Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21140 del 21/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21140 Anno 2018
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: MOROSINI ELISABETTA MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
ANTONINI EMANUELE nato a BRESCIA il 06/03/1968

avverso la sentenza del 17/01/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Elisabetta Maria Morosini;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Marilia
Di Nardo, che ha concluso chiedendo il rigetto;
udito il difensore, avv. Ilaria Conte, che ha concluso riportandosi al ricorso.

Data Udienza: 21/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha confermato,
anche agli effetti civili, la condanna di Antonini Emanuele per essersi sostituito alla
persona di Pelucchi Elena, creando un falso profilo

Facebook a nome di

quest’ultima, mentre ha modificato la decisione riconoscendo il beneficio della non
menzione.
2. Avverso la sentenza ricorre Antonini Emanuele, per il tramite del difensore,

proc. pen., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1 Con il primo deduce vizio di motivazione sul punto della decisione
afferente alla riconducibilità della condotta all’imputato.
Assume il ricorrente che l’unico elemento attraverso cui i giudici di merito
sono risaliti alla sua responsabilità sarebbe costituito dall’indirizzo IP utilizzato per
creare l’account e-mail “pelucchielena@gmail.com “, inserito, per i contatti, nel
profilo Facebook oggetto di addebito.
L’indirizzo IP corrisponde a quello dell’abitazione dell’Antonini.
Secondo il ricorrente si tratterebbe di un dato sfornito di valenza probatoria
alla luce di emergenze di segno opposto, che la Corte di appello non avrebbe
adeguatamente valutato.
Lamenta il ricorrente: che nessun accertamento è stato condotto in sede di
indagine in ordine all’indirizzo IP da cui è stato creato il profilo

Facebook; che

l’imputato non disponeva delle fotografie pubblicate sul falso profilo, in quanto
relative alla vita privata della Pelucchi; che sono state trascurate le dichiarazioni
di Longo Anna Maria relative presenza dell’imputato presso l’abitazione della
testimone nel giorno e nell’ora in cui è stato creato

l’account

“pelucchielena@gmail.com “; che l’inserimento, nel modulo di registrazione della
pagina Facebook, dell’indirizzo e-mail “luca.paola1©alice.it”, di pertinenza di
D’Eliseo Paola e del marito Luca, avrebbe dovuto indirizzare il processo verso quei
soggetti.
2.2 Con il secondo motivo denuncia violazione di legge sulla ricostruzione
giuridica della fattispecie di cui all’art. 494 cod. pen. e in particolare sull’elemento
rappresentato dall’induzione in errore.
Sostiene il ricorrente che nessun pregiudizio sarebbe scaturito dalla creazione
dell’account”pelucchielena@gmail.com “, mai utilizzato per contattare alcuno.
2.3 Con il terzo motivo si duole del difetto di motivazione in ordine alla
quantificazione del danno morale liquidato alla persona offesa.

2

articolando tre motivi, di seguito enunciati, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod.

3. La parte civile, Pelucchi Elena, ha depositato una memoria con la quale
evidenzia profili di inammissibilità dei motivi proposti dall’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile.

1. Il primo motivo è manifestamente infondato.

cassazione, ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, la struttura
giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per
formare un unico complessivo corpo argonnentativo, allorquando i giudici del
gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a
quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico
giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli
elementi di prova posti a fondamento della decisione (tra le altre Sez. 3, n. 44418
del 16/07/2013, Argentieri, Rv. 257595).
Nella specie tutte le problematiche sollevate in tema di responsabilità
dell’imputato avevano trovato congrua e adeguata risposta già nella sentenza di
primo grado, alla quale la decisione di secondo grado va coniugata.
Il profilo Facebook a nome Pelucchi Elena è, incontrovertibilmente, falso.
Si discute su chi lo abbia creato.
I giudici di merito fondano l’affermazione di responsabilità su una rilevante
prova documentale a carico dell’imputato: il falso profilo Facebook indica, per i
contatti, l’indirizzo e-mail “pelucchielena@gmail.com “; questo account gmal7 è
stato aperto il 5 luglio 2011 alle ore 11:43 dall’indirizzo IP dell’abitazione
dell’imputato; solo l’imputato utilizza il computer collegato a tale indirizzo IP,
perché l’unica altra convivente, Sola Enrica, moglie dell’imputato, non ha alcuna
familiarità con l’informatica né con il web.
È questo il collegamento, tracciato nelle sentenze, tra il falso profilo Facebook
e la persona di Antonini.
Tale risultanza è stata considerata decisiva, con motivazione coerente e
lineare, ed è stata avvalorata dal fatto che l’imputato conosceva la Pelucchi e
nutriva nei suoi confronti motivi di risentimento, considerandola d’intralcio ai sui
progetti sentimentali verso D’Eliseo Paola.
A fronte di tanto incombeva sul ricorrente l’onere di fornire una spiegazione
idonea ad allontanare da sé la responsabilità della connessione effettuata dal

3

Va ricordato che secondo il consolidato orientamento della Corte di

proprio

indirizzo

IP

per

la

creazione

dell’account

gmail

“pelucchielena@gmail.com “.
Rilevano i giudici di merito che l’imputato non ha assolto detto onere, poiché
prima ha invocato “l’intervento di fantomatici hackers” (pagina 3 sentenza di
appello) poi, attraverso le dichiarazioni di Longo Anna Maria, ha tentato di crearsi
un alibi, che si è rivelato, però, privo di capacità persuasiva. Su tale ultimo punto
le sentenze impugnate evidenziano che le dichiarazioni della Longo circa lo
svolgimento, da parte dell’imputato, di un’attività di giardinaggio in coincidenza

contrario le precisazioni offerte dalla Longo documentavano che il giorno del fatto
l’imputato era stato libero da impegni lavorativi e quindi si era trovato nella
condizione di poter utilizzare il computer della propria abitazione”

(pagina 3

sentenza di secondo grado, pagine 2 e 3 della sentenza di primo grado).
I giudici di merito indagano anche l’ipotesi alternativa della riferibilità della
condotta illecita a D’Eliseo Paola, titolare

dell’account “luca.paolal@alice.it “,

inserito nel modulo di registrazione della pagina Facebook di Pelucchi Elena, per
giungere ad escludere un ragionevole dubbio al riguardo: la D’Eliseo non aveva
alcun interesse a danneggiare la Pelucchi, anzi era stata proprio la D’Eliseo ad
avvisare la Pelucchi dell’esistenza di una pagina Facebook a suo nome, notizia che
aveva determinato la Pelucchi a sporgere denuncia (pagine 7 e 8 della sentenza
impugnata). Mentre l’imputato conosceva le credenziali di accesso dell’indirizzo di
posta “luca.paolal@alice.it ” e quindi poteva disporne, poiché aveva aiutato la
D’Eliseo a creare quell’account.
In tale situazione non emergono vizi né lacune motivazionali: nessun
elemento di rilievo è stato trascurato; le obiezioni sollevate dall’imputato e ribadite
anche in questa sede non sono state affatto trascurate, anzi risultano
adeguatamente confutate già dalla pronuncia di primo grado.

2. Il secondo motivo è, anch’esso, manifestamente infondato.
Il ricorrente sembra dimenticare che l’addebito che gli viene mosso non
concerne l’account “pelucchielena@gmail.com “, ma l’apertura di una pagina
Facebook a nome di Pelucchi Elena.

Insegna la Corte di cassazione che integra il delitto di sostituzione di persona
(art. 494 cod. pen.) la condotta di colui che crea ed utilizza un “profilo” su social
network, utilizzando abusivamente l’immagine di una persona del tutto
inconsapevole (Sez. 5, n. 25774 del 23/04/2014, Sarlo, Rv. 259303).

3. Il terzo motivo, concernente le statuizioni civili, è inammissibile.
4

con il giorno e l’ora di creazione del falso account gmail erano generiche e che “al

I giudici di merito si sono limitati a pronunciare una sentenza di condanna
generica, assegnando una provvisionale di 2.000,00 euro.
Tale provvedimento non è impugnabile per cassazione, in quanto per sua
natura insuscettibile di passare in giudicato e destinato ad essere travolto
dall’effettiva liquidazione dell’integrale risarcimento (tra le altre Sez. 2, n. 49016
del 06/11/2014, Patricola, Rv. 261054).
Aggiungasi che in tema di provvisionale, la determinazione della somma
assegnata è riservata insindacabilnnente al giudice di merito, che non ha neppure

nell’ambito del danno prevedibile (Sez. 5, n. 12762 del 14/10/2016 dep. 2017,
Ottaviano, Rv. 269704).

4. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma,
ritenuta congrua, di euro 2.000,00, a favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del procedimento e della somma di euro 2.000,00 a favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso il 21/03/2018

l’obbligo di espressa motivazione quando, come nella specie, l’importo rientri

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