Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 212 del 25/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 212 Anno 2017
Presidente: DIOTALLEVI GIOVANNI
Relatore: PACILLI GIUSEPPINA ANNA ROSARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINELLI ALBERTO n. a Macerata il 12.4.1966,
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli del 18.5.2016
Visti gli atti, l’ordinanza e il ricorso;
Udita nell’udienza camerale del 25.11.2016 la relazione fatta dal
Consigliere Giuseppina Anna Rosaria Pacilli;
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale in persona di Delia
Cardia, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza del 18.5.2016 il Tribunale del riesame di Napoli ha
annullato l’impugnato provvedimento avuto riguardo a un dossier titoli e a
un conto corrente, intestati al ricorrente presso la Banca delle Marche e
presso la Banca Popolare di Ancona, ed ha confermato nel resto il decreto
con cui il GIP della stessa città aveva disposto il sequestro preventivo di
beni nell’ambito del procedimento a carico del medesimo ricorrente,
indagato per il reato di cui agli artt. 416, 473 e 474 c.p.
Contro l’ordinanza del Tribunale del riesame i difensori dell’indagato
hanno proposto ricorso per cassazione, deducendo:

Data Udienza: 25/11/2016

– inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 273, comma 1, c.p.p.,
416 c.p. ed art. 12 sexies d.i. 356/1992: l’ordinanza impugnata avrebbe
ritenuto l’indagato partecipe della contestata associazione per delinquere,
quale fornitore di accessori vari, recanti marchi e loghi da apporre a merce
contraffatta, pur essendo egli un mero dipendente della Metalform 2000
la quale, avvalendosi di una complessa struttura operativa, avrebbe
prodotto e commercializzato senza autorizzazione loghi e marchi protetti.
In particolare, il Tribunale del riesame avrebbe omesso di indicare

alla condotta tipica del delitto ex art. 416 c.p., anche il cd. dolo di
partecipazione.
Quanto alla violazione dell’art. 12 sexies d.l. 356/1992, il ricorrente ha
lamentato che l’ordinanza del Gip limitava il sequestro ai beni immobili,
acquistati nel 2014 per un valore di euro 73.000,00, e a un’autovettura,
acquistata nel 2015 per un valore di euro 36.000,00, senza fare riferimento
alle somme custodite in libretti nominativi, dossier titoli, conti correnti,
individuate solo in sede di esecuzione del sequestro e poste dal Tribunale a
fondamento del provvedimento impugnato ma mai prima contestate; ha
precisato che in realtà per il parziale pagamento degli immobili aveva
acceso un mutuo di euro 59.947,74 con un esborso pari non all’importo
indicato dal Gip ma ad euro 49.572,00, del tutto proporzionato alle proprie
entrate, atteso che: 1) aveva ereditato una consistente liquidità dai
genitori; 2) dal 2005 al 2014 aveva percepito un reddito di euro
250.00,00; 3) già nel 2008 era in possesso di un patrimonio in titoli,
denaro e azioni presso la Banca Marche per un valore di euro 927.137,00,
che gli consentiva di lucrare la somma di euro 131.820,00.
Nella memoria depositata il 9 novembre 2016 il ricorrente ha ribadito le
censure già formulate con il ricorso, rimarcando, quindi, che la
contestazione della fattispecie di cui all’art. 416 c.p. sarebbe una forzatura,
priva di riferimenti oggettivi e fattuali, e che non gli sarebbe stata data la
possibilità di difendersi in relazione a contestazioni mosse soltanto con
l’ordinanza del Tribunale del riesame e diverse da quelle

contenute nena

richiesta di misura cautelare reale del P.M. e nell’ordinanza di applicazione
emessa dal GIP, che non facevano riferimento alle disponibilità
economiche, emerse solo in sede di esecuzione del sequestro.
All’odierna udienza camerale, celebrata ai sensi dell’art. 611 c.p.p., si è
proceduto al controllo della regolarità degli avvisi di rito; all’esito, questa
Corte Suprema, riunita in camera di consiglio, ha deciso come da
dispositivo in atti.

adeguatamente gli elementi fattuali dai quali desumere nel concreto, oltre

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è integralmente inammissibile, perché presentato per motivi
non consentiti e comunque manifestamente infondati.
1.2 Deve premettersi che questa Corte Suprema ha già chiarito che, in
tema di riesame delle misure cautelari reali, nella nozione di «violazione
di legge» (per la quale soltanto può essere proposto ricorso per
cassazione a norma dell’art. 325, comma 1, c.p.p.) rientrano la mancanza

apparente, in quanto correlate all’inosservanza di precise norme
processuali, non anche l’illogicità manifesta e la contraddittorietà, le quali
possono denunciarsi nel giudizio di legittimità soltanto tramite lo specifico e
autonomo motivo di ricorso di cui all’art. 606, lett. e), c.p.p. (così Sez. U.,
sentenza n. 5876 del 28 gennaio 2004, P.c. Ferazzi in proc. Bevilacqua,
CED Cass. n. 226710 ss.; conforme, da ultimo, Sez. V, sentenza n. 35532
del 25 giugno 2010, Angelini, CED Cass. n. 248129, per la quale, in tema
di riesame delle misure cautelari, il ricorso per cassazione per violazione di
legge, a norma dell’art. 325, comma 1, c.p.p. può essere proposto solo per
mancanza fisica della motivazione o per la presenza di motivazione
apparente, ma non per mero vizio logico della stessa).
1.3 Nel caso di specie, va osservato, innanzitutto, che non ha pregio la
censura con cui il ricorrente lamenta la violazione del contraddittorio, che
sarebbe derivata dall’avere il Tribunale del riesame, al fine di ritenere
esistente la sproporzione tra i redditi leciti dell’indagato e l’ammontare
delle acquisizioni compiute, fatto riferimento a disponibilità economiche
emerse solo in sede di esecuzione del sequestro e mai prima contestate.
Se è vero, infatti, che l’ordinanza del GIP non faceva riferimento ai
“sostanziosi accantonamenti finanziari” presso la Banca delle Marche di
Sant’Angelo in Pontano, emersi, solo “in sede di esecuzione del sequestro”,
è altresì innegabile che trattasi comunque di elementi desunti da atti del
processo, come tali utilizzabili dal Tribunale del riesame ed in ordine ai
quali il ricorrente ha avuto la possibilità di interloquire nell’ambito del
procedimento di riesame.
Va poi rilevato che con le residue censure, sia pure etichettate come
violazione di legge, il ricorrente esprime riserve non condivisibili, e
comunque in questa sede inammissibili, sulla congruità della motivazione,
cui pretenderebbe di sostituire una propria, congetturale ed interessata,
ricostruzione alternativa delle vicende sottostanti.

assoluta di motivazione o la presenza di motivazione meramente

Ciò a fronte di un provvedimento che non è inficiato da violazioni di
legge e che è supportato da adeguata motivazione. Con riferimento alla
ritenuta appartenenza dell’indagato all’associazione a delinquere, difatti, il
Tribunale del riesame ha valorizzato le risultanze delle complesse attività di
captazione e di sequestro nonché gli accertamenti patrimoniali effettuati,
recepiti nell’ordinanza applicativa dell’obbligo di dimora, emessa nei
confronti dell’indagato dal GIP del Tribunale di Napoli e confermata in sede
di riesame con decisone del 18.5.2016.

economiche e i redditi del ricorrente, il medesimo Tribunale ha rimarcato
che “il complessivo raffronto tra le fonti reddituali lecite e l’ammontare
delle acquisizioni compiute e costituite dai beni innanzi indicati non lascia
dubbi in ordine alla conclamata sproporzione esistente tra i predetti valori,
ove l’accumulazione patrimoniale prevale in maniera stridente. Gli
evidenziati accertamenti patrimoniali inducono, infatti, a ritenere
pienamente giustificato il disposto sequestro, atteso che, stante il
differenziale negativo redditi -spese riscontrato, tutti gli accantonamenti ed
investimenti oggetto di ablazione non possono trovare lecita
giustificazione”.
A tali rilievi il ricorrente non ha opposto alcunché di decisivo, se non
generiche ed improponibili doglianze fondate su una personale e
congetturale rivisitazione dei fatti di causa, senza documentare eventuali
travisamenti nei modi di rito.

2. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché – apparendo evidente dal contenuto dei motivi che egli
ha proposto il ricorso determinando le cause di inammissibilità per colpa
(Corte cost., sentenza 13 giugno 2000, n. 186) e tenuto conto dell’entità di
detta colpa – della somma di Euro millecinquecento in favore della Cassa
delle Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di millecinquecento
euro alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale del 25 nove bre 2016
Il consigliere estensore
Giuseppina A. R. Pacilii

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Dopo avere specificamente elencato (cfr. pagg. 4 e 5) le disponibilità

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