Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21216 del 10/02/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21216 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FORTUNATO LEONARDO N. IL 05/06/1947
avverso l’ordinanza n. 268/2014 CORTE APPELLO di BARI, del
09/01/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MO ICA BO
letteritele conclusioni del PG Dott.
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Udit i difens • Avv.;

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Data Udienza: 10/02/2016

Ritenuto in fatto

1.Con ordinanza in data 9 gennaio 2015 la Corte di appello di Bari, pronunciando
quale giudice dell’esecuzione, accoglieva l’opposizione proposta dal Procuratore
Generale presso la stessa Corte e, riformando la precedente ordinanza emessa in data
13 ottobre 2014, revocava nei confronti di Leonardo Fortunato l’indulto, applicato sulla
pena inflittagli con sentenza del 29 settembre 2008 dalla Corte di Appello di Bari, in
quanto egli aveva riportato condanna a pena detentiva superiore a due anni per delitto
non colposo, commesso nel quinquennio successivo all’entrata in vigore della legge

2. Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso l’interessato a mezzo del
difensore, il quale ha dedotto l’erronea interpretazione ed applicazione delle norme
processuali per avere la Corte di appello violato il divieto di procedere ad un secondo
giudizio sulla medesima domanda, principio valevole anche

nel procedimento di

esecuzione. Inoltre, non ha tenuto conto che, secondo orientamento giurisprudenziale,
l’erronea applicazione dell’indulto in presenza di una causa di revoca non consente di
formulare una successiva istanza del p.m. intesa a far valere la medesima ragione di
revoca; invero, pur essendo sempre revocabile nella fase esecutiva il provvedimento
applicativo dell’indulto, la decisione del giudice dell’esecuzione assume carattere di
definitività e può essere modificata soltanto in presenza di elementi nuovi o
sopravvenuti.
3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione,
dr. Oscar Cedrangolo, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso perché
manifestamente infondato.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivo privo di qualsiasi
fondamento perché frutto di un fraintendimento del provvedimento contestato.
1.L’ordinanza impugnata ha revocato l’indulto concesso al Fortunato in relazione
alla pena detentiva, inflittagli con sentenza della Corte di appello di Bari del 29/9/2008,
per avere condiviso le ragioni esposte dal Procuratore Generale nell’atto di opposizione,
con il quale aveva contestato la correttezza della decisione, assunta dalla medesima
Corte con il precedente provvedimento del 13/10/2014, che aveva dichiarato non luogo
a provvedere sulla sua istanza di revoca, ritenendo che dopo la sua proposizione con
una nota integrativa fosse stata espressa dichiarazione di rinuncia da parte del
richiedente. Ha quindi riscontrato la sussistenza dei presupposti per accogliere la
domanda, atteso che il Fortunato nel quinquennio dall’entrata in vigore della legge nr.
241 del 2006 aveva commesso delitto non colposo, per il quale aveva riportato
condanna alla pena di anni cinque e mesi sei di reclusione ed euro 7.000,00 di multa,
giusta sentenza della Corte di appello di Bari del 14/6/2013, irrevocabile il 1’8/7/2014.
1

introduttiva dell’indulto.

1.1 Dall’esposizione dei fatti che precede discende che il giudice dell’esecuzione
non è intervenuto a modificare un provvedimento irrevocabile in violazione del principio
di intangibilità del giudicato, nel presente caso rappresentato dall’ordinanza applicativa
dell’indulto, in quanto ha provveduto in accoglimento dell’opposizione ritualmente
proposta ai sensi degli artt. 672 cod. proc. pen., comma 1, e 667 cod. proc. pen.,
comma 4, avverso la decisione reiettiva dell’istanza di revoca, non ancora divenuta
irrevocabile. Non è dunque pertinente il principio di diritto richiamato dal ricorrente, dal
momento che il condono era stato applicato in sede esecutiva con ordinanza del
5/5/2010, ossia in un momento storico in cui non era ancora intervenuto
l’accertamento definitivo della sua responsabilità per i reati commessi dal 2005 al

dall’art. 1 della legge nr. 241/2006.
Per le considerazioni svolte il ricorso è inammissibile e la relativa declaratoria
comporta la condanna del proponente al pagamento delle spese processuali e, in
relazione ai profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, anche al
versamento in favore della Cassa delle Ammende di una somma, determinata in euro
1.000,00.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2016.

novembre 2009 e quindi non era stata ancora integrata la condizione risolutiva prevista

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