Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21201 del 02/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21201 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OLIMPIO MICHELE N. IL 21/09/1959
avverso l’ordinanza n. 7916/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di
TORINO, del 18/02/2015
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
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Data Udienza: 02/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Tribunale di sorveglianza di Torino rigettava l’istanza di

differimento facoltativo dell’esecuzione della pena per motivi di salute
avanzata da Olimpio Michele, anche nelle forme della detenzione
domiciliare a norma della L. n. 354 del 1975, art. 47 ter, comma 1 ter.
2.

L’Olimpio ha proposto, tramite difensore, ricorso per

cassazione.
Col primo motivo deduce l’erronea applicazione della legge

penale, ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett. b) cod. proc. pen., con
riferimento agli artt.147 c.p. e 47 ter ordinamento penitenziario e
comunque manifesta illogicità della motivazione. Invero, il provvedimento
impugnato non sarebbe sorretto da adeguata, puntuale e congrua
motivazione in ordine al bilanciamento tra il diritto del condannato ad
essere adeguatamente curato e le esigenze di tutela della collettività. Il
ricorrente lamenta che il Tribunale di sorveglianza non ha tenuto conto,
indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità con le
possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario, anche
dell’esigenza, comunque, di non ledere il fondamentale diritto alla salute
e del divieto di trattamenti contrari al senso di umanità, previsti dagli
artt.32 e 27 della Costituzione. Le documentate condizioni di salute
pongono, secondo la difesa, l’Olimpio in una situazione di incompatibilità
col regime carcerario, oltre che per la mancanza di cure adeguate, anche
per il fatto che non può partecipare per dette condizioni all’attività
lavorativa da svolgersi in ambito carcerario a fini rieducativi, per cui la
sua detenzione sarebbe senza dubbio contraria al senso di umanità.
2.2.

Il secondo motivo di doglianza attiene alla mancanza ed

illogicità della motivazione ai sensi dell’art.606, primo comma, lett.e)
c.p.p. In particolare la motivazione sarebbe per la difesa del tutto
mancante laddove si consideri che l’istanza era volta all’ottenimento del
differimento facoltativo della pena ovvero, in luogo dello stesso, della
detenzione domiciliare prevista dall’art.47 ter comma 1 ter Ordinamento
Penitenziario e che il provvedimento non contiene alcun riferimento in
ordine alla valutazione di tale istanza, né riguardo all’idoneità del
domicilio che era stato indicato dai difensori per la detenzione domiciliare.
Nonostante il legislatore abbia voluto evidentemente prevedere che, ove
non sussistano situazioni di pericolosità, debba essere applicato il
differimento della pena ai sensi dell’art.147 c.p., mentre, ove il giudice
ritenga di essere di fronte ad una pericolosità, debba ( sussistendo le

2.1.

condizioni di grave infermità fisica ) tutelare la salute del detenuto
attraverso una misura pur sempre detentiva, capace tuttavia di
contenerne la pericolosità, il Tribunale di sorveglianza si confronta,
secondo le doglianze difensive, con il presupposto della pericolosità del
quale l’ultimo comma dell’art.147 c.p. impone la valutazione, ma solo con
riferimento al differimento della pena, omettendo ogni motivazione circa
l’inadeguatezza della misura della detenzione domiciliare a fronteggiare

2.3

Conclude, pertanto, il ricorrente per l’annullamento

dell’ordinanza impugnata con rinvio degli atti per nuovo esame.
3. Il Procuratore Generale della Repubblica presso questa Corte
con requisitoria scritta – ritenendo il provvedimento impugnato
adeguatamente motivato sulla compatibilità dello stato di salute del
ricorrente con il regime carcerario, sulla possibilità di fronteggiare detto
stato in ambito carcerario e sulla possibilità, altresì, del condannato di
partecipare al normale regime trattamentale, quindi sull’assenza delle
condizioni normative per concedere detto beneficio al detenuto, attesane
in particolare la pericolosità sociale – ha chiesto il rigetto del ricorso e la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
4. Con memoria depositata il 17.11.15 il difensore lamenta a) che
l’ordinanza impugnata menziona solo i provvedimenti reiettivi di analoghe
istanze e non quello del Tribunale di sorveglianza di Catanzaro che aveva
ritenuto la sussistenza delle condizioni per concedere la detenzione
domiciliare, b) che in nove mesi nessuno dei programmati accertamenti
ambulatoriali, di cui si dà atto nelle relazioni mediche menzionate
dall’ordinanza, è stato compiuto, c) che andava verificato in concreto se
anche in presenza di prestazioni di cure mediche praticabili con estrema
difficoltà e senza la necessaria tempestività, come nel caso di specie, lo
stato detentivo in carcere fosse contrario al senso di umanità
(ripercorrendo, poi, i motivi del ricorso e confrontandoli con le conclusioni
del P.G.).

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il Tribunale di sorveglianza sopra indicato fa un’ampia

premessa a) sull’ipotesi di differimento c.d. “facoltativo” dell’esecuzione
della pena detentiva ex art.147, comma primo n.2 c.p., che prevede che
l’esecuzione della pena possa essere differita, se il condannato si trovi in
gravi condizioni di salute non compatibili con la prosecuzione dello status

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tale pericolosità.

detentionis e non sussista il concreto pericolo che possa commettere
ulteriori delitti, b) sui principi costituzionali che sottendono a detta
previsione normativa ( l’esigenza di certezza della pena, l’eguaglianza,
anche sotto il profilo di tale certezza, di tutti i cittadini di fronte alla
legge, il diritto alla salute, il divieto di trattamenti disumani ed infine il
principio di legalità della pena), c) sull’elaborazione giurisprudenziale
dell’istituto ( da cui emerge che il differimento facoltativo della pena non

pericolosità sociale, sul principio di umanità nell’esecuzione della pena e
sulla capacità del condannato di percepirne l’effetto rieducativo ). Passa,
poi, attraverso la valutazione della copiosa documentazione sanitaria
allegata al procedimento, alla disamina analitica delle patologie da cui
l’Olimpio è affetto, non senza rilevare che quelle evidenziate dal
condannato coincidono con quelle diagnosticate dai sanitari della casa
circondariale, consistenti in “cardiopatia ischemico-ipertensiva (IMA
trattato nel 2012 con PTCA) con angina instabile in coronarie esenti da
lesioni critiche, BPCO in asma bronchiale allergica, enfisema centro
lobulare e malattia interstiziale polmonare, dislipidemia, ernia iatale con
possibile reflusso gastro-esofageo, esiti di colecistectomia” e
“ipotassiemia cronica ricorrente” , a causa della quale, che senza dubbio
fra quelle diagnosticate è la più allarmante, dal luglio del 2011 l’Olimpio
ha sofferto di dolorose contratture muscolari associate a tachicardia con
riscontro di ipopotassiemia, che ne hanno quasi sempre richiesto il
trasporto in ospedale ( perché l’unica terapia praticabile, quella
infusionale con fiale di KCL è di competenza strettamente ospedaliera e
non può essere effettuata in ambiente carcerario ). Sempre il collegio a
quo evidenzia come dalla relazione recentemente stilata dal dr.Testi,
responsabile del centro sanitario della Casa Circondariale di Torino, sulle
condizioni di salute dell’Olimpio emerga anche la programmazione di
ulteriori accertamenti in regime ambulatoriale per verificare se la
patologia ipokaliennica sia di natura primaria o secondaria alle terapie
anche ipotensivanti in atto ( circostanza, che smentirebbe l’assunto del
consulente di parte secondo cui lo stato detentivo avrebbe di fatto
impedito di accertare l’origine di tale patologia e di curarla in modo
adeguato ). Evidenzia, altresì, come i problemi ipertensivi fossero
adeguatamente monitorati in ambito carcerario attraverso il controllo dei
valori pressori e come gli esami cardiologici effettuati in passato fossero
risultati nella norma. Confuta, inoltre, la consulenza tecnica di parte

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può prescindere dalla valutazione dell’incidenza della malattia sulla

laddove individua un rischio di vita del detenuto derivante dalle
improvvise ed anche letali aritmie cardiache quali conseguenze delle crisi
di ipokaliemia, rilevando che ciò potrebbe determinarsi in assenza di
tempestivi interventi di riequilibrio dei livelli di potassio del sangue,
sempre assicurati, nel caso di specie, nonostante la detenzione, o
ricorrendo in Istituto a somministrazioni in vena di integrazione di
soluzione elettrolitica, ovvero in ospedale con trasfusioni di potassio, con

congrui e tranquillizzanti ( tanto che finita la terapia infusionale i sanitari
non hanno mai ravvisato la necessità di disporre un ricovero dell’Olimpio,
ma ne hanno sempre consentito la dimissione ). Conclude, infine, col
ritenere : – che, in relazione al duplice profilo della gravità delle patologie
nonché dell’adeguatezza degli accertamenti diagnostici e delle cure
effettuate in istituto ovvero all’occorrenza con tempestivi ricoveri ex
art.11 Ordinamento Penitenziario, “non sussistano i presupposti per
l’accoglimento della richiesta di differimento della pena formulata dal
condannato, la cui detenzione, nonostante le cicliche limitazioni funzionali
determinate dalle crisi ipokalemiche, non appare certamente contraria al
senso di umanità, atteso che…l’unica attività preclusa è quella
lavorativa”; – che in relazione al presupposto della pericolosità, senza
dubbio, permanga, considerato che l’istante sta scontando una rilevante
pena detentiva (anni 30 di reclusione) per reati di indubbia gravità
(omicidio e detenzione illegale di armi), commessi in una guerra fra
cosche camorristiche (aggravati ex art.7 L.203/91), e che, secondo il
Comm.to PS di Giugliano in Campania, lo stesso riveste un ruolo di
primissimo piano all’interno del clan Mallardo.

2. Tanto detto, va innanzitutto precisato che non ricorre il
denunciato vizio di motivazione in relazione al mancato autonomo esame
della richiesta di detenzione domiciliare ai sensi dell’art. 47 ter, comma 1
ter L. 354/75.
Il giudizio espresso “a monte” dal Tribunale di sorveglianza, circa
l’insussistenza delle condizioni richieste per la concessione del rinvio
facoltativo della esecuzione della pena ai sensi dell’art.147 cod. pen.,
comporta automaticamente l’inapplicabilità del succedaneo istituto della
detenzione domiciliare per un periodo di tempo predeterminato di cui
all’art. 47 ter, comma 1 ter della legge summenzionata. Istituto,
quest’ultimo, che è privo di ambito applicativo autonomo, essendo
concedibile in via surrogatoria, ma sempre alla preliminare condizione che

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tempi di trasferimento in ospedale, quantificati in tre ore, del tutto

ricorrano i presupposti legittimanti il differimento obbligatorio o
facoltativo della pena, come ben evidenziato dall’incipit della disposizione.
In tal senso si è già espressa la giurisprudenza di questa Corte, secondo
cui la previsione normativa summenzionata ha la finalità di colmare una
lacuna della previgente normativa, per la quale, in presenza dei
presupposti di fatto indicati negli artt. 146 e 147 cod. pen., si imponeva
un’alternativa secca tra carcerazione e libertà senza vincoli. L’innovazione

e del necessario controllo cui vanno sottoposti i soggetti pericolosi; per
altro verso, mira ad una esecuzione mediante forme compatibili con il
senso di umanità, quale è quella costituita dalla detenzione domiciliare e
a termine, da disporsi in presenza di una negativa condizione soggettiva
del condannato che non ne consenta la piena liberazione che deriverebbe
dall’applicazione degli istituti di cui ai richiamati artt. 146 e 147 cod. pen.
È, pertanto, da escludere, avuto riguardo anche alla chiara lettera della
disposizione in questione, che essa possa trovare applicazione sulla base
di presupposti diversi da quelli che potrebbero dar luogo al rinvio
obbligatorio o facoltativo dell’esecuzione della pena. (Sez. 1, n. 6952 del
07/12/1999 – dep. 14/02/2000, Saraco, Rv. 215203; Sez. 1, n. 656 del
28/01/2000, Ranieri, Rv.215494 ed in ultimo

Sez. 1, n. 25841 del

29/04/2015 Cc. – dep. 18/06/2015 , Rv. 263971, di cui sopra si sono
ripercorse le argomentazioni).
3. Passando ai restanti profili di doglianza, va preliminarmente
osservato: – che la concessione del differimento facoltativo
dell’esecuzione della pena per grave infermità fisica ai sensi dell’art. 147
cod. pen. ( come la concessione del differimento obbligatorio ai sensi
dell’art.146 stesso codice e della detenzione domiciliare di cui sopra si è
detto ) si fondano sul principio costituzionale di uguaglianza di tutti i
cittadini dinanzi alla legge senza distinzione di condizioni personali, su
quello secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari
al senso di umanità ed, infine, su quello secondo il quale la salute è un
diritto fondamentale dell’individuo; – che, quindi, a fronte di una richiesta
di sospensione dell’esecuzione della pena o di detenzione domiciliare per
grave infermità fisica, il giudice deve valutare se le condizioni di salute
del condannato, oggetto di specifico e rigoroso esame, possano essere
adeguatamente assicurate all’interno dell’istituto penitenziario o,
comunque, in centri clinici penitenziari e se esse siano o meno compatibili
con le finalità rieducative della pena, con un trattamento rispettoso del

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obbedisce, da un lato, all’esigenza di effettività dell’espiazione della pena

senso di umanità, tenuto conto anche della durata del trattamento e
dell’età del detenuto, a loro volta soggette ad un’analisi comparativa con
la pericolosità sociale del condannato; – che il giudice deve, quindi,
operare un bilanciamento di interessi tra le esigenze di certezza ed
indefettibilità della pena, da una parte, e la salvaguardia del diritto alla
salute e ad un’esecuzione penale rispettosa dei criteri di umanità,
dall’altra, al fine di individuare la situazione cui dare la prevalenza; – che

sintetica, che consenta la verifica del processo logico-decisionale ancorato
ai concreti elementi di fatto emersi dagli atti del procedimento.
Passando al caso che ci occupa, il Tribunale di sorveglianza, come sopra
si è avuto modo di esaminare, pur analizzando nel dettaglio le patologie
da cui è affetto l’Olimpio, gli accertamenti medici svolti e quelli
programmati, il monitoraggio cui il suddetto è sottoposto ad opera di
personale specializzato in carcere e in presidi territoriali esterni, non
approfondisce in modo adeguato un aspetto prospettato – come emerge
dalla stessa ordinanza impugnata – dalla consulenza medica prodotta
dalla difesa ed in particolare il pericolo di “improvvise ed anche letali”
aritmie cardiache quali conseguenze delle crisi di ipokaliemia.
Pericolo, che viene, senza dubbio, preso in considerazione dall’ordinanza
impugnata, la quale, nel limitarlo ai soli casi di “assenza di tempestivi
interventi di riequilibrio dei livelli di potassio del sangue”, lo ritiene
scongiurato in relazione al ricorrente, al quale invece sarebbero stati
sempre assicurati interventi di tal tipo “o ricorrendo in Istituto a
somministrazioni in vena di integrazione di soluzione elettrolitica, ovvero
in Ospedale con trasfusioni di potassio” in tempi “quantificati anche dal
consulente in circa tre ore”.
Orbene, proprio questo aspetto rappresenta la lacuna motivazionale
dell’ordinanza impugnata, di cui si duole nel ricorso la difesa dell’Olimpio,
laddove lamenta il non aver tenuto conto, da parte del Tribunale di
sorveglianza, indipendentemente dalla compatibilità o meno dell’infermità
con le possibilità di assistenza e cura offerte dal sistema carcerario,
anche dell’esigenza, comunque, di evitare trattamenti che possano
mettere in pericolo il diritto alla salute e siano contrari al senso di
umanità, in violazione del disposto degli artt.32 e 27 della Costituzione.
Aspetto, che è poi ripreso dalla memoria difensiva, di cui si è sopra dato
atto, laddove si dice che si doveva “verificare in concreto, se, anche in
presenza di cure mediche praticabili con estrema difficoltà, e senza la

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di tale valutazione deve dare conto con motivazione compiuta, ancorché

necessaria tempestività (come nel caso di specie) lo stato detentivo in
carcere sia contrario al senso di umanità”.
Va, quindi, senz’altro approfondito il tema della tempestività dei
trasferimenti nei presidi esterni avuto riguardo alla compatibilità degli
stessi con le crisi cardiache sopra prospettate e col pericolo di vita dalle
stesse determinato; e, quindi, dell’adeguatezza – anche sotto il profilo di
non contrarietà al senso di umanità – dei rimedi sanitari praticati in

ipokalemiche. Dovendosi evidenziare come sia riduttivo ritenere “congrui
e tranquillizzanti” i tempi di trasferimento in ospedale per i suddetti
interventi di riequilibrio del potassio nel sangue, per il solo fatto che in
passato il personale sanitario non abbia “mai ravvisato la necessità
neppure precauzionale di un ricovero” del ricorrente, disponendone
sempre la dimissione. Come, invece, necessiti, alla luce dei principi
costituzionali sopra evidenziati a fondamento dell’espiazione della pena
detentiva, un’adeguata, puntuale e congrua motivazione del collegio a
quo, all’esito degli approfondimenti medici sopra prospettati, in ordine al
bilanciamento tra il diritto del condannato ad essere adeguatamente
curato e le esigenze di tutela della collettività.

4.

L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata con rinvio per

nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Torino.

P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al
Tribunale di sorveglianza di Torino.
Così deciso in Roma il 2 dicembre 2015.

presenza delle cicliche limitazioni funzionali determinate dalle crisi

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