fossero manifestate difficoltà, conseguenti alla
contrazione del fatturato e nei pagamenti nell’anno successivo, cosicché non si è
in presenza di un dato probatorio travisato, ma della censura di un accertamento
di fatto e delle conseguenze che ne sono state tratte in modo logico, non
censurabili nel giudizio di legittimità.

4. In conclusione il ricorso in esame deve essere rigettato, a cagione della
infondatezza di tutte le censure cui è stato affidato.
Consegue la condanna al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 23/1/2018

obiettivamente derivanti dall’assunzione della prova e quelli che il giudice di

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