Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21103 del 13/04/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21103 Anno 2018
Presidente: BONITO FRANCESCO MARIA SILVIO
Relatore: APRILE STEFANO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI
CATANZARO
nel procedimento a carico di:
LONGO MASSIMO nato il 20/04/1966 a GENOVA

avverso l’ordinanza del 05/10/2017 del TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO
sentita la relazione svolta dal Consigliere STEFANO APRILE;
sentite le conclusioni del PG MARIA GIUSEPPINA FODARONI che conclude per
l’annullamento con rinvio
Udito il difensore avvocato RENDACE NICOLA del foro di COSENZA in difesa di
Longo Massimo che espone gli argomenti difensivi di cui chiede l’accoglimento,
con rigetto del ricorso del PM.

Data Udienza: 13/04/2018

RITENUTO IN FATTO

1. Con il provvedimento impugnato, il Tribunale di Catanzaro, in funzione di
tribunale del riesame, giudicando in sede di rinvio a seguito dell’annullamento —
disposto con sentenza della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione in
data 21 giugno 2017 n. 43.639 — della precedente ordinanza pronunciata in data
23 febbraio 2017, ha annullato l’ordinanza emessa dal Giudice per le indagini

stata applicata a Massimo LONGO la misura della custodia cautelare in carcere in
relazione al reato di partecipazione ad una associazione mafiosa facente capo a
Franco Muto (art. 416-bis cod. pen.).
1.1. È opportuno ricordare che, con ordinanza del 23 febbraio 2017, il
Tribunale di Catanzaro aveva confermato l’ordinanza del Giudice per le indagini
preliminari del medesimo Tribunale che aveva applicato a Massimo LONGO la
misura cautelare della custodia in carcere per il delitto previsto dall’art. 416-bis
cod. pen..
LONGO era accusato di essere un partecipe del sodalizio mafioso capeggiato
da Franco Muto con il ruolo di assicurare al clan flussi di denaro provenienti dalle
attività economiche proprie a da quelle del suo datore di lavoro Giorgio Ottavio
Barbieri, una discoteca, una sala giochi ed un albergo, potendo, a sua volta,
contare sull’intervento degli uomini del clan per le problematiche che si
presentavano nello svolgimento delle medesime attività economiche.
Il Tribunale del riesame aveva confermato l’ordinanza cautelare in base alle
seguenti considerazioni: – l’esistenza e l’operatività del gruppo malavitoso
capeggiato da Franco Muto era attestata da sentenze già divenute definitive in cui
si era accertato che, fino al 2012, la consorteria era operativa, con metodo
mafioso, prima nel commercio di prodotti ittici e, poi, anche nei servizi di
lavanderia e di fornitura di personale di sicurezza per i locali notturni; – in altro
procedimento, BARBIERI era stato sottoposto a fermo con l’accusa di essere
inserito nella cosca Piromalli, operante in Gioia Tauro, perché, attivo con le sue
aziende nel settore degli appalti pubblici, si era posto a disposizione del clan per
realizzare condotte di turbativa d’asta, ottenendo in corrispettivo una percentuale
dei appalti così aggiudicati; agendo in collaborazione con Giorgio Morabito,
esponente di rilievo del clan; – i gravi indizi di reato a suo carico, nel presente
procedimento, erano stati raccolti intercettando le conversazioni pervenute sulla
sua utenza e sull’utenza di Massimo Longo, stretto collaboratore di Barbieri, e
monitorando i conseguenti loro incontri con personaggi di interesse investigativo,
non ultimo quel Franco Muto che era indicato come il referente della cosca
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preliminari del Tribunale di Catanzaro in data 9 febbraio 2017 con la quale era

omonima; tali elementi avevano tratto conferma nelle dichiarazioni di un
collaboratore di giustizia e negli accertamenti contabili esperiti dalla Guardia di
Finanza in ordine alla rimesse di denaro dalle aziende di BARBIERI ai Muto; – era
così emerso che a BARBIERI – che, con le proprie società, si era aggiudicato
l’appalto in Cosenza per la riqualificazione di un centro culturale sito in piazza

– erano pervenute, tramite Longo, delle richieste estorsive ad opera di alcuni
componenti del clan cosentino che controllava quel territorio; per sventarle o
comunque per ridurne l’importo, Longo e BARBIERI si erano rivolti prima a Giorgio
Morabito (già sopra citato in relazione al diverso procedimento) e poi a Franco
Muto (nella cui cosca BARBIERI era accusato di essere inserito); – da una serie di
conversazioni telefoniche captate nei primi mesi del 2016 si era dedotto che
BARBIERI (che ne era uno dei diretti interlocutori) era riuscito a ridurre le pretese
dei cosentini (e ad individuare con precisione il clan al quale corrispondere le
somme), e che ciò era avvenuto grazie all’intervento proprio di Morabito e di Muto
sugli esponenti di quella consorteria; – il collaboratore di giustizia Adolfo Foggetti
(già inserito nel clan malavitoso cosentino) aveva riferito come, in un incontro fra
vari esponenti del gruppo, uno di costoro avesse proposto di compiere un attentato
contro il cantiere di piazza Bilotti (assegnato alle imprese di BARBIERI), ma un
altro componente del clan gli avesse ricordato che non si poteva agire contro
l’impresa appaltatrice perché amica di Muto, aggiungendo poi che la persona a cui
rivolgersi per ogni questione riguardante tale cantiere era tale Longo (Massimo
Longo, stretto collaboratore di BARBIERI); – tale quadro complessivo mostrava, a
giudizio del Tribunale, come Barbieri, e il suo alter ego LONGO, fosse un
«imprenditore colluso» con la consorteria dei Muto, potendo egli imporsi come
imprenditore, grazie ai Muto, in un certo territorio, fornendo, a sua volta, al
sodalizio criminale, risorse ed utilità; di tale accordo fra il clan e BARBIERI era
stato intermediario e garante Massimo Longo che, stretto collaboratore di
BARBIERI, era anche in contatto con gli esponenti dei vari clan, con Giorgio
Morabito, con Franco Muto (ma anche con il figlio, Luigi Muto) e con gli esponenti
della cosca cosentina; – a proposito delle utilità che si scambiavano il clan Muto e
BARBIERI, il Tribunale menzionava le forniture di pesce per l’albergo di BARBIERI
a prezzo di assoluto favore ed il versamento da parte di questi, tramite Longo, ai
Muto di parte dei proventi della sala giochi.
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Bilotti, per l’edificazione di un annesso parcheggio e per la sua successiva gestione

1.2. Con sentenza della Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione in
data 21 giugno 2017 è stato accolto il ricorso proposto nell’interesse di Massimo
LONGO avverso l’ordinanza del tribunale del riesame del 23 febbraio 2017.
La Corte di legittimità ha rilevato l’insufficienza della motivazione circa la
«gravità del quadro indiziario relativo alla contestazione mossa in rubrica, la

Muto, attiva nella fascia ionica della provincia di Cosenza».
Nel giudizio di legittimità si è evidenziato che «le emergenze, soprattutto
rivenienti dalle conversazioni intercettate, dimostrino come il ricorrente Barbieri
sia un imprenditore che era stato sottoposto a richieste estorsive sia da parte degli
uomini del clan di Cosenza, non meglio identificato (se non con l’indicazione di
alcuni suoi appartenenti, presumibilmente non di vertice), sia da parte dello stesso
clan Muto, del quale pure è accusato di essere uno dei partecipi. Le prime richieste,
provenienti dai cosentini, sono certamente di carattere estorsivo, perché volte ad
evitare “problemi” al cantiere di via Bilotti in Cosenza, le seconde, provenienti da
Luigi Muto (figlio del capo clan Franco ed a sua volta dirigente del sodalizio) sono
di incerto titolo, non essendo chiaro se costituissero il contributo del Barbieri al
clan o il corrispettivo versato al medesimo per il suo intervento presso i cosentini
o fossero derivate da pretese anch’esse di carattere estorsivo».
In proposito, la Corte di legittimità ha indicato le carenze motivazionali,
precisando che sulle indicate richieste estorsive «l’ordinanza impugnata tace, non
consentendo così di chiarire quale connotazione avessero i rapporti economici
certamente intercorrenti, con l’intermediazione di Massimo LONGO (uomo di
fiducia del Barbieri) fra i Muto ed il Barbieri stesso. E si tratta di circostanza
essenziale perché, per altro verso, quando l’ordinanza ripercorre la vicenda della
richiesta estorsiva dei cosentini al Barbieri per il cantiere di via Bilotti non dimostra
affatto la pur dedotta appartenenza del BARBIERI a quel sodalizio criminoso, come
il Tribunale invece afferma, posto che: – quando la richiesta dei cosentini era
pervenuta a Massimo LONGO e questi ne aveva informato Barbieri, i due avevano
deciso di chiedere a Giorgio Morabito (un affiliato della cosca Piromalli, come si
afferma nel diverso processo in cui anche a Barbieri viene mossa l’identica accusa),
e non ai Muto, di intervenire; – solo quando Barberi e LONGO avevano ottenuto
l’interessamento di Morabito, era stato organizzato e si era svolto l’incontro anche
con Franco Muto, nel corso del quale questi aveva assicurato il suo intervento con
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diretta partecipazione del medesimo alla consorteria mafiosa capeggiata da Franco

i cosentini, per ridurre la somma che Barbieri avrebbe comunque dovuto
corrispondere come “pizzo” per il cantiere di via Bilotti; – nel frattempo Barbieri,
tramite LONGO, aveva continuato a versare ai Muto (su richiesta di Luigi, figlio di
Franco) delle somme, per ragioni che, come si è detto, non sono state
sufficientemente chiarite. Ed allora non appare affatto chiaro quale fosse il

e, solo grazie a tale sua appartenenza, avesse ottenuto un trattamento di favore
anche dai Muto; se fosse colluso con il clan Muto e versasse al medesimo del
denaro in cambio di illeciti vantaggi (non costituti solo dalla “protezione” del
cantiere di via Bilotti che costituiva il corrispettivo del “pizzo”) da identificarsi con
maggiore accuratezza, posto che, ad esempio, non erano stati evidenziati elementi
da cui dovesse trarsi la convinzione e la prova che le imprese del Barbieri si fossero
aggiudicate gli appalti che avevano vinto grazie ai “buoni uffici” del sodalizio
criminoso dei Muto».
La Corte di legittimità ha concluso che doveva essere chiarito se Barbieri, e
per esso LONGO, fosse una vittima delle estorsioni o piuttosto un «imprenditore
colluso», evidenziando che «Barbieri, dopo avere ricevuto le richieste estorsive,
non si era affatto rivolto alle forze dell’ordine per contrastarle, ma aveva contattato
gli uomini dei clan Piromalli e Muto, attenendone così almeno la riduzione;
remunerando, poi, per quanto è dato cogliere allo stato tale intervento con le
rimesse intermediate dal LONGO. Così determinando reciproci vantaggi. Ciò però
non chiarisce a quale titolo di reato debba ascriversi al Barbieri la complessiva
condotta».
In conclusione, la prima verifica di legittimità aveva imposto al Tribunale del
riesame di colmare le carenze motivazionali, «anche perché si deve ricordare come
sia complessa, nei territori di forte insediamento mafioso, la situazione degli
imprenditori e debba, pertanto, porsi particolare attenzione alle emergenze
raccolte nel corso delle indagini per comprendere se i contatti eventualmente
tenuti da costoro con gli uomini dei clan siano significativi di un loro pieno
inserimento in quei sodalizi, o dimostrino, invece, una loro prossimità al crimine
organizzato con il conseguimento di reciproci vantaggi, o siano rivelatrici del fatto
che siano solo vittime di richieste estorsive».
1.3. Giudicando in sede di rinvio, il Tribunale del riesame di Catanzaro ha
innanzitutto evidenziato che «ciò che rende l’imprenditore colluso con la mafia è
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rapporto fra Barbieri e il clan Muto: se Barbieri fosse inserito nella cosca Piromalli

non già il fatto di avere trovato un aggiustamento con i mafiosi al solo fine di
limitare il danno derivante dalle pretese estorsive di costoro; ma è il fatto di avere
stipulato un vero e proprio patto di collaborazione con i membri del sodalizio con
cui egli è entrato in contatto, in termini tali che la carica di intimidazione diffusa
proprio di quel sodalizio ridondi a vantaggio di lui stesso e della sua impresa, sì

della difficile linea di confine tra imprenditori collusi e imprenditori vittime ha
pertanto individuato quale criterio distintivo l’esistenza o meno di un rapporto
sinallagmatico produttivo di reciproci vantaggi. Ma tali vantaggi, come peraltro
rammentato dalla sentenza della Cassazione che ha annullato la prima ordinanza
rimettendo gli atti per nuovo esame, non possono mai tradursi nelle intese
finalizzate a limitare i danni ingiusti», escludendo la sussistenza di elementi per
inferire una partecipazione di Barbieri e LONGO alla cosca.

2. Ricorre il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro che
chiede l’annullamento dell’ordinanza impugnata, denunciando la violazione di
legge, in riferimento agli articoli 292, 309, comma 9, 125, comma 2, cod. proc.
pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta insussistenza degli
elementi da cui desumere la partecipazione all’associazione mafiosa.
Ad avviso del Pubblico Ministero l’ordinanza impugnata avrebbe erroneamente
valorizzato, per escludere la gravità indiziaria, un elemento che non è mai stato
posto a fondamento della richiesta cautelare (l’aggiudicazione degli appalti di
Lorica, Scalea e piazza Bilotti), disconoscendo invece l’esistenza del sinallagma tra
imprenditore compiacente e associazione mafiosa, caratterizzato dal sistematico
finanziamento della cosca in cambio della protezione assicurata ai cantieri ove
l’imprenditore esegue i lavori pubblici.
In particolare, il Pubblico ministero ha evidenziato l’esistenza dei seguenti vizi
motivazionali:
l’impresa di Barbieri e LONGO è un’impresa mafiosa, come si desume dalle
dichiarazioni del collaboratore di giustizia Foggetti il quale ha riferito, per
averlo appreso da altri associati, che l’impresa in questione non poteva
essere «toccata» in quanto «amica dei Muto», risultando la dichiarazione
del collaboratore riscontrata in ordine alla possibilità che i contatti tra
cosca e impresa intercorressero tra Luigi Muto e Massimo LONGO. Anche
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che quest’ultimo vantaggio abbia a sopravanzare quel danno originario. La ricerca

le dichiarazioni di La Manna confermano che Franco Muto si adoperava per
neutralizzare le pretese estorsive di terzi nei confronti di Barbieri,
indicandolo quale imprenditore che gli faceva «girare» soldi a usura;
neppure Barbieri e LONGO affermano che le somme corrisposte al clan
Muto siano oggetto di estorsione, risultando anzi dalle intercettazioni

pronto a smettere di contribuire con dazioni di denaro «in bacinella»;
le dazioni di danaro connesse alla gestione degli appalti non hanno natura
retributiva della protezione assicurata mediante una ipotetica estorsione,
tant’è che avvengono con modalità del tutto estranee a tali forme di
pagamento, risultando piuttosto, per le caratteristiche di periodicità e
stabilità, ascrivibili alla compartecipazione dell’organizzazione mafiosa
all’attività imprenditoriale collusa;
gli interventi di protezione posti in essere da Franco Muto in favore di
Barbieri non risultano mai collegati a pretese estorsive, rientrando
piuttosto nell’assicurata protezione derivante dalla comune partecipazione
alle attività mafiose;
la sinergia imprenditoriale posta in essere con riguardo alla gestione
dell’Hotel delle Stelle, che risulta documentata dalle condizioni
straordinarie ed eccezionali di cui godeva Barbieri nelle forniture di
pescato;
la compartecipazione della cosca mafiosa agli utili della sala scommesse
gestita da Longo, come risulta dalle indagini bancarie e dalle
intercettazioni, dovendosi escludere che si tratti di somme versate in
adempimento di estorsioni concernenti l’attività presso i cantieri in ragione
della esiguità di esse in proporzione al valore dell’appalto;
la cogestione della discoteca Il Castello, concessa in affitto da Barbieri a
persona indicata dai Muto, dovendo il conduttore pagare l’affitto a Barbieri
e l’estorsione ai Muto. Risulta che i Muto abbiano posto in essere una serie
di attività per occultare il controllo dei medesimi esercitati sull’esercizio
commerciale.

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telefoniche che LONGO, il quale agiva a nome di Barbieri, si era detto

3. Il difensore di Massimo LOMGO ha depositato memoria con la quale, nel
chiedere che il ricorso sia respinto o dichiarato inammissibile, svolge le proprie
deduzioni sulle argomentazioni del Pubblico ministero.

1. Osserva il Collegio che il ricorso appare infondato.
Va, innanzitutto, precisato che il descritto quadro cautelare, già vagliato in
sede di legittimità, consente di affermare che Giorgio Ottavio Barbieri ha
assicurato rimesse in denaro, anche per il tramite di Massimo LONGO, alla cosca
Muto, ma non ha fatto luce sui vantaggi ottenuti dalle imprese Barbieri quale
contropartita della corresponsione di denaro, al di fuori della protezione che la
cosca ha assicurato alle imprese in determinati anni.

2. Il Tribunale del riesame ha, innanzitutto, evidenziato che «è la stessa
Pubblica Accusa a sostenere che non esistono elementi indiziari per comprovare
che gli appalti di Lorica, Scalea e Piazza Bilotti siano stati ottenuti dal gruppo
Barbieri mediante attività illecite o per effetto di ingerenze e pressioni provenienti
dalla cosca Muto. L’accordo intrattenuto da Barbieri, spalleggiato nell’occasione da
Giorgio Morabito, con Franco Muto e Francesco Patitucci aveva avuto ad oggetto
la protezione del cantiere di piazza Bilotti da parte dei cosentini e la riduzione delle
richieste estorsive sul cantiere di Lorica. Quando l’accordo era saltato perché i
cosentini avevano avanzato pretese estorsive, il LONGO, per conto di Barbieri in
quel momento assente, si era rivolto a Morabito invocando nell’intervento presso
i cosentini».
Tale logica e non contraddetta conclusione consente, innanzitutto, di escludere
l’esistenza di un patto illecito antecedente all’aggiudicazione dell’appalto tale
giustificare le dazioni di denaro, sicché è stata correttamente esclusa una
originaria comunanza di interessi tra Barbieri e il clan Muto in merito agli appalti
in questione.
2.1. Piuttosto, con logica e coerente deduzione, il Tribunale del riesame ha
ritenuto che le dazioni di denaro afferenti l’attività edilizia sono da ricondurre
all’accertata protezione assicurata sul territorio.
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CONSIDERATO IN DIRITTO

2.2. D’altra parte, la medesima situazione si era creata, ad avviso del tribunale
del riesame, «quando Luigi Muto, figlio di Franco Muto, si era reso responsabile di
danneggiamenti e furti nel cantiere di Scalea. Sebbene LONGO, sempre per conto
di Barbieri, si fosse inizialmente rivolto a Franco Muto, è intuibile che l’esito del
colloquio non aveva sortito grandi benefici di tal che anche in quell’occasione

di LONGO si fosse professato appartenente ai Morabito».
2.3. Gli argomenti, a prevalente contenuto valutativo, sviluppati nel ricorso
risultano infondati, se non addirittura inammissibili, in ragione dei limiti propri del
ricorso per cassazione, in quanto finalizzati a porre alla Corte di legittimità
questioni di merito.

3.

Il Tribunale del riesame ha ritenuto sfornita di prova la dedotta

compartecipazione agli utili delle imprese di Barbieri da parte della cosca Muto.
In proposito, è stato evidenziato che «pur ammettendo che il conto corrente
intestato alla moglie di LONGO, nel quale confluivano somme di denaro derivanti
da vincite fittizie, servisse per le rimesse di denaro nei confronti della cosca Muto,
non è dimostrato che i Muto partecipassero alla gestione delle attività
imprenditoriali di Barbieri tanto da poter parlare di compartecipazione agli utili,
inquadrandosi evidentemente tali somme nelle ingenti estorsioni pagate da
Barbieri ai Muto».
Sul punto, il ricorso ripropone una diversa lettura degli elementi indiziari già
ampiamente valutati dal tribunale del riesame e da questa Corte, lettura che
appare inammissibile in questa sede.
Il ricorso sviluppa, inoltre, argomenti meramente deduttivi in merito alla
natura delle dazioni, argomenti che non sono però in grado di scalfire la coerente
motivazione adottata dal tribunale del riesame.

4.

È stata, d’altra parte, giudicata irrilevante, nell’ottica della dedotta

partecipazione all’organizzazione mafiosa, l’intercettazione nel corso della quale
Bencardino, associato alla cosca Muto, appare risentito del fatto che l’Hotel delle
Stelle — riferibile a Barbieri— si fosse rifornito altrove di pesce surgelato,
sottolineando pure di avere praticato a Barbieri un prezzo di favore, non potendo
assurgere detta conversazione a prova di vantaggi assicurati dalla consorteria
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veniva auspicato l’intervento di Giorgio Morabito. È significativo che l’interlocutore

mafiosa, ma dimostrando al contrario che non vi era stato un rapporto
commerciale esclusivo tra l’Hotel delle Stelle e l’Eurofish, gestito da Bencardino
per conto di Franco Muto.
L’argomentazione sviluppata dal ricorrente, concernente il particolare favore
della fornitura, è priva di univoco significato nell’ottica di dimostrare

5. Il Tribunale del riesame ha altresì chiarito, con riguardo alla discoteca

Il

Castello di proprietà di Barbieri, ma data in gestione a Piluso, che l’attività
investigativa ha fatto emergere come nel canone da corrispondere a Barbieri vi
fosse anche il prezzo dell’estorsione dovuta ai Muto.
È stato, anche, ricordato che a seguito degli arresti degli appartenenti alla
cosca Muto operati nel luglio 2016, Piluso non soltanto aveva fatto saltare gli
accordi, ma minacciava di riprendersi le attrezzature della discoteca proprio
all’inizio della stagione estiva, impedendo di fatto nuovo gestore di poter lavorare.
Il Tribunale ha evidenziato che tale situazione creava disagio in Francesca
Barbieri e in Massimo LONGO, ma che le indicazioni di LONGO a Barbieri, di parlare
con Bencardino (appartenente alla cosca), rimangono generiche e lo stesso
colloquio in seguito svoltosi tra LONGO e il suddetto non ha un contenuto rilevante
e non comporta conseguenze effettivamente valutabili in ottica di partecipazione
all’associazione mafiosa.
La deduzione del ricorrente, secondo la quale i Muto risultano interessati a
celare i propri interessi nella questione, oltre ad apparire afferente il merito della
valutazione compiuta dal Tribunale, risulta scarsamente rilevante ove si consideri
che l’indicato interesse alla riservatezza è parimenti giustificato dalla natura
estorsiva del rapporto.

6. In definitiva, il Tribunale del riesame, con logica e coerente motivazione,
ha ritenuto più plausibile l’ipotesi che Giorgio Ottavio Barbieri, colluso con la cosca
dei Piromalli per il tramite di Giorgio Morabito, per come è emerso dalle indagini
della Procura di Reggio Calabria in relazione alle quali il tribunale del riesame di
quella sede, pur riqualificando il fatto in concorso esterno, ha riconosciuto la
sussistenza di una condotta collusiva, avesse invocato l’intervento di Morabito per
ottenere trattamenti di favore al fine di limitare le richieste estorsive e proseguire
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l’appartenenza al sodalizio.

nei lavori pubblici — sulla cui aggiudicazione non sono comunque emerse
interferenze della cosca Muto o di altri — nell’area del cosentino; intese che però
rischiavano di saltare per variabili indipendenti, quali la reggenza della cosca dei
cosentini da parte di un giovane sconosciuto e l’avvicendarsi nella cosca Muto di
Luigi, figlio di Franco.

l’esistenza di un preesistente patto di scambio produttivo di ingiusti vantaggi
reciproci, ma solo di un diverso accordo volto a limitare i danni derivanti dalle
richieste estorsive mafiose, ha escluso la sussistenza anche della diversa ipotesi
del concorso esterno in associazione mafiosa, per fondare la quale è comunque
necessaria l’instaurazione del ridetto patto di reciproco vantaggio (Sez. 6, n.
30346 del 18/04/2013, Orobello, Rv. 256740).
6.1. Il ricorso deve essere rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.
Così deciso il 13 aprile 2018.

Conclusivamente, il Tribunale del riesame, ritenendo non dimostrata

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