Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21202 del 02/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21202 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BARONE FRANCESCO N. IL 13/05/1992
avverso l’ordinanza n. 396/2015 TRIB. LIBERTA’ di REGGIO
CALABRIA, del 27/05/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. U iro j’p t ,,,,51.09- o
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Data Udienza: 02/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 27.5.15 ( depositata 1’8.7.15 ) il Tribunale
del riesame di Reggio Calabria, confermava l’ordinanza in data 13.4.15
del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Reggio Calabria,
che aveva applicato a Barone Francesco la misura della custodia
cautelare in carcere in ordine al delitto – a lui contestato sub a)

fatto contro un ascendente, dai motivi abbietti ( essendosi voluto punire
la vittima, Bellocco Francesca, per aver avuto una relazione
extraconiugale con Cacciola Domenico ), dall’abuso di relazioni
domestiche, dal metodo mafioso e dal fine di agevolazione dell’attività
della cosca Bellocco, nonché in ordine ai delitti di detenzione e di porto in
luogo pubblico di arma – al suddetto contestati sub b) dell’imputazione
provvisoria – aggravati sempre ai sensi dell’art.7 L.203/91 e dal nesso
teleologico con l’omicidio, tutti commessi in Rosarno il 18 agosto 2013.
Detta autorità giudiziaria, dopo avere escluso in via preliminare la nullità
dell’ordinanza impugnata denunciata dalla difesa per violazione del
principio del “ne bis in idem”, di cui si dirà infra, passava alla valutazione
del copioso materiale indiziario versato in atti, inferendo dallo stesso, in
piena sintonia col GIP di Reggio Calabria, il coinvolgimento dell’indagato
nelle vicende criminose sopra indicate.
Invero, il 18 agosto 2013 scomparivano contemporaneamente dal
comune di Rosarno Bellocco Francesca, sposata con Barone Salvatore,
sorvegliato speciale di p.s., e figlia di Bellocco Pietro Giuseppe, fratello
maggiore di Bellocco Gregorio, elemento apicale dell’omonima cosca
rosarnese, e Cacciola Domenico. Quest’ultimo risiedeva stabilmente a
Rosarno, mentre la Bellocco, formalmente residente a Padenghe sul
Garda, all’epoca dei fatti era in Rosarno presso l’abitazione di famiglia,
per trascorrervi con i figli le vacanze estive. La scomparsa delle suddette
persone destava interesse investigativo non solo per l’appartenenza di
entrambe a famiglie malavitose, ma soprattutto perché la sparizione della
Bellocco veniva denunciata solo in data 21.8.13 presso il Comando
Stazione Carabinieri di Manerba del Garda, al ritorno dei Barone da
Rosarno, mentre quella del Cacciola non era mai denunciata.
In detta denuncia Barone Francesco riferiva : – che il 18 agosto 2013,
dopo una serata passata con gli amici del posto tra cui un cugino, era
rincasato verso le ore 1.30 trovando la madre da sola; – che la madre

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(22,

dell’imputazione provvisoria – di omicidio aggravato dall’aver commesso il

dopo un po’ si era sentita male e aveva deciso di contattare
telefonicamente il padre, specificando il Barone di essere stato presente a
detta telefonata, avvenuta intorno alle 2,00 – 2,30, nel corso della quale
la madre aveva detto al marito in dialetto “ho sbagliato”, interrompendo
poi la chiamata; – che subito dopo il padre aveva iniziato a telefonare
sull’utenza della madre e, siccome la madre non gli rispondeva, il
denunciante aveva deciso di rispondergli, riferendo al congiunto che la

sentita meglio la prima, l’indomani il Barone si sarebbe svegliato verso le
ore 8,00, accorgendosi che la madre non era più in casa e andando a
cercarla dalla sorella del padre e dal nonno paterno, senza però trovarla;
– che rinveniva nella loro abitazione il cellulare in uso alla madre spento ;
– che, sentendo poi il padre sul suo cellulare, nulla gli aveva riferito della
scomparsa della madre per timore che potesse recarsi a Rosarno,
violando, così, gli obblighi della sorveglianza speciale; – che aveva deciso
di partire per Padenghe sul Garda alle 12,00 di quello stesso giorno; che, pertanto, quella sera stessa, dopo essere arrivato dal padre alle
21,00, era ripartito alle 23,00, giungendo a Rosarno il 19 agosto alle ore
13,00. Il denunciante specificava di avere informato la sorella maggiore
Angela sulla scomparsa della madre, la mattina del 18, recandosi a San
Ferdinando, dove la prima aveva affittato una casa, nella quale peraltro
stava dormendo anche la sorella piccola.
Nelle s.i.t. rese da Barone Salvatore, marito della Bellocco, lo stesso
dichiarava : – di avere ricevuto una telefonata verso le ore 2.00 del 18
agosto 2013 dall’utenza in uso alla moglie che gli aveva detto “ho
sbagliato”, interrompendo, poi, la conversazione; – di avere subito
richiamato Francesca, che non gli rispondeva, e successivamente il figlio
Francesco, che lo aveva rassicurato dicendo che tutto andava bene, ma
che la mamma era stata male, percependo in sottofondo la voce della
moglie che diceva “non è vero, non è vero”; – che il mattino seguente
aveva chiamato Francesca sulla sua utenza, ma il telefono continuava ad
essere spento; – che, pertanto, aveva contattato il figlio, che lo aveva
rassicurato sulla buona salute della madre, dicendogli che stava recandosi
da lui; – che però, insospettito del fatto che non potesse parlare con la
moglie, aveva contattato l’altra figlia Angela che gli aveva riferito di non
sapere alcunché, trovandosi a San Ferdinando; – che il figlio, giunto a
Padenghe alle ore 21,00 del 18 agosto, lo aveva informato della
sparizione della madre, ritornando subito dopo a Rosarno dalle sorelle,

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madre non stava bene; – che, andati madre e figlio a dormire, essendosi

per poi rientrare tutti a Padenghe; – che, successivamente, aveva avuto
contatti col maresciallo di Manerba, che lo aveva invitato a dire al figlio di
andare in caserma a denunciare la scomparsa della madre.
Dalle escussioni di Barone Angela, sorella di Francesco, e del marito,
Gallo Vincenzo, si evince che la prima veniva informata della sparizione
della madre la mattina del 18 agosto 2013 dal fratello. Angela descriveva
anche la casa abitata dalla madre e dal fratello a Rosarno, specificando

nel soppalco mentre il fratello nella camera da letto di sotto.
Risentiti i familiari della Bellocco Francesca, nel corso dell’attività
investigativa, Bellocco Salvatore ribadiva quanto riferito sui contatti
telefonici con moglie e figlio nelle prime ore del 18 agosto, aggiungendo
che neanche nelle ore successive era riuscito a parlare con la moglie, e
precisava che da casa non erano mancati, all’atto della scomparsa della
consorte, gli effetti personali della stessa né il denaro di cui la medesima
disponeva, circostanza, che anche Barone Francesco confermava, in uno
con quanto già riferito alla PG, precisando, però, di aver fatto ritorno a
casa verso l’una di notte del 18 agosto. Dalle sommarie informazioni
testimoniali rese da Barone Angela e Gallo Vincenzo in data 21.11.13
emerge che il loro nucleo familiare e la sorella si erano trasferiti, subito
dopo le notizie ricevute dall’odierno indagato, dalla nonna paterna in
Rosarno per due giorni consecutivi. Barone Antonella, sorella minore
dell’indagato, escussa nella stessa data, oltre a ribadire la circostanza di
cui in ultimo, riferiva di aver visto la mattina del 18 agosto il fratello
Francesco molto agitato e strano negli atteggiamenti, mentre era intento
a parlare con Angela, e quest’ultima piangere.
Sottolinea il collegio a quo come la ricostruzione del fatto offerta da
Barone Francesco appaia contraddittoria, inverosimile e confutata da
elementi probatori di segno opposto. In particolare il suddetto dice di
essere rientrato in casa all’una circa del 18 agosto 2013, mentre dai
tabulati emerge che la sua utenza alle ore 1.11 di quel giorno era ancora
localizzata dalla BTS di Via Mala Pezza di San Ferdinando, mentre solo
alle ore 2.19 veniva localizzata dalla BTS di Via Margherita 27, angolo via
Umberto I di Rosarno.
Il Tribunale del riesame, ricalca, oltre a detto dato, due ulteriori elementi
per lo stesso di assoluta rilevanza investigativa: da un lato l’incoerenza
dell’affermazione pronunciata dalla donna all’indirizzo del marito – “ho
sbagliato” – rispetto al malessere di cui riferisce il figlio, e, dall’altro

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che si trattava di un bilocale soppalcato e che la madre era solita dormire

l’impossessamento del telefono da parte di quest’ultimo, dopo
l’interruzione telefonica tra moglie e marito. Diversamente, la prima
avrebbe risposto al marito, al quale solo pochi minuti prima aveva detto
di avere sbagliato, e senza dubbio non avrebbe detto in sottofondo, per
farlo sentire al marito, “non è vero, non è vero”, smentendo il figlio ed
evidenziando nel contempo al coniuge che Francesco le stava impedendo
di interloquire con lui. Sottolinea, quindi, il collegio a quo come il

col padre per non consentire alla donna di parlare con lo stesso.
Il Tribunale del riesame spiega la sparizione della donna il 18 agosto
2013 come l’epilogo della relazione extraconiugale tra Bellocco Francesca
e Cacciola Domenico. Relazione, risultata essere un fatto notorio
confermato agli investigatori dai collaboratori Multari Giuseppina (nuora
di Cacciola Domenico, la quale riferisce che la relazione tra il suocero e
Bellocco Francesca fosse nota a tutta la famiglia e che la suocera ne era
consapevole tanto da sfogarsi talvolta con lei) e – de relato – Facchinetti,
Furuli e Pisani ( quest’ultimo, in particolare, riferendo di aver appreso
dalla zia, per averlo la stessa saputo dalla sorella della vittima, che
l’omicidio della Bellocco era stato motivato dalla necessità di “lavare
l’onore” delle famiglie Cacciola e Bellocco, che era stato offeso dalla
relazione sentimentale tra Bellocco Francesca e Cacciola Domenico, ed
inoltre che questi ultimi erano stati sorpresi dal figlio e in seguito a ciò le
due famiglie avevano deciso l’uccisione di entrambi), oltre che dalle
risultanze della captazione di alcuni dialoghi tra Giuseppina Cannata,
precedente amante del Cacciola, e terze persone, in cui la prima parla del
rapporto extraconiugale del suo ex amante. Relazione, di cui in un primo
momento sia il marito che il figlio della Bellocco negano la conoscenza;
finendo, però, Barone Francesco con l’ammettere nelle sit del 21.11.13
che il padre la ritenesse “verosimile”.
Sempre il Tribunale evidenzia come i tabulati telefonici acquisiti dagli
investigatori documentino i numerosissimi contatti telefonici tra i due e
come in tale contesto relazionale si innesti verosimilmente un loro
incontro la notte a cavallo tra il 17 ed il 18 agosto 2013, dopo un contatto
telefonico avuto alle ore 1.05, successivamente al quale i due non
avrebbero avuto più contatti, a riprova del fatto che si fossero visti. La
stessa moglie di Cacciola Domenico, sentita in data 27.11.13, dichiarava
che proprio la notte suddetta verso le ore 00.30-1.00 il marito si era
assentato da casa per un’oretta senza che la donna gli avesse chiesto

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malessere della madre sia stato un mero pretesto utilizzato dal Barone

dove andasse (a riprova della consapevolezza di quest’ultima della
relazione extraconiugale del marito). E, secondo l’ordinanza impugnata,
che un incontro vi sia stato e sia stato poi interrotto dall’arrivo di Barone
Francesco trova conforto, oltre che nella disamina dei tabulati e nel fatto
che l’orario di rientro del Barone documentato dagli stessi – tra le ore
1.11 e le ore 2.19 – sia compatibile con l’orario dell’incontro, nella frase
pronunciata dalla Bellocco all’indirizzo del marito, alle ore 2.29 di quel

comportamento quantomeno irrispettoso della donna nei confronti di
quest’ultimo, e nella circostanza che la prima, successivamente, non
riuscisse più a comunicare telefonicamente con l’uomo, perché privata del
cellulare, essendo in grado solo di manifestare la propria sostanziale
impotenza dinanzi al comportamento prevaricatore del figlio con
l’espressione, pronunciata in sottofondo mentre questi parlava con il
padre, “non è vero, non è vero”. Senza contare i continui tentativi
telefonici di contattare l’utenza della Bellocco da parte del Cacciola dalle
ore 2.42 in poi, verosimilmente per sincerarsi delle sue condizioni dopo
averla lasciata nelle mani del figlio, che li aveva sorpresi insieme.
Sempre il Riesame ritiene del tutto inverosimile, per come strutturata la
casa dei Barone a Rosarno ( di cui offre una descrizione dettagliata
Barone Angela), che Barone Francesco non avesse sentito, nel silenzio
della notte, la madre scendere dal soppalco, aprire la porta di casa e
chiuderla, pur essendo la camera del suddetto posizionata al piano terra e
pur risultando essere rimasto lo stesso sveglio fino alle ore 6.00, come
documentato dai tabulati telefonici relativi alla sua utenza, in contrasto
con quanto il medesimo voglia far credere agli inquirenti ( di essersi
addormentato poco dopo l’ultimo colloquio telefonico col padre ).
Sottolinea, altresì, l’ordinanza impugnata come del tutto anomalo sia il
comportamento tenuto dal Barone Francesco nella mattinata del 18
agosto 2013. Invero, perfettamente consapevole della presenza del
cellulare della madre, rinvenuto spento all’interno dell’abitazione, non
informava alcuno dei parenti ( che continuavano a cercare di mettersi in
contatto con la Bellocco ), ed anziché mettersi alla ricerca della madre o
attendere in Rosarno il rientro della stessa partiva repentinamente alla
volta di Padenghe sul Garda, evidentemente consapevole della sorte della
congiunta. Di cui, senza dubbio, veniva messa al corrente la sorella
Angela (invero, come testimoniato dalla sorella Antonella, Francesco
quella mattina appariva molto agitato nel parlare con Angela e

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giorno (“ho sbagliato”), che fa pensare ad un rimorso per un

quest’ultima scoppiava a piangere), che non a caso lasciava la propria
casa a San Ferdinando e si trasferiva presso la nonna paterna in Rosarno
per due giorni consecutivi ( il marito riferisce che sarebbero rimasti per
due giorni con gli stessi vestiti ) fino alla partenza di tutti per Padenghe,
allontanando immediatamente ed opportunamente il nucleo familiare da
possibili ritorsioni provenienti anche da Cacciola, ancora in vita durante la
mattinata del 18 agosto ( come dimostrano i suoi tentativi di contattare

impugnata, che nell’immediatezza dei fatti non venissero avvisate le forze
dell’ordine ( né vale la giustificazione offerta dall’imputato di aver sperato
nel rientro della madre, atteso che, se così fosse stato, i familiari
sarebbero rimasti a Rosarno e non si sarebbero allontanati alla volta di
Padenghe ), notiziate solo tre giorni dopo la scomparsa ( anche su
sollecito delle stesse, come riferito da Barone Salvatore ).
Peraltro, sempre il Riesame evidenzia come il coinvolgimento del Barone
nella scomparsa della madre, la consapevolezza del reale svolgimento dei
fatti in capo alla sorella Angela e la natura del movente sotteso alla
soppressione fisica dei due amanti, definiti “due morti che camminano” vale a dire la relazione extraconiugale intercorsa tra i due – emergano in
maniera inequivoca dal contenuto delle conversazioni intercorse tra l’altra
sorella dell’indagato, Barone Rita, e la compagna Viviani Sara, la quale
ultima in detti colloqui tratteggia anche la personalità criminale di Barone
Francesco, descritto come colui che aveva “ereditato il sangue dei
Bellocco”, e sollecita la compagna a riflettere sulle incongruenze colte nei
comportamenti dei familiari della scomparsa, evidentemente riconducibili
alla consapevolezza da parte loro della sorte della stessa. Barone Rita,
come ricalcato dal Riesame, nel corso di un colloquio oggetto di
captazione telefonica da parte degli inquirenti, introduce due ulteriori
particolari di sicuro spessore indiziario, ossia che era stata fermata dal
padre quando aveva manifestato l’intenzione di recarsi immediatamente
in Rosarno a cercare la mamma e che quando i familiari tutti erano giunti
al Nord i fratelli Francesco ed Angela ed il padre si erano chiusi in cantina,
impedendole di raggiungerli; particolari, che senza dubbio, per il collegio
a quo, costituiscono riprova della consapevolezza dei tre sul reale
svolgimento dei fatti.
Su questo già significativo quadro indiziario si innestano, secondo il
Tribunale del riesame, corroborandolo, le dichiarazioni del testimone
oculare Gallo Giuseppe. Questi, invero, con una registrazione datata

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telefonicamente la Bellocco ). E senz’altro illogico é, per l’ordinanza

15.1.14 effettuata a sua insaputa ( volendo lo stesso rimanere
nell’anonimato nel riferire i fatti cui aveva assistito quale vicino dei
Barone-Bellocco ) e poi, in conformità, con la verbalizzazione del 14
marzo 2015 ( cui era allegata la trascrizione della precedente denuncia il
cui contenuto era dal suddetto integralmente confermato ), riferiva,
secondo l’ordinanza impugnata, in modo chiaro, preciso ed immune da
qualsivoglia aporia logica e cronologica quanto di sua diretta percezione,

Gallo dichiara di avere visto alle ore 7.15 del 18 agosto 2013 giungere,
collocandosi in una posizione adiacente alla Panda in uso a Bellocco
Francesca, una Fiat Uno Grigia, da cui discendeva un primo soggetto con
il passamontagna, che citofonava a casa Barone, poi un secondo con una
pistola semiautomatica ed infine un terzo ( nelle dichiarazioni di marzo
non ricorda se il terzo scese dalla macchina o rimase a bordo della Fiat
Uno in attesa dei complici ); afferma, inoltre, di avere udito la voce della
Bellocco – che riconosceva con certezza, conoscendola da molti anni profferire la parola “Perdunatemi”; aggiunge, altresì, di aver notato che la
Panda era fatta rientrare all’interno del garage dei Barone per poi uscire,
condotta da Francesco Barone, accompagnato da uno dei tre della Fiat
Uno, che nel frattempo si era tolto il passamontagna, e che riconosceva,
con indicazione solo prossima alla certezza, nel cugino della Bellocco,
Giuseppe Bellocco cl.87; specifica che i due partivano con la predetta
Panda, seguita dalla Uno con gli altri due correi a bordo; aggiunge di aver
visto, poi, rientrare Barone Francesco con la Panda, che provvedeva a
collocare nella posizione originaria e pregressa rispetto ai fatti in
questione, e poco dopo un’ulteriore Fiat Punto condotta da un uomo con il
viso scoperto; dichiara, infine, di avere notato ad alcuni giorni di distanza
dalla mattina del 18 agosto la presenza della figlia della Bellocco (Angela)
e di altri familiari (le sorelle Giuseppina e Patrizia) intenti a ripulire
l’abitazione della parente.
Il collegio a quo argomenta l’attendibilità del testimone oculare
summenzionato dalla sua estraneità completa alle vicende per cui è
causa, dalla collocazione topografica dei luoghi (che rende assolutamente
plausibile l’osservazione diretta, attesa la vicinanza della casa del Gallo a
quella dei Barone ), dalla sua conoscenza dell’identità dei componenti
delle famiglie Bellocco e Barone ( avendo provveduto a riconoscerne molti
a mezzo di individuazione fotografica ), dalla precisione con cui lo stesso
discerne quanto da lui osservato con certezza da dettagli di cui non è

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verificatosi tra le ore 7.15 e le ore 7.20 del 18.8.13. In particolare il

sicuro ( come l’identificazione dell’accompagnatore del Barone nel
Bellocco Giuseppe c1.87 ), dalla genesi della stessa denuncia ( essendosi il
Gallo determinato a rivolgersi agli inquirenti solo dopo mesi dai fatti e
volendo il medesimo inizialmente mantenere l’anonimato ) riconducibile
al difficile contesto territoriale di appartenenza ( caratterizzato dall’alta
densità mafiosa e dal consequenziale clima omertoso ) e dal riscontro
offerto dalle intercettazioni delle conversazioni del medesimo con i propri

appreso della necessità dell’inserimento dell’intero suo nucleo familiare
nel programma di protezione, che avrebbe sconvolto definitivamente la
quotidianità familiare, le quali escluderebbero senz’altro la mitomania del
propalante ovvero i suoi intenti lucrativi ed opportunistici. Concludendo,
l’ordinanza impugnata, nel senso di negare che le discrasie lamentate
dalla difesa del Barone tra le dichiarazioni rese nei due momenti del
15.1.14 e del 14.3.15 possano incidere sull’attendibilità del testimone,
apparendo la versione dei fatti univoca quanto al nucleo centrale del
racconto ed eventuali scollamenti riconducibili unicamente al tempo
trascorso tra le due escussioni; e di escludere, altresì, l’enfatizzazione
delle c.d. “voci di popolo” nel narrato di Gallo, nel quale piuttosto si
distinguerebbe esattamente tra quanto personalmente dal suddetto visto
e le dicerie di paese.
L’ordinanza impugnata conclude per l’estensione dei delitti concernenti le
armi al Barone Francesco, autentico fautore e protagonista dei fatti in
esame, e per la ricorribilità dell’aggravante di cui all’art.7 L.203/91, sia in
relazione all’omicidio che ai delitti in ultimo menzionati, in considerazione
delle modalità senza dubbio mafiose ( trattandosi di tipica punizione “di
mafia”, con organizzazione di commando, uso di passamontagna,
esecuzione e sparizione di cadavere) e del consequenziale rafforzamento
del timore e del senso di intimidazione promanante dalla cosca Bellocco
nell’ambito della condivisione di logiche associative con l’altra famiglia
mafiosa che decretava la scomparsa di Cacciola Domenico.
Soffermandosi, infine, sulle esigenze cautelari, su cui nulla va detto non
essendo oggetto di impugnazione.
2. Avverso la summenzionata ordinanza ha proposto ricorso per
cassazione il difensore dell’indagato, chiedendo l’annullamento della
stessa sulla base di vari motivi di doglianza.
2.1.

Con il primo ha dedotto l’illogicità della motivazione in

riferimento al rigetto della richiesta di inammissibilità della misura

8

familiari – in cui questi lo inviterebbero a ritrattare – dopo avere il primo

cautelare per esistenza di precedente giudicato. Invero, la difesa,
premesso che l’indagato per il medesimo fatto era stato sottoposto a
fermo della DDA di Reggio Calabria, non convalidato dal GIP di Palmi, che
aveva rigettato, altresì, la richiesta di misura cautelare per difetto dei
gravi indizi, osserva che, per come formulata, non poteva essere
riproposta la domanda di emissione di misura cautelare al GIP del
Tribunale di Reggio Calabria, funzionalmente competente trattandosi di

emessa l’ordinanza applicativa della custodia cautelare nei confronti di
Barone Francesco per esistenza del citato giudicato cautelare. Si duole,
quindi, che interpellato il Tribunale del riesame di Reggio Calabria sul
punto, lo stesso offriva una motivazione illogica perché completamente
sganciata dai rilievi difensivi, richiamando la giurisprudenza di legittimità
sull’autonomia della convalida dalla successiva ordinanza impositiva di
misura cautelare ovvero quella che ritiene sempre riproponibile al giudice
territorialmente competente la richiesta cautelare già rigettata dal giudice
della convalida incompetente territorialmente, dimenticando che il GIP del
Tribunale di Palmi non fosse territorialmente competente ma solo
funzionalmente incompetente ( trattandosi di procedimento di cui
all’art.328 co.1 bis c.p.p., rimesso alla cognizione del GIP distrettuale ).
La difesa lamenta che la motivazione del Tribunale del riesame ometta di
valutare se la nuova richiesta del PM al GIP del Tribunale di Reggio
Calabria fosse una mera riproposizione di quella rivolta al GIP del
Tribunale di Palmi, basata sui medesimi elementi indiziari. Nel qual caso
avrebbe operato la preclusione endoprocessuale derivante dal “giudicato
cautelare”. Concludendo, quindi, che nel caso di specie la nuova OCC non
avrebbe dovuto essere emessa, riportando unicamente “nova apparenti”,
ossia emergenze già presenti nel compendio indiziario sussistente all’atto
della presentazione della richiesta cautelare al GIP di Palmi, anche se non
dedotte, e, comunque, non in grado di provocare una positiva
rivalutazione della richiesta cautelare già rigettata, in quanto consistenti
in intercettazioni da ritenersi non genuine per la conoscenza da parte
dell’intercettato Gallo Giuseppe della predisposizione dell’attività tecnica
nei suoi confronti. La lacuna motivazionale imporrebbe, comunque,
secondo la difesa, l’annullamento della pronuncia impugnata.

2.2.

Con il secondo motivo ha dedotto, ai sensi dell’art. 606,

primo comma lett. e) cod. proc. pen., l’omessa valutazione e motivazione
degli elementi di segno contrario addotti dalla difesa a confutazione della

9

fatti aggravati ai sensi dell’art.7 L.203/91, e che non poteva essere

gravità indiziaria ritenuta nell’ordinanza impositiva della custodia
cautelare in carcere. Si critica, invero, l’iter motivazionale dell’ordinanza
di riesame che concentrerebbe la principale attenzione su fatti che
possono definirsi secondari, che non avrebbero alcuna incidenza
dimostrativa in ordine all’imputazione cautelare di omicidio, in merito alla
quale unica fonte di prova sarebbero le dichiarazioni di Gallo Giuseppe.
Dichiarazioni, queste ultime, inattendibili per la personalità del

emergenti proprio dalle intercettazioni svolte nei suoi confronti e dalla
registrazione effettuata dal Capitano Cinnerella delle prime dichiarazioni
rese dal suddetto, apoditticamente negati nell’ordinanza impugnata ( che,
quindi, sul punto avrebbe lacunosamente motivato ). La difesa lamenta,
altresì, la non genuinità delle intercettazioni, per quanto già sopra detto,
e l’omessa valutazione dei suoi rilievi sul punto da parte del Tribunale del
riesame. Il terzo profilo di omessa valutazione lamentato nel ricorso
attiene, infine, alle evidenti e numerose discrasie tra le due dichiarazioni
rese dal Gallo nella ricostruzione di quanto asseritamente accaduto la
mattina del 18.8.13 (quanto alla collocazione temporale del fatto, alla
circostanza dell’attesa dei muratori da parte del testimone quella mattina,
alla posizione della Panda della Bellocco, alla presenza del figlio della
medesima in casa, alla percezione delle liti tra la Bellocco ed i figli, al
numero di persone scese dalla Fiat Uno ed entrate nell’abitazione, al fatto
che indossassero il passamontagna, all’ingresso della Panda all’interno del
garage dell’abitazione, all’apertura o alla chiusura della saracinesca di
detto garage, al riconoscimento della voce che avrebbe profferito la frase
“Perdunatemi”, alla costante presenza del Gallo a visionare gli
accadimenti riferiti, alla posizione del Bellocco rispetto all’auto uscita dal
garage, alle manovre della Fiat Uno, al rientro della Panda nera con a
bordo Francesco Barone, alle pulizie che sarebbero state effettuate dopo
la scomparsa della donna); discrasie rilevate dal GIP di Palmi che, non
convalidando il fermo e non applicando alcuna misura, aveva invitato la
pubblica accusa ad una valutazione prudente della testimonianza resa dal
Gallo; discrasie, invece, risolte dal Tribunale del riesame con una
stringata e apodittica motivazione. Lacune motivazionali, che
imporrebbero per la difesa del Barone l’annullamento dell’ordinanza
impugnata e l’adozione di ogni consequenziale statuizione.
3.

Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto il

rigetto del ricorso.

10

propalante, che sarebbe animato da intenti lucrativi ed opportunistici,

CONSIDERATO IN DIRITTTO
1.

Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato.

2.

Non meritevole di accoglimento deve ritenersi la prima

doglianza difensiva, ove si consideri, come già affermato in questa Sede
(Sez. 6, n. 24639 del 28/04/2006, dep. 17/07/2006, Rv. 235187; v.,
inoltre, Sez., 1, 22 dicembre 2010, n. 11467 ed in ultimo Sez. 6,
Sentenza n. 21328 del 16/04/2015), che il provvedimento di rigetto della

preliminari, competente territorialmente per la convalida del fermo, non
preclude al P.M. (in questo caso funzionalmente) competente la
reiterazione della suddetta richiesta al giudice naturale, in quanto,
qualora il luogo dell’arresto o del fermo sia diverso da quello ove ha sede
quest’ultimo (come nel caso di specie, in quanto, trattandosi di reati
aggravati dall’art.7 L.203/91, è competente il giudice distrettuale ai sensi
dell’art.328, co.1 bis c.p.p.), il G.i.p. funzionalmente competente emette
un provvedimento del tutto autonomo rispetto al provvedimento reso dal
primo G.i.p. (si vedano Sezioni Unite Penali n. 15 del 18/06/1993, dep.
29/07/1993, Rv. 194315), con la conseguenza che, nell’ipotesi di
provvedimento di rigetto della misura, non si forma alcun giudicato
cautelare. E la successiva richiesta di misura cautelare al giudice
competente (in questo caso – ma la ratio è la stessa – ai sensi
dell’art.328, co.1 bis c.p.p.) è il logico esito di un’ordinanza di rigetto
pronunziata da un giudice incompetente in relazione al tipo di reati (pur
se commessi nel suo ambito territoriale), che diventa privo dell’azione
cautelare ex art.391 comma quinto cod. proc. pen. e non può più avere
cognizione sulla medesima questione (sez.6, n.21328 del 2015). In alcun
modo illogica – come da prospettazione difensiva – può ritenersi sul punto
la motivazione del Tribunale del Riesame, che correttamente – per
quanto appena esaminato – richiama la giurisprudenza di legittimità
sull’autonomia dell’ordinanza di convalida rispetto all’ordinanza impositiva
di misura cautelare, nonché quella che ritiene sempre riproponibile al
giudice territorialmente competente la richiesta cautelare già rigettata dal
giudice della convalida incompetente territorialmente in relazione al luogo
di commissione del fatto, valendo, come sopra visto, le medesime
argomentazioni anche per l’incompetenza funzionale (invero, come
sottolineato dalla stessa ordinanza impugnata, la giurisprudenza di
legittimità sopra richiamata si riferisce a tutti i casi in cui, come quello in
esame, il giudice indicato dall’art.390, comma 1, c.p.p., competente in

11

richiesta di misura cautelare adottato dal giudice delle indagini

relazione al luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito, non coincide
con quello indicato dall’art.279 c.p.p.).
Peraltro, nel caso di specie, come evidenziato dalla stessa difesa, la
richiesta di misura cautelare sarebbe fondata su ulteriori elementi ( le
intercettazioni nei confronti del Gallo, che non erano state trascritte
all’atto del fermo ), e pertanto non si può in alcun modo parlare di “ne bis
in idem” quanto all’ordinanza emessa dal GIP distrettuale ( si veda Sez.5,

allo stato degli atti, nel senso che dipende dal permanere della situazione
di fatto presente al momento della decisione” ed “è finalizzata ad evitare
ulteriori interventi giudiziari, in assenza di una modifica della situazione di
riferimento”). E non è vero, come da argomentazione difensiva, che il
Tribunale del riesame abbia omesso di valutare sulla sussistenza di
elementi indiziari ulteriori rispetto a quelli sottoposti al vaglio del GIP di
Palmi, analizzando, piuttosto, gli stessi, costituiti dalle risultanze di
intercettazioni telefoniche ed ambientali svolte nei confronti di Gallo
Giuseppe e dei suoi familiari, proprio dopo aver riportato l’ordinanza di
rigetto del suddetto giudice, come elementi a sostegno dell’attendibilità
del testimone oculare.

3. Le ulteriori censure prospettate dalla difesa sono altrettanto
infondate, dovendosi rilevare come le sequenze motivazionali che
compongono l’impugnato provvedimento cautelare mostrino un
andamento certo e coerente, frutto di un esaustivo approfondimento in
merito alla valutazione dell’effettiva consistenza del panorama indiziario,
considerando, sulla base di un congruo supporto critico-argonnentativo, i
puntuali rilievi difensivi. La motivazione dell’ordinanza impugnata, che si
salda a quella dell’ordinanza genetica, componendo insieme ad essa un
unico e coerente corpo argomentativo, ha proceduto a un riesame
sostanziale della tenuta del quadro indiziario emergente a carico
dell’indagato, disattendendo il nucleo essenziale delle censure mosse
dalla difesa del ricorrente alla ricostruzione accusatoria e così assolvendo
il compito demandato al giudice del riesame di verificare e rivalutare,
anche nel merito, la sussistenza dei presupposti che legittimano
l’applicazione della misura coercitiva, senza essere però tenuto a
confutare in dettaglio ogni singolo argomento difensivo, ma solo quelli
muniti di rilievo concludente, che si pongano in oggettivo contrasto con
gli elementi accusatori, e senza alcun dovere di confrontarsi con le
deduzioni dirette a proporre ricostruzioni alternative della vicenda

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n.1241 del 2.10.14, secondo cui la preclusione endoprocessuale “opera

indagata o a contrastare il potere selettivo degli elementi indiziari posti a
fondamento della decisione cautelare (vedi Sez. 6 n. 3742 del 9/01/2013,
Rv. 254216, e Sez. 2 n. 13500 del 13/03/2008, Rv. 239760).
Deve, inoltre, essere evidenziato come in materia di misure cautelari
personali il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza non possa
essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei
vari dati probatori, dovendosi invece verificare se gli stessi, coordinati e

richiesta dall’art. 273 c.p.p. Ciò in considerazione della natura stessa
degli indizi, quali circostanze collegate o collegabili a un determinato fatto
che non rivelano, se esaminate singolarmente, un’apprezzabile inerenza
al fatto da provare, essendo ciascuno suscettibile di spiegazioni
alternative, ma che si dimostrano idonee a dimostrare il fatto se
coordinate organicamente. (Cassazione penale, sez. 4, n.15198 del
4/3/2008, e sez.2, n.9269 del 5/12/2012).
Coordinamento, operato attentamente dal Tribunale reggino, il cui iter
argomentativo, sopra analiticamente riportato, appare tutt’altro che
illogico e ricostruisce abilmente, tassello per tassello, il mosaico indiziario.
A tal proposito va osservato che appare improprio nella specie parlare di
fatti secondari e primari, atteso che nessuna delle circostanze, anche
quelle su cui si concentrano le dichiarazioni del Gallo e che correttamente
vengono analizzate per ultime ( a chiusura del cerchio ), prova in via
diretta il coinvolgimento del Barone nelle vicende in oggetto, ma tutte,
valutate congiuntamente, lo rendono gravemente indiziato dei fatti per
cui si procede.
La sparizione contestuale della Bellocco e del Cacciola, tra cui
quantomeno vi era un’assidua frequentazione per quanto argomentato
nell’ordinanza impugnata, la circostanza che le ore del rientro a casa e
dell’addormentamento dichiarate dal Barone siano smentite dai tabulati
telefonici, il fatto che la Bellocco abbia detto al marito “ho sbagliato” e gli
abbia fatto sentire “non è vero, non è vero” mentre questi conversava col
figlio, il comportamento anomalo di quest’ultimo e degli altri congiunti
dopo la sparizione della donna, la circostanza che quest’ultima non abbia
portato con sé alcun effetto personale, l’impossibilità, per come
strutturata la casa, che l’indagato non si accorgesse dell’allontanamento
della madre, il fatto che Barone Rita e la compagna Viviani Sara nelle
intercettazioni ritengano anomalo il comportamento dei propri congiunti e
certo il coinvolgimento di Barone Francesco nella sparizione della madre

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apprezzati globalmente secondo logica comune, assumano la valenza

di cui sembrano conoscere le ragioni, la tardività della denuncia della
scomparsa della Bellocco, sollecitata peraltro dalle stesse forze dell’ordine
(come riferito da Barone Salvatore), sono tutti elementi, che,
singolarmente considerati, si potrebbero prestare ad interpretazioni
alternative, ma che, valutati congiuntamente alle dichiarazioni rese da
Gallo Giuseppe sui “movimenti” nella casa dei vicini sia la mattinata del
fatto che nei giorni immediatamente successivi, in modo del tutto logico e

dichiarazioni appena menzionate, integrare dall’ordinanza impugnata la
gravità indiziaria richiesta ex art.273 c.p.p. Ordinanza, che replica,
altresì, a tutti i rilievi difensivi sopra riportati. Escludendo, sulla base dello
stesso tenore delle conversazioni captate (che, lungi dal denunciare
manie di protagonismo ovvero intenti opportunistici esprimerebbero i
tormenti del propalante, che teme che lo Stato pur avendolo esposto non
lo protegga, che si rende conto dei riflessi della sua collaborazione e dei
sacrifici che verrebbero imposti ai propri congiunti, ma che, nel
contempo, non vuole accettare i suggerimenti dei figli sul ritrattare
quanto dichiarato), analiticamente passate in disamina, il carattere
interessato ed utilitaristico della testimonianza offerta dal Gallo – che
comunque non rileverebbe nella valutazione della sua affidabilità,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, per la quale è inconferente
che alla collaborazione si sia addivenuti per finalità utilitaristiche ed
interessi personali – e la paventata ed in alcun modo riscontrata “non
genuinità” della medesima (la stessa difesa, pur lamentando che il
propalante sarebbe informato dell’attività tecnica nei suoi confronti, in
modo contraddittorio ritiene poi utilizzabili le risultanze della captazione a
riprova degli interessi che giustificherebbero la collaborazione), ed
ampliamente argomentando, come sopra riportato, sull’attendibilità del
teste e del suo narrato e sulle discrasie che erano già state segnalate in
sede di riesame, sottolineando, con dovizia di particolari, che in alcun
modo inciderebbero sul nucleo centrale del racconto e sul suo “peso”
indiziario.
Nè può costituire vizio deducibile davanti a questa Corte la prospettazione
di una diversa e, per il ricorrente, più favorevole valutazione delle
risultanze indiziarie, in quanto esula dai poteri del giudice di legittimità
quello della “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione ( sez. 3, del 24-11-2010-02/02/2011, n.3833), dovendosi lo
stesso limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia

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consequenziale sono stati ritenuti, in uno con le circostanze di cui alle

intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter
logico seguito (ex plurimis: Cass., Sez. 2, 10 ottobre 2008 n. 38803),
se, quindi, sia compatibile con il senso comune e con i limiti di una
plausibile opinabilità di apprezzamento (Cass., Sez. 2, n. 32839 del
09/05/2012, depos. il 21/08/2012) e non connotata da manifesta
illogicità risultante dal testo del provvedimento impugnato ( Cass., Sez.
F, 11/08/2014 n. 47748, Contarini, Rv. 261400). Sicché, ove venga

indizi di colpevolezza, è demandato al giudice di merito la valutazione del
peso probatorio degli stessi, mentre alla Corte di Cassazione spetta solo il
compito di verificare se il giudice di merito abbia dato adeguatamente
conto delle ragioni che l’inducevano ad affermare la gravità del quadro
indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della
motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai
canoni della logica ed ai principi di diritto che governano l’apprezzamento
delle risultanze probatorie (in tal senso, Cass. Sez. 3, 7/11/2008 n.
41825, Hulpan, non nnassimata; Sez. 4, 3/5/2007 n. 22500), ferma
restando, in relazione alla natura incidentale del procedimento de
libertate, la diversità di oggetto della delibazione cautelare, preordinata a
un giudizio prognostico in termini di ragionevole e qualificata probabilità
di colpevolezza dell’indagato, rispetto a quella demandata al giudizio di
merito, che è intesa invece all’acquisizione della certezza processuale
della colpevolezza dell’imputato (Sez. 1 n. 19517 dell’1/04/2010, Rv.
247206).
4. Al rigetto del ricorso consegue, ai sensi dell’art.616 c.p.p., la
condanna del Barone al pagamento delle spese del procedimento.
5.

Non conseguendo dalla presente decisione la rimessione in

libertà del ricorrente deve disporsi – ai sensi dell’art.94, comma 1 ter,
delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale – che copia
della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui
l’indagato trovasi ristretto, perché provveda a quanto stabilito dal comma
1 bis del citato articolo 94.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

15

denunciato il vizio di motivazione in ordine alla consistenza dei gravi

Trasmessa copia ex art. 22
n. I ter L. 8–8-95 n. 332
Roma, lì 2 3 Ha 916 ,
Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del provvedimento al
direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art.94, co.1-ter, disp.att.
c.p.p.

Così deciso in Roma il 2 dicembre 2015.

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