Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21132 del 09/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21132 Anno 2018
Presidente: PEZZULLO ROSA
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
RUGGERO ANTONINO nato il 22/05/1950 a MONTEBELLO IONICO

avverso la sentenza del 27/10/2016 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ROBERTO AMATORE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FELICETTA
MARINELLI
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inammissibilita’
Udito il difensore
Il difensore presente si associa al PG e deposita conclusioni e nota spese.

Data Udienza: 09/03/2018

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Brescia ha integralmente confermato la
sentenza di condanna emessa nei confronti del predetto imputato dal Tribunale di Bergamo per
il reato di cui all’art. 612, 2 comma, cod. pen..
Avverso la predetta sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a tre motivi di doglianza.
1.1 Denunzia il ricorrente, con il primo motivo, violazione di legge processuale in relazione

Si evidenzia che, ai sensi del sopra richiamato indice normativo, la dichiarazione di costituzione
di parte civile deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione delle ragioni che
giustificano la domanda, e cioè, detto altrimenti, la causa petendi, elemento, invece mancante
nel caso di specie, non potendo integrarlo il mero e generico richiamo al reato commesso.
1.2 Con un secondo motivo si articola vizio argomentativo in relazione alla valutazione delle
risultanze processuali.
Si deduce che, in realtà, la motivazione impugnata era meramente ripetitiva di quella resa dal
giudice di prima istanza e come quest’ultima fosse insufficiente a spiegare il ragionamento
probatorio posto a sostegno della valutazione di penale responsabilità dell’imputato.
Si evidenzia l’erroneità della valutazione giudiziale di credibilità della persona offesa stante le
numerose contraddizioni ed imprecisione nel racconto dell’accaduto da parte di quest’ultima, e
ciò con particolare riferimento al profilo dell’incipit dell’alterco da cui sarebbe derivata la
contestata minaccia.
Si osserva, ancora, che era inverosimile che la persona offesa e la di lui moglie avessero
sentito lo “scarrellare” di una arma, stante l’evidente confusione di fondo rappresentata, in
quel frangente, dall’abbaiare dei cani che era stata la causa scatenante del litigio.
Si evidenzia, inoltre, che la circostanza che l’imputato fosse armato al momento dei fatti
rappresentava una mera affermazione della sola persona offesa, come tale non confermata
dalle dichiarazioni degli altri testi escussi.
1.3 Con un terzo motivo si articola vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della
pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 Già il primo motivo di doglianza, di carattere strettamente processuale, si connota per la
sua manifesta infondatezza.
2.1.1 Sul punto giova ricordare che la giurisprudenza di questa Corte di legittimità ha
affermato, con voce unanime, che – in tema di costituzione di parte civile – l’indicazione delle
ragioni che giustificano la domanda risarcitoria è funzionale esclusivamente all’individuazione
della pretesa fatta valere in giudizio, non essendo necessaria un’esposizione analitica della
“causa petendi”, sicché per soddisfare i requisiti di cui all’art. 78, lett. d), cod. proc. pen., è
2

all’art. 78, lett. d, cod. proc. pen..

sufficiente il mero richiamo al capo di imputazione descrittivo del fatto, allorquando il nesso tra
il reato contestato e la pretesa risarcitoria azionata risulti con immediatezza
(Sez. 6, Sentenza n. 32705 del 17/04/2014 Ud. (dep. 23/07/2014 ) Rv. 260325 ; cfr. anche
Sez. 5, Sentenza n. 22034 del 07/03/2013 Cc. (dep. 22/05/2013 ) Rv. 256500 ; Sez. 5^,
n. 6910 del 27/04/1999, Mazzella, Rv. 213612; Sez. 2^, n. 13815 del 27/10/1999, Attinà, Rv.
214669 ; Sez. 5^, n. 12599 del 20/08/1998, Alberini, Rv. 211931;
Sez. 5^, n. 684 del 05/02/1999, Pindinello, Rv. 214876)

evidente lesività, specificamente dettagliato nella contestazione di una condotta descritta
nell’aver l’imputato minacciato di un male ingiusto la persona offesa attraverso l’uso di
un’arma, di talché il richiamo dell’atto di costituzione di parte civile ad un capo di imputazione
così formulato rende evidente come l’azione risarcitoria fosse riferita ai danni in esso descritti
in quanto derivanti dalla condotta dell’imputato; e, secondo i principi appena riportati,
adempiva adeguatamente alla funzione giustificatrice del fondamento della pretesa civilistica
nel reato contestato.
2.2 II secondo motivo è invece inammissibile per come formulato.
2.2.1 Sul punto, giova ricordare che, in relazione al contenuto della doglianza, la Corte di
legittimità non può fornire una diversa lettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della
decisione di merito. La valutazione di questi elementi è riservata in via esclusiva al giudice di
merito e non rappresenta vizio di legittimità la semplice prospettazione, da parte del
ricorrente, di una diversa valutazione delle prove acquisite, ritenuta più adeguata. Ciò vale, in
particolar modo, per la valutazione delle prove poste a fondamento della decisione. Ed infatti,
nel momento del controllo della motivazione, la Corte di Cassazione non può stabile se la
decisione del giudice di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né deve
condividerne la giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una “plausibile opinabilità di apprezzamento”.
Ciò in quanto l’art. 606 comma 1, lett. e, cod. proc. pen. non consente al giudice di legittimità
una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è
estraneo al giudizio di cassazione il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai
dati processuali. Piuttosto è consentito solo l’apprezzamento sulla logicità della motivazione,
sulla base della lettura del testo del provvedimento impugnato. Detto altrimenti, l’illogicità
della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e) cod. proc. pen., è quella
evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”, in quanto l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a
riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilità di verifica della
rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
2.2.2 Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente intenda sollecitarla ad una rilettura
del contenuto delle prove dichiarative che, per i limiti sopra segnalati, è inibita al giudice di
3
k.–

Nella situazione in esame, si procede per un reato di minaccia aggravata di immediata ed

legittimità, proponendo, pertanto, censure che si pongono ben al di là del perimetro di
cognizione di questo giudizio di legittimità.
Né è possibile rintracciare nel tessuto argomentativo della motivazione impugnata aporie
ovvero criticità logiche. Ed invero, la valutazione giudiziale di penale responsabilità
dell’imputato riposa su un ragionamento probatorio scevro, come detto, da manifeste illogicità
ovvero contraddizioni, atteso che la stessa si è formata sulla corretta valutazione
dell’attendibilità del dichiarato della persona offesa, per come confermato dalle dichiarazioni

chiare ed attendibili dichiarazioni del teste Pagliari, anche l’ulteriore circostanza del possesso,
al momento dei fatti, da parte dell’imputato di un’arma, non residuando, pertanto, dubbi sulla
integrazione anche della contestata aggravante.
2.3 Il terzo motivo è inammissibile in ragione della sua genericità
2.3.1 Orbene, tra i requisiti del ricorso per cassazione vi è anche quello, sancito a pena di
inammissibilità, della specificità dei motivi : il ricorrente ha non soltanto l’onere di dedurre le
censure su uno o più punti determinati della decisione impugnata, ma anche quello di indicare
gli elementi che sono alla base delle sue lagnanze.
Nel caso di specie il ricorso è inammissibile perché privo dei requisiti prescritti dall’art. 591,
comma 1, lett. c) cod. proc. pen. in quanto, a fronte di una motivazione della sentenza
impugnata ampia e logicamente corretta, non indica gli elementi che sono alla base della
censura formulata, non consentendo al giudice dell’impugnazione di individuare i rilievi mossi
ed esercitare il proprio sindacato.
3. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
versamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare
in euro 2000.
4. In base al principio della soccombenza, l’imputato deve essere condannato, alla rifusione
delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
procedimento e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende, nonché
alla rifusione delle spese di parte civile che liquida in euro 2.000,00, oltre accessori.
Così deciso in Roma, il 9.3.2018

anche degli altri testi escussi ; così come del resto è rimasta confermata, per mezzo delle

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