Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21155 del 18/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21155 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Russo Alfonso, nato a Catanzaro il 12/01/1996

avverso l’ordinanza emessa il 05/10/2017 dal Tribunale di Catanzaro

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.ssa
Olga Mignolo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Vincenzo Cicino, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

Data Udienza: 18/01/2018

RITENUTO IN FATTO
Il difensore di Alfonso Russo ricorre avverso l’ordinanza indicata in epigrafe,
in forza della quale il Tribunale del riesame di Catanzaro ha disposto la
sostituzione della custodia in carcere (applicata a carico dell’odierno ricorrente
con provvedimento del Gip dello stesso Tribunale, datato 11/09/2017) con la
diversa misura dell’obbligo di dimora nel comune di residenza. Il Russo risulta

colpevolezza in ordine a un delitto di furto (commesso in Soverato il 14/10/2014
e relativo ad un’autovettura parcheggiata nei pressi del locale nosocomio).
La difesa lamenta violazione di legge e vizi della motivazione dell’ordinanza
impugnata con riguardo alla ritenuta attualità delle esigenze cautelari di cui
all’art. 274, lett. c), del codice di rito.
Nel ricorso, in particolare, si sottolinea che i fatti risalgono a circa tre anni
prima rispetto all’adozione della misura: ergo, «la distanza temporale tra i fatti e
il momento della decisione cautelare, giacché tendenzialmente dissonante con
l’attualità e l’intensità dell’esigenza cautelare, comporta un rigoroso obbligo di
motivazione» che nel caso di specie non sembra essere stato adempiuto, anche
alla luce della regola generale secondo cui «ad una maggiore distanza temporale
dai fatti corrisponde un affievolimento delle esigenze cautelari». Il difensore
dell’indagato precisa infine che i due concetti di concretezza ed attualità delle
esigenze debbono tenersi ben distinti (afferendo il primo alla capacità a
delinquere del soggetto, il secondo alla ravvisabilità di occasioni prossime di
ricaduta in condotte illecite), senza dunque la possibilità di dare per dimostrato
uno dei requisiti solo sulla base della ipotizzata sussistenza dell’altro.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 La giurisprudenza di questa Corte ha già avuto modo di chiarire che, alla
luce delle innovazioni introdotte con la legge n. 47 del 2015, «per ritenere
“attuale” il pericolo “concreto” di reiterazione del reato, non è più sufficiente
ipotizzare che la persona sottoposta alle indagini/imputata, presentandosene
l’occasione, sicuramente (o con elevato grado di probabilità) continuerà a
delinquere e/o a commettere i gravi reati indicati dall’art. 274, lett. c), cod. proc.
pen., ma è necessario ipotizzare anche la certezza o comunque l’elevata
probabilità che l’occasione del delitto si verificherà. Ne consegue che il giudizio

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sottoposto a parziale restrizione della libertà in quanto gravato da indizi di

prognostico non può più fondarsi sul seguente schema logico: “se si presenta
l’occasione sicuramente, o molto probabilmente, la persona sottoposta alle
indagini reitererà il delitto”, ma dovrà seguire la diversa, seguente impostazione:
“siccome è certo o comunque altamente probabile che si presenterà l’occasione
del delitto, altrettanto certamente o comunque con elevato grado di probabilità
la persona sottoposta alle indagini/imputata tornerà a delinquere”» (Cass., Sez.
III, n. 36919 del 19/05/2015, Sancimino). Più di recente, si è comunque
precisato che «in tema di misure cautelari personali, il pericolo di reiterazione del

concreto – fondato cioè su elementi reali e non ipotetici – ma anche attuale, nel
senso che possa formularsi una prognosi in ordine alla continuità del periculum
libertatis

nella sua dimensione temporale, fondata sia sulla personalità

dell’accusato, desumibile anche dalle modalità del fatto per cui si procede, sia
sull’esame delle sue concrete condizioni di vita. Tale valutazione prognostica non
richiede, tuttavia, la previsione di una “specifica occasione” per delinquere, che
esula dalle facoltà del giudice» (Cass., Sez. V, n. 33004 del 03/05/2017, Cimieri,
Rv 271216; v. anche Cass., Sez. VI, n. 3043/2016 del 27/11/2015, Esposito).
Una parte delle decisioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità ha
ritenuto che vi sia sostanziale sovrapponibilità del testo normativo novellato
rispetto a quello previgente, essendo stato solo esplicitato un contenuto del
giudizio cautelare da intendersi demandato al giudice anche prima della citata
legge n. 47/2015 (v., fra le altre, Cass., Sez. V, n. 43083 del 24/09/2015,
Maio): in ogni caso è pacifico che, già prima della riforma de qua, il riferimento
«al “tempo trascorso dalla commissione del reato” di cui all’art. 292, comma
secondo, lett. c) cod. proc. pen., impone al giudice di motivare sotto il profilo
della valutazione della pericolosità del soggetto in proporzione diretta al tempo
intercorrente tra tale momento e la decisione sulla misura cautelare, giacché ad
una maggiore distanza temporale dai fatti corrisponde un affievolimento delle
esigenze cautelari» (Cass., Sez. U, n. 40538 del 24/09/2009, Lattanzi, Rv
244377). In coerente adesione a detto principio, «all’evidenza, da confermare
con ancora più forte rigore nell’attuale contesto normativo», le pronunce degli
ultimi anni alla legge n. 47/2015 hanno avvertito come l’indagine sulla
sussistenza del requisito dell’attualità assuma «rilievo ancora maggiore, quanto
più ampio sia lo spettro cronologico che divide i fatti contestati dall’ordinanza
cautelare» (Cass., Sez. III, n. 49318 del 27/10/2015, Barone).
1.2 Mutuando i principi appena ricordati nell’analisi della fattispecie oggi in
esame, deve senz’altro prendersi atto che – fra il tempus commissi delicti e
l’applicazione della misura – risultano decorsi poco meno di tre anni: tuttavia, al
fine di illustrare la sussistenza di un perdurante rischio di recidiva specifica il

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reato di cui all’art. 274, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., deve essere non solo

provvedimento impugnato pone correttamente l’accento sia sulla professionalità
dimostrata in occasione della condotta criminosa (il furto fu commesso in pochi
minuti, con attività pianificata mediante una efficace e certamente già
sperimentata divisione dei compiti fra più soggetti) che sulla consolidata attività
del Russo proprio nel settore del furto di autoveicoli. A riguardo, l’indagato
risultava infatti destinatario di altra misura cautelare con riferimento a una
ipotesi di associazione per delinquere, finalizzata appunto a tali reati contro il
patrimonio e costituita con soggetti diversi dai presunti concorrenti nel furto qui

delinquere, tanto più che il suddetto, distinto sodalizio doveva reputarsi operante
dal 2014 ma ancora permanente sino all’attualità.
In ragione di tali rilievi, ed in termini parimenti ineccepibili, il Tribunale ha
pertanto ritenuto di poter attribuire significatività al decorso del tempo solo in
punto di attenuazione e non già di elisione delle esigenze cautelari, reputando
adeguata al caso di specie la misura dell’obbligo di dimora in via sostitutiva di
quella di maggior rigore.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Russo al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/01/2018.

ascrittogli: ciò comportava la necessità di ritenere una sua chiara propensione a

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