Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21198 del 02/12/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21198 Anno 2016
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OTAY HECHMI N. IL 15/01/1987
avverso l’ordinanza n. 3806/2014 GIP TRIBUNALE di GROSSETO,
del 15/12/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott. U ro
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Data Udienza: 02/12/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

Il Giudice per le indagini preliminari di Grosseto emetteva

ordinanza in data 15.12.14, con la quale convalidava l’arresto di Otay
Hechmi in relazione ai delitti di tentata rapina e lesioni personali
aggravate, per avere il suddetto, incrociando le lame di due grossi coltelli
da cucina intorno al collo di Mejiri Walid e muovendole avanti ed indietro,
cagionato lesioni a quest’ultimo e nel contempo posto in essere atti idonei

vittima, non riuscendo nell’intento per cause indipendenti dalla sua
volontà. Detto giudice, ritenendo nella specie non sussistenti i gravi
indizi del tentato omicidio per il quale era stato disposto il fermo dalla PG
– essendo le lesioni state provocate, secondo la stessa versione della
persona offesa ( avallata dalla constatazione, da parte del medico del
pronto soccorso, della superficialità della ferita all’altezza dell’arteria
carotide ), al fine di minacciare la vittima ed impossessarsi dei suoi
oggetti personali piuttosto che di cagionarne la morte – ma quelli della
tentata rapina e delle lesioni personali aggravate ai sensi dell’art.585 cod.
pen. (dalla connessione teleologica con il delitto di rapina e dall’uso delle
armi), per i quali, essendo il minimo edittale inferiore a due anni di
reclusione, non era possibile operare il fermo ( che era da escludersi per
il giudice a quo anche in relazione al paventato pericolo di fuga, attese le
modalità con cui era avvicinato dai militari l’Otay, che escludono che lo
stesso avesse intenzione di fuggire ), riqualificava la misura precautelare
disposta dalla PG, ritenendo ricorrenti gli estremi per l’arresto in
flagranza. Considerato, da un lato, che per la tentata rapina l’arresto era
obbligatorio e per le lesioni era giustificato dalla pericolosità dell’indagato,
desunta dai suoi precedenti, nonché dalla gravità complessiva del fatto,
e, dall’altro, che ricorreva un’ipotesi di quasi flagranza, essendo avvenuta
la ricerca dell’autore nell’immediatezza, senza alcuna soluzione di
continuità, sulla scorta dell’indicazione della vittima.
2.

Il difensore dell’indagato ha proposto ricorso per cassazione

avverso la suddetta ordinanza di convalida, deducendo la violazione
dell’art.382 cod. proc. pen., nella parte in cui detto provvedimento ha
ritenuto sussistente lo stato di quasi flagranza. Lamentando che l’indirizzo
giurisprudenziale invocato dal GIP a fondamento della propria decisione è
minoritario, contrasta con i principi costituzionali – in particolare l’art.13
della Costituzione, che limita ai casi eccezionali dì necessità e urgenza,
indicati tassativamente dalla legge, i provvedimenti provvisori limitativi

in modo non equivoco ad impossessarsi di oggetti appartenenti alla

della libertà adottabili dall’autorità di pubblica sicurezza – o comunque
posti a fondamento dell’ordinamento processualpenalistico, ed appare
recessivo rispetto agli ultimi arresti della giurisprudenza di legittimità,
che, invece, sembrano orientarsi per una nozione di “inseguimento” più
rigorosa e meno ampia di quella adottata dal giudice di Grosseto. Invero,
il coinvolgimento dell’Otay nella commissione dei reati non era stato
percepito dagli operanti, ma era stato ricostruito sulla base di

mancando nella specie un immediato e univoco collegamento tra la
commissione del reato e quest’ultimo.
3.

Il Procuratore Generale della Repubblica ha chiesto, con

requisitoria scritta, l’annullamento dell’ordinanza di convalida dell’arresto
impugnata, in accoglimento del ricorso, con rinvio ad altro giudice per
una nuova valutazione, non potendosi ritenere sussistente il presupposto
della quasi flagranza per quanto argomentato dalla difesa.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Il ricorso è fondato, avendo il giudice a quo fatto erronea

applicazione dell’art.382 cod. proc. pen. nel ritenere sussistente nel caso
in esame la cosiddetta quasi flagranza.
2. Secondo quanto accertato in punto di fatto dal suddetto giudice,
una pattuglia dei carabinieri nel tardo pomeriggio (alle ore 17.50 circa)
del 12 dicembre 2014 incontrava nei pressi della stazione ferroviaria di
Grosseto Walide Mejri che perdeva sangue dal collo, il quale chiedeva
aiuto dicendo di essere stato accoltellato da tale Otay, il “compagno di
Veronica di Roselle del Poggio”. Gli operanti, attraverso dette
informazioni, risalivano all’odierno indagato, quale compagno di Melelle
Veronica, abitante presso il residence “Il Poggio” della frazione di Roselle,
e si ricordavano che poco prima il medesimo era stata contattato da un
loro collega per una notifica. Quest’ultimo, dopo vari tentativi di
contattare l’Otay telefonicamente, lo rintracciava alle ore 18,41 (venendo
richiamato dallo stesso indagato) e concordava un incontro col medesimo
presso la stazione nella quale erano accaduti i fatti.
3. Soccorre nel caso di specie il principio di diritto fissato dalla
giurisprudenza di questa Corte, con prevalente orientamento, tra cui da
ultimo la pronuncia di questa sezione, n. 43394 del 3/10/14, Rv. 260527,
secondo il quale “non sussiste la condizione di cosiddetta quasi-flagranza
qualora l’inseguimento dell’indagato da parte della P. G. sia stato iniziato”

2

informazioni rese dalla stessa persona offesa e addirittura dall’indagato,

non già a seguito e a causa della “diretta percezione dei fatti da parte
della polizia giudiziaria”, bensì “per effetto e solo dopo l’acquisizione di
informazioni da parte di terzi” ( Sez. 5, n. 19078 del 31/03/2010 – dep.
19/05/2010, Festa, Rv. 247248 e Sez. 3, 13 luglio 2011, dep. il 27
settembre 2011, n. 34918, P. M. in proc. Z., Rv. 250861; et adde Rv.
228180; Sez. 5, n. 3032 del 21/06/1999, dep. 01/09/1999, Carrozzino,
Rv. 214473; Sez. 4, n. 17619 del 05/02/2004, dep. 16/04/2004, P.M. in

dep. 24/02/2006, P.M. in proc. Morelli, Rv. 233345; Sez. 6, n. 20539 del
20/04/2010, dep. 28/05/2010, P.M. in proc. R., Rv. 247379; Sez. 6, n.
19002 del 03/04/2012 – dep. 17/05/2012, Rotolo, Rv. 252872; e, da
ultimo, Sez. 4, Sentenza n. 15912 del 07/02/2013 Cc. (dep. 05/04/2013)
Rv. 254966).
Non meritano, invece, condivisione gli arresti in senso contrario (Sez. II,
n. 44369, del 10/11/2010, dep. il 16/12/2010, Califano e altro, Rv.
249169 e Sez. 1, n. 23560 del 15/03/2006, dep. 06/07/2006, P.M. in
proc. Dottore, Rv. 235259), su cui ha fondato la propria decisione il
giudice della convalida, secondo i quali sarebbe ravvisabile la quasi
flagranza pur in difetto dei requisiti della diretta percezione della azione
delittuosa (da parte degli ufficiali e agenti della polizia giudiziaria o, nel
caso previsto dall’art. 383 c.p.p., comma 1, da parte del privato) e della
immediatezza dell’inseguimento.
E ciò – come analiticamente esaminato dalla sentenza sopra citata
di cui in questa sede si ripercorrono le argomentazioni – in quanto la
provvisoria privazione del diritto fondamentale della libertà personale, di
iniziativa della polizia giudiziaria e in carenza di alcun provvedimento
motivato della autorità giudiziaria, rappresenta istituto di carattere affatto
eccezionale e in tal senso è espressamente connotato dall’art. 13 Cost.,
comma 3. Le disposizioni della legge ordinaria e, segnatamente, del
codice di rito, che disciplinano l’arresto sono, pertanto, di stretta
interpretazione (art. 14 disp. gen., comma 1, approvate con R.D. 16
marzo 1942 n.262). Ne consegue che la dilatazione della nozione della
quasi flagranza sino a prescindere dalla coessenziale correlazione tra la
percezione diretta del fatto delittuoso (quantomeno attraverso le tracce
sul reo rivelatrici della immediata consumazione) ed il successivo
intervento di privazione della libertà dell’autore del reato, deborda
dall’ambito della interpretazione estensiva dell’art. 382 c.p.p., comma 1.
Attraverso progressivi slittamenti e assimilazioni tra l’ipotesi specifica

3

proc. Sakoumi ed altro, Rv. 228180; Sez. 2, n. 7161 del 18/01/2006,

dell’inseguimento (contemplata nella disposizione) e quelle (più generiche
e, pertanto, differenti) delle ricerche ovvero, addirittura, delle
investigazioni tempestive non si fa che contravvenire al tenore testuale
della norma. La quale parlando di inseguimento fa intendere l’azione del
“correre dietro chi fugge” e collocando detta azione “subito dopo il reato”,
introduce l’ulteriore requisito cronologico di immediatezza, sottolineando
la necessità della correlazione funzionale tra la diretta percezione della

Interpretazione, questa, del tutto coerente con la ratio legis e col
carattere eccezionale dell’attribuzione alla polizia giudiziaria (o al privato)
del potere di privare della libertà una persona, che trova giustificazione
nella altissima probabilità della colpevolezza dell’arrestato, che può
essere suffragata soltanto dalla diretta percezione e constatazione della
condotta delittuosa da parte degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria.
Mentre, in difetto, apprezzamenti e valutazioni, fondati sul piano, del
tutto differente, degli elementi investigativi assunti (ancorché
prontamente e magari anche in loco) dalla polizia giudiziaria, non offrono
analoghe sicurezza e affidabilità di previsione (si veda, in proposito, Sez.
1, n. 6642 dell’11/12/1996, dep. 17703/1997, Rv.207085).
4.

Nell’azione dei militari ( che rintracciavano l’autore dei fatti

attraverso le informazioni offerte dalla persona offesa, i contatti telefonici
col medesimo e addirittura un incontro concordato ) come sopra
analiticamente descritta, non può ravvisarsi, come da ordinanza di
convalida dell’arresto, un’assenza di “soluzione di continuità”, essendosi
in essa inserita un’attività investigativa estranea alla ratio dell’istituto
della quasi flagranza, come appena delineata.
5. L’ordinanza impugnata va, pertanto, annullata senza rinvio.

P. Q. M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata.
Così deciso in Roma il 2 dicembre 2015.

azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo.

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