Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21119 del 29/01/2018


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 21119 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: CALASELICE BARBARA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D’ANNA ROSARIO nato a Como il 18/07/1970

avverso la sentenza del 15/07/2016 della Corte di appello di Milano

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Barbara Calaselice;
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore generale,
Stefano Tocci, che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.

Data Udienza: 29/01/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 15 luglio 2016 la Corte di appello di Milano ha
confermato la condanna del Tribunale di Como, alla pena di mesi sei di
reclusione, emessa nei confronti di Rosario D’Anna in relazione al delitto di
lesioni personali, con la concessione delle attenuanti generiche e dei benefici

confermata aveva, inoltre, condannato l’imputato al risarcimento dei danni nei
confronti della parte civile, con provvisionale.

2.

Avverso l’indicata sentenza ha proposto tempestivo ricorso per

cassazione l’imputato, tramite il difensore di fiducia, avv. Fabrizio Natalizi, con il
quale si deducono quattro vizi.
2.1. Con il primo motivo si lamenta la mancata assunzione di prova
decisiva, con illogicità della motivazione sul punto. Si assume che era stato
chiesto, in primo grado ed ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen., alla Corte
territoriale, un esperimento giudiziale, prova decisiva in quanto relativa
all’accertamento della differenza di altezza tra parte civile ed imputato. Detta
attività era diretta a confortare l’opposta versione resa dall’imputato circa le
modalità della lesione. La persona offesa Pensabene, infatti, descrive la testata
ricevuta dall’imputato, in piedi dinanzi a lui con la fronte quasi all’altezza del
proprio naso; di qui la decisività dell’accertamento a fronte della versione
difensiva che sostiene che la parte civile, dopo aver stretto al collo l’imputato, ne
aveva provocato lo svenimento e lo aveva di nuovo aggredito (come da sentenza
del giudice di pace che attesta tale dinamica), chinandosi tanto da andare ad
urtare con il naso sulla testa del D’Anna.
2.2. Con il secondo motivo si censura la mancata assunzione di prova
decisiva rappresentata dall’acquisizione della sentenza irrevocabile del giudice di
pace di Como, del 3 dicembre 2013, di condanna per lesioni volontarie del
Pensabene nei confronti dell’imputato, non acquisita dalla Corte territoriale
perché priva dell’attestazione di irrevocabilità della cancelleria, pur se, al
momento del deposito alla Corte territoriale, il provvedimento non fosse più
impugnabile.
2.3. Con il terzo motivo si sottolinea l’inattendibilità della deposizione del
teste Fikaj, dipendente della parte lesa alla data delle sommarie informazioni
rese alla polizia giudiziaria e suo creditore per spettanze retributive. Secondo il

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della sospensione condizionale della pena e della non menzione. La pronuncia

ricorrente la versione della testimonianza contrasta con le altre deposizioni
testimoniali (cfr. folii 5 e 6 del ricorso) e con le dichiarazioni sia dell’imputato,
rese nel corso dell’esame, che della parte lesa contenute nella querela. Anzi la
circostanza, riportata dalla Corte, che valorizza quanto emerso nelle indagini
come dato non modificato dal teste nella deposizione resa al dibattimento,
attesterebbe proprio che il predetto (ancora dipendente alla data della
testimonianza) ha riportato testualmente anche frasi della querela e delle proprie

quanto esposto dalla stessa parte lesa, in quanto evidentemente lette poco
prima negli atti e non affidate al suo ricordo.
2.4. Con il quarto motivo si deduce la manifesta illogicità della
motivazione circa il diniego dell’attenuante della provocazione. Si contesta che la
Corte d’appello ha negato l’attenuante sulla base della condotta dell’imputato
che avrebbe rifiutato il saldo dei lavori del subappaltatore al Pensabene. Ciò non
corrisponderebbe al vero posto che non vi era questione sul pagamento ma sul

quantum, da determinarsi a corpo secondo il D’Anna, forfettariamente come
previsto da contratto (non risultando reperito quello già firmato) e in economia
secondo li Pensabene (compenso orario per ore lavorate). Per il ricorrente,
quindi, non vi era alcuna controversia civilistica e, comunque, potrebbe
sussistere l’attenuante anche a fronte di un primo comportamento ingiusto, ma
seguito da reazione del tutto sproporzionata. Inoltre la difesa contesta la
motivazione della Corte territoriale ove attribuisce rilievo alla mancanza di
reazione immediata, non risultando necessaria tale immediatezza, ben potendo
lo stato d’ira essere stato determinato da un fatto ingiusto altrui avvenuto, come
nella specie, pochi minuti prima.

CONSIDERAZIONI IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

2. Con riferimento al primo motivo si osserva che non risulta la decisività
della prova richiesta e non ammessa dai giudici di merito. Sul punto, infatti, la
Corte territoriale aveva rilevato, con motivazione esauriente, la natura non
decisiva dell’accertamento richiesto, quanto alla differenza di altezza tra
imputato e parte lesa, come del resto già rilevato dal Tribunale in primo grado,
con adeguata e logica motivazione, nel rigettare la richiesta ai sensi dell’art. 507
cod. proc. pen. Si è, infatti, rilevato che non era emerso dalla istruttoria svolta

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sommarie informazioni testimoniali, sbagliando la contestualizzazione rispetto a

con certezza che i due si trovassero in posizione eretta (cfr. pag. 4 e 7 della
sentenza di appello) e che, comunque, la differenza eventuale di altezza ben
avrebbe potuto essere annullata dalla postura del soggetto più alto o dallo sforzo
di quello più basso tra i due. Sicché, escluso il carattere decisivo della prova che
si reputa omessa, l’esito del giudizio di responsabilità cui sono conformemente
pervenuti i giudici di merito non può essere invalidato da una prospettazione
alternativa, che si risolva in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a

parametri di ricostruzione, da preferirsi a quelli adottati dai giudici di merito,
perché illustrati come maggiormente plausibili, o perché assertivamente dotati di
una migliore capacità probatoria (Sez. 6, n. 456 del 21/09/2012, dep. 2013,
Cena, Rv. 254226; Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n.
42369 del 16/11/2006, Rv. 235507).
2.1. Con riferimento al secondo motivo si rileva, in relazione alla mancata
acquisizione della sentenza del giudice di pace di Como, del 3 dicembre 2013, di
condanna per lesioni volontarie del Pensabene nei confronti dell’imputato (non
acquisita dalla Corte territoriale perché priva dell’attestazione di irrevocabilità),
che non risulta illustrato il carattere decisivo della prova documentale invocata.
Anzi sul punto il ricorso appare generico e non specifico quanto all’aspetto,
necessario ai fini di valutare il vizio lamentato, della rilevanza della descritta
pronuncia ai fini di una diversa decisione, più favorevole all’imputato.
2.2. Con riferimento al terzo motivo si invoca un’inammissibile rilettura della
deposizione del teste Fikaj, quanto al giudizio di attendibilità delle dichiarazioni
del teste, non consentita in sede di legittimità. Va in merito richiamato
l’orientamento ermeneutico secondo il quale, in tema di valutazione della prova
dichiarativa, l’attendibilità del dichiarante è questione di fatto, che non può
essere rivalutata in sede di legittimità, salvo che il giudice sia incorso in
manifeste contraddizioni (Sez. 2, n. 7667 del 29/01/2015, Cammarota, Rv.
262575 in tema di valutazione dell’attendibilità della parte lesa) che non si
rinvengono nella specie. Inoltre la Corte territoriale, ha rilevato correttamente
l’infondatezza delle critiche svolte con il gravame, rispetto alle dichiarazioni poste
dal primo giudice a base del giudizio di attendibilità del teste, in ordine a tale
punto offrendo una motivazione adeguata e non illogica, dunque non censurabile
sotto il profilo prospettato.
2.3. Da ultimo, con riferimento al quarto motivo, si osserva che trattandosi
di motivo di appello inammissibile, rispetto al quale, infatti, la Corte territoriale
evidenzia che lo stesso era stato soltanto allegato e non sviluppato nemmeno

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fondamento della decisione, ovvero nell’autonoma assunzione di diversi

nelle conclusioni (cfr. folio 9 della sentenza impugnata), lo stesso non è
ammissibile in sede di legittimità. Si osserva in merito, conformemente
all’indirizzo di questa Corte già espresso e che va condiviso (Sez. 2, n. 29707 del
08/03/2017, Galdi, Rv. 270316) che non sono deducibili con il ricorso per
cassazione questioni che non abbiano costituito oggetto di ammissibili motivi di
gravame, dovendosi evitare il rischio che in sede di legittimità sia annullato il
provvedimento impugnato con riferimento ad un punto della decisione rispetto al

sottratto alla cognizione del giudice di appello.

3. Al rigetto del ricorso segue la condanna dell’imputato al pagamento delle
spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.

Così deciso il 29 gennaio 2018

quale si configura a priori un inevitabile difetto di motivazione per essere stato

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