Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21137 del 09/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21137 Anno 2018
Presidente: PEZZULLO ROSA
Relatore: AMATORE ROBERTO

Data Udienza: 09/03/2018

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
MILO PASQUALE nato il 19/04/1957 a NAPOLI
PERNA CARMINE nato il 04/02/1951 a NAPOLI

avverso la sentenza del 29/09/2015 della CORTE APPELLO di NAPOLI
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA
MARI NELLI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’annullamento senza rinvio in relazione al ricorso del
MILO per morte dell’imputato e per l’inammissibilità del ricorso del PERNA.
Udito il difensore

P

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli ha confermato integralmente la
sentenza di condanna dei predetti imputati per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen..
Avverso la predetta sentenza ricorrono entrambi gli imputati, per mezzo dei loro rispettivi
difensori, affidando la loro impugnativa a svariate ragioni di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente Milo Pasquale, con il primo motivo, inosservanza e falsa applicazione
della legge penale in relazione all’art. 416 bis cod. pen. e, comunque, vizio argomentativo sul

vita del sodalizio criminale e al mantenimento del rapporto personale di affiliazione.
Si evidenzia la natura apparente della motivazione resa dalla Corte distrettuale in relazione alla
accertata partecipazione del ricorrente al sodalizio criminale, anche dopo la sua carcerazione.
Si osserva da parte della difesa che anche la prova testimoniale assunta ( che, nel punto in
esame, si fondava sulle dichiarazioni dell’ispettore di polizia Roberto ) aveva evidenziato che,
dopo la scarcerazione, il Milo non aveva più partecipato alla vita del sodalizio e che, comunque,
il ricorrente non era stato più controllato e monitorato dalle forze dell’ordine.
Si evidenzia che, pertanto, il ragionamento probatorio utilizzato dalla Corte distrettuale per
ritenere Milo ancora affliliato risposava su una presunzione “iure et de iure”, inaccettabile e
contraria agli insegnamenti forniti dalla giurisprudenza di questa Corte, atteso che, allorquando
sia accertato – come avvenuto nel caso di specie – uno stabile isolamento dell’interessato,
allora occorre fornire positivamente la prova della permanenza di un contributo
oggettivamente apprezzabile alla vita e alla organizzazione del gruppo malavitoso per la
integrazione del reato di cui all’art. 416 bis cod. pen..
1.2 Con un secondo motivo si articola vizio di motivazione in relazione al delitto di cui all’art.
416 bis cod. pen..
Si deduce, in primo luogo, un vizio di travisamento della prova in ordine all’interpretazione del
contenuto e del significato delle intercettazioni telefoniche ove il riferimento alle “damigiane di
vino” era stato inteso come la manifestazione tipica di un linguaggio criptico tra i colloquianti
che nascondeva la reale intenzione di quest’ultimi di riferirsi all’attività di spaccio di sostanze
stupefacenti.
Ciò, peraltro, era smentito dalle stesse prove dichiarative ( ed in tal senso assumeva rilievo la
testimonianza di Roberto e del sovraintendente Giordano ) che invece avevano dimostrato
l’attività di produttore di vino svolta dal Milo stesso.
Si osserva che, al più, poteva ritenersi che il Milo avesse svolto il ruolo di autista personale del
Marfella e non si poteva invece ritenere che fosse emersa una prova appagante per enucleare
un ruolo dinamico e funzionale per la vitalità del clan malavitoso, con ciò dovendosi ritenere
integrata la più lieve figura criminosa disciplinata dall’art. 418 cod. pen..
1.3 Con un terzo motivo si articola vizio di violazione di legge e vizio argomentativo in
relazione all’art. 69 cod. pen. ed al mancato giudizio di plusvalenza delle già concesse
attenuanti generiche in relazione alle contestate aggravanti.
2

medesimo punto, e più in particolare sul profilo dell’effettivo contributo al mantenimento in

Si ritiene che sia stato sottovalutato da parte della Corte di merito il contributo fornito dal
ricorrente in sede di esame dibattimentale, contributo che avrebbe imposto una valutazione di
plusvalenza come richiesto dalla difesa dell’imputato.
Si osserva, inoltre, che il comportamento adottato successivamente alla scarcerazione del Milo
avrebbe dovuto essere valutata in maniera più adeguata, atteso che la stessa richiesta di
applicazione di una misura preventiva personale era stata respinta in ragione del definitivo
allontanamento del ricorrente dalla consorteria malavitosa camorristica.

nell’unico motivo di doglianza, vizio di motivazione e di violazione di legge in relazione alla
concreta determinazione della pena e al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Ante omnia, occorre annullare la sentenza impugnata senza rinvio, limitatamente alla
posizione processuale del Milo, per estinzione del reato per morte del reo.
E’ stato versato in atti il certificato di morte di Milo Pasquale rilasciato dal Comune di
Ferentino, da cui emerge che l’imputato è deceduto il 10.5.2017 ( att. 38, P. 1, Uff. 1 anno
2017 ).
4. Il ricorso del Perna è invece inammissibile in ragione della sua evidente genericità.
4.1 Sul punto, non va dimenticato che tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche
quello, sancito a pena di inammissibilità, della specificità dei motivi : il ricorrente ha non
soltanto l’onere di dedurre le censure su uno o più punti determinati della decisione
impugnata, ma anche quello di indicare gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 591,
comma 1, lett. c) c.p.p. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza impugnata
adeguata, non indica gli elementi che sono alla base della censura formulata, non consentendo
al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi ed esercitare il proprio sindacato.
Orbene, la parte ricorrente avanza doglianze generiche sul profilo della adeguatezza della
pena, richiedendo l’applicazione delle attenuanti generiche con finalità mitigatorie del
trattamento sanzionatorio che ritiene eccessivamente severo, senza tuttavia allegare un
eventuale vizio della motivazione impugnata e senza censurare la mancata valutazione di
eventuali motivi di gravame proposti sul punto in sede di appello.
5. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del solo ricorrente
Perna Carmine al versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare
equo determinare in euro 2000.

P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Milo Pasquale per essere il reato
estinto per morte del reo ; dichiara inammissibile il ricorso di Perna Carmine e lo condanna al

3

2. Con separato ricorso impugna la predetta sentenza anche l’imputato Perna, deducendo,

pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000 a favore della Cassa
delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 9.3.2018

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