Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21129 del 01/03/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21129 Anno 2018
Presidente: FUMO MAURIZIO
Relatore: SABEONE GERARDO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
CALESTANI RENZO nato il 13/03/1943 a VIMODRONE

avverso la sentenza del 10/02/2017 della CORTE APPELLO di BRESCIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere GERARDO SABEONE
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore FERDINANDO
LIGNOLA
che ha concluso per

Il Proc. Gen. conclude per l’inamnnissibilita’
Udito il difensore Mssimo Chinelli
il difensore presente si riporta ai motivi e chiede l’accoglimento del ricorso

Data Udienza: 01/03/2018

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di Appello di Brescia, con sentenza del 10 febbraio 2017, ha
confermato, per quanto d’interesse del presente giudizio, la sentenza del
Tribunale di Cremona del 7 luglio 2015, che aveva condannato Calestani Renzo
per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione, quale amministratore

La distrazione si era concretizzata, dopo riqualificazione già operata dal
Giudice di primo grado della originaria contestazione di bancarotta preferenziale,
nel pagamento della somma di euro 21.000,00 a favore di Marino Mario a mezzo
di quattro assegni bancari emessi il medesimo giorno del fallimento quale
corrispettivo non di un servizio reso alla società ma di un debito del Calestani di
cui il Marino era stato consulente personale nelle trattative che avevano condotto
all’acquisizione della società.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a
mezzo del proprio difensore, lamentando quale unico motivo una violazione di
legge e in particolare dell’articolo 521 cod.proc.pen., poiché dall’originaria
imputazione di bancarotta preferenziale si era affermata la penale responsabilità
dell’imputato per il più grave reato di bancarotta per distrazione, senza
possibilità di esercitare il proprio diritto alla difesa in violazione, altresì, della
disposizione di cui all’articolo 24 della Norma Fondamentale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è da rigettare.
2.

Da tempo nella giurisprudenza di legittimità è stato affermato il

principio secondo cui, in tema di correlazione fra imputazione contestata e
sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale,
nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume la
ipotesi astratta prevista dalla legge, sì da pervenire ad un’incertezza sull’oggetto
dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne
consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto
non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra
contestazione e oggetto della statuizione di sentenza perché, vertendosi in
materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando
l’imputato, attraverso l'”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione
concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione (v. Cass. Sez. Un. 19
1

unico della s.r.l. Galligani Impianti, dichiarata fallita il 25 maggio 2009.

giugno 1996 n. 16, Sez. Un. 15 luglio 2010 n. 36551 e Sez. Un. 26 giugno 2015
n. 31617). Si sottolinea, al riguardo, come l’obbligo di correlazione tra accusa e
sentenza non può ritenersi violato da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa
originaria, ma soltanto nel caso in cui la modificazione dell’imputazione
pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato: la nozione strutturale di “fatto”
contenuta nelle disposizioni in questione, va coniugata, infatti, con quella
funzionale, fondata sull’esigenza di reprimere solo le effettive lesioni del diritto di

(oggetto di un potere del pubblico ministero) e decisione giurisdizionale (oggetto
del potere del Giudice) risponde all’esigenza di evitare che l’imputato sia
condannato per un fatto, inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale
non abbia potuto difendersi (v. Cass. Sez. H 27 marzo 2008 n. 16817 e da
ultimo Cass. Sez. V 15 settembre 2016 n. 21226).
Nel solco, poi, tracciato dalla sentenza “Drassich” della CEDU si sono
inseriti alcuni recenti arresti in cui si ribadisce che una lettura costituzionalmente
orientata dell’articolo 521 cod.proc.pen. impone di ritenere che il potere di
attribuire alla condotta addebitata all’imputato una nuova e diversa
qualificazione giuridica non possa essere esercitato “a sorpresa” ma solo a
condizione che vi sia stata una preventiva promozione, ad opera del Giudice, del
contraddittorio fra le parti sulla “quaestio iuris” relativa; e ciò anche nel caso in
cui la nuova e diversa qualificazione risulti più favorevole per il giudicabile,
atteso che la difesa ben può diversamente atteggiarsi (quanto alle opzioni
strategiche) e modularsi (sul piano tattico) in rapporto alla differente
qualificazione giuridica della condotta, rispetto alla quale, oltre tutto, le
emergenze processuali assumono, a loro volta, diversa e nuova rilevanza,
dovendo la garanzia del contraddittorio in ordine alle questioni inerenti alla
diversa qualificazione giuridica del fatto essere concretamente assicurata
all’imputato sin dalla fase di merito in cui si verifica la modifica dell’imputazione
(v. Cass. Sez. VI 19 febbraio 2010 n. 20500 e Cass. Sez. I 29 aprile 2011 n.
18590).
Orbene, non ritiene questo Collegio che i principi affermati dalla
giurisprudenza che si richiama alla sentenza “Drassich” si pongano in contrasto
con l’orientamento in precedenza consolidatosi in sede di legittimità, che esclude
la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza quando nel capo
di imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a porre
l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in sentenza, da
intendersi sempre come accadimento storico oggetto di qualificazione giuridica
2

difesa, posto che il principio di necessaria correlazione tra accusa contestata

da parte della legge penale, che spetta al Giudice individuare nei suoi esatti
contorni (v. Cass. Sez. V 6 giugno 2014 n. 48677). Fermo restando, dunque,
l’incontestabile potere del Giudice di attribuire in sentenza al fatto emergente
dalle risultanze processuali una qualificazione giuridica diversa da quella
enunciata nell’imputazione, stante la limpida formulazione dell’articolo 521
cod.proc.pen., non potendo nessuna interpretazione costituzionalmente
adeguata di tale disposizione normativa tradursi in una interpretazione

contraddittorio, che deve essere assicurato all’imputato anche in ordine alla
diversa definizione giuridica del fatto operata dal Giudice nell’esercizio del
potere-dovere che gli è proprio, conformemente alla previsione dell’articolo 111
Cost., comma 2, secondo la lettura integrata alla luce dell’articolo 6, par. 3, lett.
a) e b) della Convenzione Europea dei diritti umani, come interpretato dalla
CEDU, fatta propria dalla più recente giurisprudenza, impone esclusivamente che
tale diversa qualificazione giuridica non avvenga “a sorpresa”, determinando
conseguenze negative per l’imputato (e, quindi, fondando un suo concreto
interesse ad ottenerne la rimozione), che, per la prima volta, e senza mai avere
avuto la possibilità di interloquire sul punto, si trovi di fronte ad un fatto storico
radicalmente trasformato in sentenza nei suoi elementi essenziali, al punto tale,
cioè, da imporre una diversa e nuova definizione giuridica del fatto medesimo,
rispetto a quanto contestato, in punto di fatto e di diritto, nell’imputazione, di cui
rappresenta uno sviluppo inaspettato.
Condizione che non si verifica in due occasioni.
Da un lato, quando l’imputato o il suo difensore abbia avuto nella fase di
merito la possibilità comunque di interloquire in ordine al contenuto
dell’imputazione, anche attraverso l’ordinario rimedio dell’impugnazione avverso
la sentenza di primo grado in cui viene operata la diversa qualificazione giuridica
del fatto.
Dall’altro, quando la diversa qualificazione giuridica appare come uno dei
possibili (si potrebbe dire “non sorprendenti”) epiloghi decisori del giudizio (di
merito o di legittimità), stante la riconducibilità del fatto storico, di cui è stata
dimostrata la sussistenza all’esito del processo e rispetto al quale è stato
consentito all’imputato o al suo difensore l’effettivo esercizio del diritto di difesa,
ad una limitatissima gamma di previsioni normative alternative, per cui
l’eventuale esclusione dell’una comporta, inevitabilmente, l’applicazione
dell’altra, non corrispondendo, in tale ipotesi, alla diversa qualificazione giuridica,
una sostanziale immutazione del fatto, che, integro nei suoi elementi essenziali,
3

abrogatrice della disposizione medesima, il rispetto della regola del

può essere diversamente qualificato secondo uno sviluppo interpretativo
assolutamente prevedibile.
Orbene, nella specie nessuna delle due indicate condizioni sembra essersi
verificata in quanto, da un lato, l’imputato ha avuto la concreta possibilità di
difendersi sulla diversa qualificazione operata dal giudicante di primo grado non
determinandosi neppure, secondo la citata sentenza Drassich, la garanzia di un
doppio grado di giurisdizione di merito sul diverso profilo riqualificato.

essere “sorprendente” posta l’originaria sua indicazione all’atto dell’instaurazione
del giudizio e sulla base del medesimo fatto storico.
3. Con riferimento, poi, all’avvenuta riqualificazione come bancarotta per
distrazione piuttosto che preferenziale del pagamento effettuato in favore del
Marino, giova ribadire come ai fini della configurabilità del reato di bancarotta
preferenziale sia necessaria la violazione della “par condicio creditorum” nella
procedura fallimentare (elemento oggettivo) e il dolo specifico costituito dalla
volontà di recare un vantaggio al creditore soddisfatto, con l’accettazione della
eventualità di un danno per gli altri (elemento soggettivo), con la conseguenza
che la condotta illecita non consiste nell’indebito depauperamento del patrimonio
del debitore ma nell’alterazione dell’ordine, stabilito dalla legge, di soddisfazione
dei creditori (v. Cass. Sez. V 12 marzo 2014 n. 15712).
Nella specie, con accertamento in fatto, incensurabile in sede di
legittimità, la Corte territoriale ha affermato come, a mezzo dell’avvenuto
pagamento con somme societarie di un debito personale dell’amministratore
unico della società poi decotta e nell’esclusivo interesse dell’amministratore
stesso si fosse realizzato non un pagamento in violazione della par condicio
creditorum e a vantaggio del creditore soddisfatto bensì un indebito sviamento,
dalle finalità societarie, di una somma di denaro e nell’esclusivo interesse
dell’amministratore di diritto.
4.

Il ricorso deve essere, in conclusione, rigettato e il ricorrente

condannato al pagamento delle spese processuali.
P.T.M.
La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
Così deciso il 1 marzo 2018.
Il Cons jliere estensore

A ciò si aggiunga come la diversa qualificazione non risulta neppure

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