Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21161 del 14/02/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21161 Anno 2018
Presidente: PALLA STEFANO
Relatore: MAZZITELLI CATERINA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
LO GIUDICE ANTONIO nato il 19/01/1957 a PALERMO
ZANNI AURELIA nato il 19/07/1956 a TORINO

avverso il decreto del 20/02/2017 della CORTE APPELLO di MILANO
sentita la relazione svolta dal Consigliere CATERINA MAZZITELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG

Data Udienza: 14/02/2018

Letta la requisitoria del Procuratore Generale, nella persona del Sost. Proc. Gen. dott. Simone
Perelli, il quale ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza, emessa in data 20 febbraio 2017, la Corte d’Appello di Milano dichiarava
inammissibile, per difetto dei presupposti di legge, la domanda di revocazione, proposta da Lo

aprile 2014, con cui era stata applicata, nei loro confronti, la misura della Sorveglianza
Speciale nonché la confisca di numerosi beni, consistenti in immobili, autoveicoli, rapporti
bancari, quote societarie e materiali preziosi, decreto successivamente confermato dalla Corte
d’Appello di Torino e divenuto irrevocabile il 30 maggio 2016.
Segnatamente, la Corte territoriale dava atto del fatto che in data 30 giugno 2016 i prevenuti
avevano presentato un’istanza di revoca, presso il Tribunale di Torino, allegando una
successiva quantificazione fiscale, in base alla quale era stata accertata un’evasione, pari ad C
600.000,00, al di sotto della soglia di punibilità; il Tribunale aveva qualificato l’istanza, quale
richiesta di revocazione, ex art. 28 DL n. 159/2011, trasmettendo gli atti alla Corte d’Appello di
Milano in data 4 luglio 2017; il P.G., presso detta Corte, aveva espresso parere contrario, in
data 29/08/2016, dopo di che, alla prima udienza fissata per la discussione del ricorso, era
stata depositata un’ulteriore istanza di revocazione, già in precedenza presentata alla Corte
d’Appello di Torino; la Corte, evidenziata l’inammissibilità dell’istanza, con riferimento alla
misura di prevenzione personale, rimarcava, in relazione alla misura patrimoniale della
confisca, il mancato rispetto della procedura, prevista dagli art. 633 e seg. cod. proc. pen.,
essendo il difensore sprovvisto di procura speciale e trattandosi, comunque, di istanza
infondata nel merito. E ciò in considerazione dell’insussistenza di un elemento di prova,
provvisto del carattere di novità, stante la totale irrilevanza del concordato fiscale raggiunto
con gli uffici finanziari, per un cifra inferiore, pari a soli C 600.000,00, rispetto ai 16 milioni di
euro, contestati originariamente sotto tale titolo. A ciò si aggiungeva la sottolineatura di un
quadro di illeciti penali, molto articolato, assunto a base della pericolosità sociale dei prevenuti,
nel decreto, oggetto di revocazione.
2. Il Lo Giudice e la Zanni hanno proposto ricorso per cassazione, tramite difensore di fiducia,
sostenendo la ricorrenza di un vizio di legittimità, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed
e), in relazione agli art. 630 c.p.p. e 28 D.LGS. n. 159 del 2011. Secondo i ricorrenti, sarebbe
erronea l’interpretazione, incentrata sul richiamo, contenuto nel citato art. 28, anziché all’art.
630, all’art. 633 c.p.p..In altri termini, il testo letterale della disposizione non consentirebbe il
riferimento all’art. 633, indicativo della necessità di una procura speciale, e, in ogni caso, la
sottoscrizione, in calce alla dichiarazione di nomina del difensore di fiducia, equivarrebbe al
conferimento di una procura speciale. Per di più, non si potrebbe assumere l’inesistenza di

Giudice Antonio e Zanni Aurelia, avverso il decreto, emesso dal Tribunale di Torino in data 3

elementi nuovi, visto che il presupposto principale, costituito dalla presunta evasione fiscale,
era venuto meno e, nelle more, i due ricorrenti erano stati assolti, nell’ambito di altro
procedimento penale. Quanto poi alla valutazione della pericolosità sociale, la stessa, secondo i
principi giurisprudenziali, si dovrebbe ritener superata, in caso di riscontro di una successiva
buona condotta, indicativa di risocializzazione.
Con memoria, datata 9 febbraio 2018, l’Agenzia d’Affari Subalpina srl ha evidenziato che
dopo la notifica degli avvisi di accertamento, relativi agli illeciti di evasione fiscale, per l’anno
2011, a seguito di deposito di osservazioni e memorie, l’Agenzia delle Entrate aveva

importi globali e correggendo in tal modo, mediante rettifica, inesattezze ed errori, con
conseguente determinazione di un monte complessivo, al di sotto delle soglie di lecito penale.
Alla luce di tali emergenze il sequestro, disposto dalla Procura della Repubblica, per oltre un
milione di euro di liquidità bancaria e due milioni di euro di patrimonio immobiliare, non
sarebbe stato opportuno e avrebbe richiesto un provvedimento di revoca o riduzione della
misura in questione.
Il P.G., nella requisitoria scritta, ha richiamato le motivazioni della Corte milanese, oltre che
sull’inosservanza delle forme richieste dall’art. 633 e seguenti c.p.p., sulla mancanza di
elementi di prova nuovi di natura decisiva.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso knfondato.
Va ribadita, invero, la declaratoria di inammissibilità, oggetto della pronuncia del giudice
milanese.
L’art. 28 D. Ivo n. 159/11 rimanda alle forme, previste dall’art. 630 c.p.p.; l’articolo in
questione non disciplina le formalità di proposizione della domanda, per cui è condivisibile
quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, circa l’individuazione delle formalità nell’art.
633 c.p.p., implicanti la proposizione della richiesta o personalmente o a mezzo di un
procuratore speciale.
Né sarebbe utile richiamare l’abnormità del provvedimento, in quanto assunto in violazione
del dettato letterale dell’art. 630 richiamato dal citato art. 28, non essendo altrimenti
rinvenibile una soluzione ragionevole.
Ciò, tanto più ove si consideri che, anche in assenza di un richiamo all’art. 633 c.p.p., in ogni
caso varrebbero i principi generali, in materia di impugnazioni, secondo i quali, fatta salva la
disposizione dell’art. 613, attualmente vigente, per il ricorso per cassazione, occorre che la
richiesta provenga dall’interessato, o personalmente o a mezzo di un suo procuratore speciale.
A quest’ultimo proposito non è neppure accettabile la prospettazione difensiva, secondo cui la
sottoscrizione della nomina del difensore sia equiparabile a tutti gli effetti alla sottoscrizione di
una procura speciale, trattandosi, in un caso, di un incarico di assistenza defensionale e,

sensibilmente ridotto il maggior reddito, accertato in sede di PVC, provvedendo a ricalcolare gli

nell’altra ipotesi, di una delega, finalizzata alla rappresentanza, in vista della presentazione
dello specifico atto.
2. Le considerazioni che precedono sono dirimenti, essendo di per sé sole preclusive della
disamina del merito, connesso alla formulazione della richiesta.
In ogni caso, non appare destituita di fondamento la sottolineatura, operata dal giudice del
merito, dell’irrilevanza, ai fini della decisione, di eventuali accordi, raggiunti tra gli interessati e
l’amministrazione finanziaria, in quanto atti comunque ricollegabili a forme di convenzione,
incluse eventuali rettifiche, operate in quest’ultima sede e pur sempre oggetto di dimostrazione

produzioni documentali, peraltro inammissibili nell’ambito del giudizio di legittimità.
3. Alla luce delle considerazioni esposte, si deve dichiarare l’inammissibilità dei ricorsi, con la
condanna di ciascuno di essi al pagamento delle spese del procedimento e di una somma, che
si reputa equo fissare in C 2.000,00, in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di C 2.000,00 a favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14/02/2018

per tabulas, immediatamente indicativa dell’erroneità della contestazione originaria, mediante

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