Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21170 del 15/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21170 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GRIMALDI LINA nato il 23/12/1958 a SARONNO

avverso l’ordinanza del 28/02/2017 del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO
sentita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO
SCARLINI;
lette le conclusioni del PG, GIANLUIGI PRATOLA, che ha chiesto il rigetto del
ricorso.

Data Udienza: 15/03/2018

.P

RITENUTO IN FATTO

1 – Con ordinanza del 28 febbraio 2017, il Tribunale di Busto Arsizio
dichiarava l’inammissibilità dell’atto di appello proposto dal difensore di Lina
Grimaldi avverso la sentenza del locale Giudice di pace perché proposto oltre il
termine consentito.
La sentenza del primo giudice era stata pronunciata il 13 luglio 2015, il
giudice si era riservato il suo deposito nei sessanta giorni, avvenuto però fuori

dalla giurisprudenza di legittimità, da ultimo con la sentenza di questa Corte n.
26751/2016), iniziato con la notifica dell’avviso di deposito della stessa avvenuto
l’11 marzo 2016, era decorso prima della presentazione, del 21 aprile 2016,
dell’atto di appello.
2 — Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, lamentando con
l’unico motivo, la violazione di legge.
Ricordava il difensore che il

dies a quo del termine per impugnare la

sentenza doveva considerarsi il 22 marzo 2016 che corrispondeva al giorno in cui
il difensore stesso aveva ricevuto l’avviso con la raccomandata cosiddetta CAN.
Doveva poi considerarsi che gli artt. 544 e 585 cod. proc. pen. delineano i
criteri generali relativi ai termini per impugnare le sentenze che, non essendo
espressamente derogati da alcuna norma relativa al procedimento per i reati di
competenza del giudice di pace, devono considerarsi a questo applicabili per il
generale rinvio operato dall’art. 2 d. Igs. n. 274/2000, così da determinare, per il
caso concreto, un termine di quarantacinque giorni, piuttosto che di trenta.
3 — Il Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, nella
persona del sostituto Gianluigi Pratola, chiede il rigetto del ricorso in ossequio al
prevalente orientamento della Corte in forza del quale l’art. 32 d. Igs. non
consente al Giudice di pace di assegnarsi un temine maggiore dei 15 giorni
previsti dalla legge per il deposito della sentenza, così che il termine per
impugnare resta sempre, anche nel caso il cui deposito avvenga dopo il
prescritto quindicesimo giorno, di giorni trenta.
L’ultima notifica dell’avviso di deposito della sentenza del Giudice di pace di
Busto Arsizio si era perfezionata il 21 marzo 2016, quando l’agente postale
aveva consegnato il plico al collega di studio del difensore, e così l’appello,
depositato il 21 aprile 2016, era stato tardivamente proposto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1

termine, il 9 febbraio 2016, il termine stesso (di trenta giorni come affermato

Il ricorso proposto nell’interesse di Lina Grimaldi è manifestamente
infondato.
1 – Deve infatti ricordarsi che la prevalente giurisprudenza di questa Corte è
nel senso che la sentenza depositata dal giudice di pace oltre il quindicesimo
giorno deve ritenersi fuori termine anche quando il deposito avviene entro il
maggior termine indicato nel dispositivo (ipotesi che, nel caso concreto, non si
era neppure verificata), con la conseguenza che, in tal caso, il termine per
impugnare è, sempre, quello di giorni trenta, decorrenti, per le parti presenti, dal

presenti e, comunque, nel caso di deposito della sentenza oltre il quindicesimo
giorno, dalla data in cui è avvenuta la notificazione dell’avviso di deposito ai
sensi dell’art. 548, comma secondo, cod. proc. pen. (orientamento da ultimo
ribadito da Sez. 5, n. 26751 del 29/01/2016, Cenacchi, Rv. 267216)
E ciò perchè, contrariamente a quanto sostiene la difesa, la previsione di cui
all’art. 32 d. Igs. n. 274 del 2000 – per la quale, il giudice di pace deve
depositare la motivazione entro quindici giorni qualora non la detti a verbale implica che quest’ultimo non possa assegnarsi un termine maggiore, rivestendo
tale disposizione carattere derogatorio rispetto al dettato dell’art. 544 cod. proc.
pen., così da non potersi applicare il generale rinvio alle norme del codice di rito
previsto dall’art. 2 del sopracitato decreto legislativo.
2 – Quanto al decorso del termine per impugnare la sentenza oggetto del
presente ricorso, ed in particolare alla fissazione del dies a quo del medesimo, si
deve ricordare che l’avviso di deposito della sentenza del Giudice di pace è stato
notificato al difensore a mezzo del servizio postale, con la consegna del plico al
collega di studio ed il successivo invio della raccomandata (la cosiddetta CAN:
comunicazione di avvenuta notifica) prevista quando la consegna avvenga a
persona diversa dal destinatario.
Tale modalità di notifica è disciplinata dall’art. 7, ultimo comma, legge
20/11/1982 n. 890 (aggiunto dall’art. 36 comma 2 quater, d.l. 31/12/2007,
conv. con mod. dalla legge 28/02/2008 n. 31), la normativa speciale a cui fa
rinvio l’art. 170 comma 1, cod. proc. pen., e si perfeziona quando il plico
pervenga al destinatario, seppure sia consegnato a persona diversa dallo stesso,
e non con l’invio o con la ricezione della raccomandata di avvenuta notifica che
è, difatti, priva dell’avviso di ricevimento (e, quindi, priva della possibilità di
verificare la data di effettiva consegna).
Ne deriva, per le stesse affermazioni contenute nel ricorso, che, essendo
stato consegnato il plico contenente l’avviso di deposito della sentenza di prime
cure il 21 marzo 2016, l’atto di appello era tardivo, perché depositato il 21 aprile

2

quindicesimo giorno successivo all’emissione della sentenza e, per le parti non

2016, e che è, pertanto, esente da critica il provvedimento, oggi impugnato, che
ne ha dichiarata la conseguente inammissibilità.
3 – All’inammissibilità del ricorso segue la condanna della ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, versando la medesima in colpa, della
somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 15 marzo 2018.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle

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