Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21219 del 04/04/2018
Penale Ord. Sez. 7 Num. 21219 Anno 2018
Presidente: CIAMPI FRANCESCO MARIA
Relatore: PICARDI FRANCESCA
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
HACHIMI HAKIM nato il 15/05/1972
avverso la sentenza del 19/07/2017 del GIP TRIBUNALE di BERGAMO
dato avviso alle parti;
sentita la relazione svolta dal Consigliere FRANCESCA PICARDI;
Data Udienza: 04/04/2018
MOTIVI DELLA DECISIONE
Hachimi Hakim ricorre per cassazione avverso la sentenza di cui in epigrafe recante applicazione della
pena ai sensi dell’art.444 c.p.p. in ordine al delitto di cui all’art. 73, commi 1 e 4, del d.P.R. n. 309 del 1990,
prospettando la mancanza di motivazione in ordine all’assenza delle cause di non punibilità ai sensi dell’art. 129
c.p.p.
L’impugnazione, soggetta alla disciplina vigente
ratione temporis,
in ragione del momento della
presentazione della richiesta di applicazione della pena, é manifestamente infondata. Questa Corte ha
ripetutamente affermato il principio che l’obbligo di motivazione della sentenza non può non essere conformato
alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica, tra l’altro, che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una
delle ipotesi di cui al richiamato art.129 c.p.p. deve essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel
caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di
cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione consistente nella
enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le
condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art.129 (S.U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; S.U. 27 dicembre
1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per
ciò che riguarda gli altri tratti significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione
giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della pena e la
sua sospensione, la costante giurisprudenza da questa Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni Unite, ha
affermato che la motivazione ben può essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché il risulti che il giudice
abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare una siffatta motivazione
censurandola come insufficiente e sollecitandone una più analitica, dal momento che la volontà del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita rinuncia ad avvalersi della
facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa Corte ha più volte avuto modo di affermare, che
l’imputato non può prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal medesimo
accettato.
Nel caso di specie il giudice dà conto che, alla luce degli atti, la pena è correttamente determinata e che
non vi sono le condizioni per una diversa e più favorevole pronunzia.
Il ricorso é quindi inammissibile.
Segue a norma dell’art.616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento
ed al versamento in favore della cassa delle ammende, della somma di C 2.000,00 a titolo di sanzione
pecuniaria, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento della somma di C 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 4 aprile 2018
Il Consigliere estensore
Il Presidente
necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di