Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21100 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21100 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
D’AGUANNO Vincenzo, nato a Marsala il 17/06/1960;
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Palermo in data 23/06/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.ssa
Marilia Di Nardo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso;
udito, per l’indagato, l’avv. Luca Cianferoni, comparso anche in sostituzione
dell’avv. Luigi Pipitone, il quale ha insistito nei motivi di ricorso, chiedendone
l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 30/05/2017, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Palermo aveva disposto, nei confronti di Vincenzo
D’AGUANNO, la misura della custodia cautelare in carcere in relazione al delitto
di cui all’art. 416-bis, commi 2, 4 e 6 cod. pen., contestata al capo A)
dell’imputazione cautelare.
Secondo quanto posto in luce nel provvedimento genetico, dall’articolata
attività di indagine, svolta attraverso intercettazioni telefoniche e ambientali
captate anche nel deposito-capannone dello stesso D’AGUANNO e per mezzo

di

servizi di osservazione e videosorveglianza, erano stati acquisiti, a carico
dell’indagato, gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sua partecipazione alla

Data Udienza: 25/01/2018

famiglia di Marsala dell’associazione mafiosa denominata

Cosa nostra, al cui

interno egli si occupava, in particolare, del territorio di Petrosino-Strasatti,
mantenendo contatti con gli altri affiliati attraverso il continuo scambio di
comunicazioni, partecipando a riunioni con associati della stessa famiglia e di
altre famiglie mafiose trapanesi, occupandosi dei profitti delle attività illecite del
sodalizio e della loro distribuzione e detenendo armi anche clandestine
nell’interesse del sodalizio; fatti occorsi in Mazara del Vallo, Marsala, Petrosino e
altri luoghi della Provincia di Trapani, fino all’attualità. Inoltre, a carico di

relazione ai delitti di ricettazione e di detenzione di arma clandestina, entrambi
aggravati ex art. 7 D.L. n. 152 del 1991, essendo stati rinvenuti, in occasione
della perquisizione di un’area nella sua disponibilità, una pistola calibro 9 e un
fucile a canne mozze con matricole abrase, detenute dallo stesso D’AGUANNO
per conto di Vito Vincenzo RALLO, reggente della famiglia mafiosa di Marsala.
2. Avverso l’ordinanza applicativa era stata proposta istanza di riesame, con
la quale era stata dedotta l’assenza di un reale contributo partecipativo
dell’indagato alle attività dell’associazione mafiosa, con particolare riguardo alla
commissione dei reati-fine del sodalizio, sul presupposto che non si potesse
attribuire rilevanza decisiva alle “parole in libertà” riferibili a D’AGUANNO, al più
indicative di un generico sentire mafioso e riconducibili, unicamente, all’alveo
della contiguità compiacente.
2.1. Con ordinanza emessa in data 23/06/2017, il Tribunale del riesame di
Palermo rigettò l’impugnazione proposta nell’interesse dello stesso D’AGUANNO,
rilevando l’infondatezza delle censure dedotte in sede di gravame. In particolare,
i giudici palermitani osservarono come il solido compendio investigativo acquisito
in fase di indagini preliminari delineasse un gravissimo quadro indiziario a carico
dell’indagato, con specifico riguardo alle relazioni intessute con il vertice della
famiglia mafiosa e con i singoli sodali, finalizzate alla modifica degli equilibri
interni della stessa; famiglia nei cui confronti D’AGUANNO, pur talvolta
esprimendosi con toni aspramente critici, doveva comunque ritenersi
assolutamente organico, considerata la conoscenza, evidenziata in occasione
delle plurime intercettazioni, delle “dinamiche profonde” dell’associazione.
3. Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione
Vincenzo D’AGUANNO, a mezzo dei difensori di fiducia, avv.ti Luca CIANFERONI
e Luigi PIPITONE, deducendo tre distinti motivi di impugnazione, di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp.
att. cod. proc. pen..
3.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge
penale e processuale in relazione agli artt. 273, 274, 192 cod. proc. pen., 416-

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D’AGUANNO erano stati ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in

bis cod. pen.. Secondo l’impugnante l’ordinanza gravata non avrebbe fornito

alcuna risposta alle censure svolte con l’atto di riesame, in particolare per quanto
concerne l’attribuzione di un diverso significato alle numerose conversazioni
relative alla commissione di lavori edili nel territorio marsalese, limitandosi a
riprodurre ampi stralci del provvedimento genetico, ma senza farli oggetto di
autonoma valutazione. In particolare, la ritenuta situazione di conflittualità tra
D’AGUANNO e altri membri della consorteria – quali GIACALONE, SFRAGA e
LICARI – dimostrerebbe che essi non avrebbero potuto appartenere, per
evidente mancanza

dell’affectio soci etatis

e di una stabile e organica

compenetrazione nel tessuto organizzativo del sodalizio, alla stessa associazione
mafiosa, tanto è vero che era stato corso il rischio di un conflitto armato tra gli
stessi; laddove l’ipotesi dell’esistenza di due sottogruppi (il primo riferibile a
SFRAGA e il secondo a D’AGUANNO), entrambi subordinati a RALLO, avrebbe
rappresentato un mero escamotage privo di qualunque consistenza indiziaria.
Parimenti indimostrato sarebbe il fatto che D’AGUANNO si sia accaparrato lavori
con metodo mafioso, atteso che quelle riportate nelle conversazioni intercettate
sarebbero state, in realtà, opere riferibili a soggetti intranei al sodalizio e non a
imprenditori fatti oggetto di intimidazione, così come il fatto che egli abbia svolto
un’attività di controllo del territorio e abbia commesso atti penalmente illeciti.
Sotto altro profilo, la condizione di subordinazione di LOMBARDO e D’AGUANNO
renderebbe inverosimile l’ipotizzata ribellione verso le figure sovraordinate, in
specie per quanto concerne la figura di SFRAGA, individuato come la “cinghia di
trasmissione” tra la consorteria e il suo capo indiscusso, Matteo MESSINA
DENARO. Dunque, non essendovi alcuna evidenza di una qualche ingerenza nella
ripartizione degli affari illeciti di un dato territorio, l’indagato sarebbe stato del
tutto estraneo al sodalizio mafioso, il quale, anzi, lo avrebbe escluso dalla
partecipazione a lavori edili leciti. E in questa prospettiva si sarebbe inquadrata
la decisione di Matteo MESSINA DENARO di imporre, secondo l’ambasciata
riferita da Nicolò SFRAGA, che D’AGUANNO lasciasse il campo a GIACALONE.
3.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606, comma 1, lett.
lett. b), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione della legge
penale in relazione all’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, ipotizzata ai capi C), D) e
E) dell’imputazione cautelare. L’intercettazione ambientale del 9/03/2015, nella
quale D’AGUANNO aveva fatto il nome di RALLO e che era stata valorizzata dal
tribunale del riesame per inferire la detenzione delle armi nell’interesse del capo
della famiglia, avrebbe avuto un differente significato, atteso che le frasi
pronunciate nel frangente dall’indagato (in particolare quella in cui egli aveva
affermato “io cammino con il nome mio”), avrebbero indicato che egli intendeva,
al contrario, rivendicare un’autonoma assunzione di responsabilità per la
detenzione delle armi. E del resto la ricostruzione accolta dal tribunale del

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3,

riesame sarebbe illogica, considerato che RALLO e SFRAGA sarebbero stati
indicati, in altra parte del provvedimento, come “nemici” del gruppo riferibile a
D’AGUANNO e come possibili destinatari di un’azione di fuoco.
3.3. Con il terzo motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 606, comma 1,
lett. b), cod. proc. pen., della inosservanza o erronea applicazione della legge
processuale penale in relazione agli artt. 274 e 275, comma 3 cod. proc. pen..
Sotto un primo profilo, si deduce che il pericolo di inquinamento probatorio e di
pericolo di fuga siano stati solo genericamente enunciati. Quanto, poi, al pericolo

dell’indagato sia stata dedotta dalla presenza di uno “spessore criminale” solo
apoditticamente enunciato. Sotto altro profilo, mancherebbe il requisito della
attualità del pericolo, trattandosi di fatti risalenti a circa 2 anni or sono e non
essendo stato acquisito alcun elemento per ritenere probabile la prossima
commissione di delitti.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2. Muovendo, secondo l’ordine logico, dal primo motivo di doglianza, le
censure mosse dalla difesa dell’indagato attengono, sotto un primo profilo, alla
omessa considerazione, da parte del giudice del riesame, di una serie di
osservazioni critiche dedotte in sede di impugnazione e, sotto altro aspetto, alla
presenza di una serie di aporie logiche rispetto alla ricostruzione del compendio
indiziario, alla sua fondatezza sul piano della riferibilità del ragionamento
probatorio a elementi di fatto correttamente interpretati, alla possibilità di
interpretazioni alternative rispetto a quelle accolte, in maniera asseritamente
illogica o comunque ingiustificata, nell’ordinanza genetica e nel provvedimento
impugnato.
2.1. Appare nondimeno utile, in premessa, riepilogare alcune coordinate
generali del controllo di legittimità nella materia cautelare, onde delinearne il
perimetro e, dunque, i limiti logico-giuridici, al fine poi Yrocedere
\ad un accurato
vaglio delle censure dedotte, in specie in punto di ammissibilità delle stesse.
In questa prospettiva, giova, innanzitutto, osservare che ai fini dell’adozione
di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio
idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di
colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova
idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono,
pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di
merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede
la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamai() dall’art. 273, comma

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di reiterazione dei reati, l’impugnazione lamenta che la spiccata pericolosità

1-bis, cod. proc. pen. (tra le tante, Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, dep.
13/02/2017, Pugiotto, Rv. 269179).
Sotto altro profilo, va sottolineato che, in sede di legittimità, il controllo in
materia cautelare deve essere circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e
l’assenza di evidenti illogicità nelle argomentazioni svolte rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (Sez. 4, n. 18795 del 2/03/2017, dep.
18/04/2017, Di Iasi, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/03/2012, dep.

l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza non è ammissibile quando propone
censure che riguardano la ricostruzione dei fatti o che si risolvono in una diversa
valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 2, n. 31553 del
17/05/2017, dep. 26/06/2017, Paviglianiti, Rv. 270628).
Inoltre, va ribadito che, secondo il costante insegnamento di questa Corte in
tema di misure cautelari personali, non è affetta da vizio di motivazione
l’ordinanza del tribunale del riesame la quale confermi, in tutto o in parte, il
provvedimento impugnato, recependone in maniera sostanzialmente integrale le
argomentazioni, perché in tal caso i due atti si integrano reciprocamente, ferma
restando la necessità che le eventuali carenze di motivazione dell’uno risultino
sanate dalle argomentazioni utilizzate dall’altro (ex plurimis Sez. 3, n. 8669 del
15/12/2015, dep. 3/03/2016, Belringieri, Rv. 266765; Sez. 6, n. 48649 del
6/11/2014, dep. 24/11/2014, Beshaj ed altri, Rv. 261085; Sez. 2, n. 774 del
28/11/2007, dep. 9/01/2008, Beato, Rv. 238903).
2.2. Consegue alla richiamata cornice di principio che non può consentirsi,
fuori dal perimetro logico-normativo del travisamento della prova (rectius dei
gravi indizi di colpevolezza), alcuna rilettura del materiale indiziario, in specie di
quello costituente oggetto delle captazioni telefoniche e ambientali, volto
all’attribuzione di significati alternativi rispetto a quelli che, secondo cadenze
argomentative immuni da vizi logici, il giudice di merito abbia ricostruito nella
fase di cognizione o cautelare.
Nel caso qui di interesse, il provvedimento genetico e l’ordinanza del
riesame, integrandosi reciprocamente, hanno valorizzato:
a) la conversazione in data 1/10/2014 tra Vincenzo D’AGUANNO e Michele
LOMBARDO, nella quale essi avevano discusso di vicende relative ai vertici della
famiglia di Marsala, riconoscendo il ruolo di Vito Vincenzo RALLO quale capo della
cosca marsalese e criticandone la scelta di nominare, quale suo luogotenente,
Nicolò SFRAGA, rivendicando la propria lontana militanza nel sodalizio mafioso e
menzionando gli ordini impartiti da RALLO a Ignazio LOMBARDO affinché non si
ingerisse negli affari dei due conversanti;

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22/03/2012, Lupo, Rv. 252178), sicché il ricorso per cassazione che deduca

b) la conversazione in data 11/10/2014, sempre tra D’AGUANNO e Michele
LOMBARDO, in cui i due avevano commentato il danneggiamento di un
escavatore dell’imprenditore DI GIROLAMO, attribuito a Ignazio LOMBARDO, di
cui essi avevano criticato l’avidità, sottolineando la necessità di una equa
spartizione delle risorse del territorio;
c) la conversazione in data 8/01/2015 tra Vincenzo D’AGUANNO e Michele
LOMBARDO, nella quale il primo aveva informato il secondo di avere incontrato
Ignazio LOMBARDO il 30/12/2014, grazie alla intermediazione di Michele BUA, al

impartite da Matteo MESSINA DENARO per il tramite di Nicolò SFRAGA;
d) la conversazione del 21/01/2015, nella quale Vincenzo D’AGUANNO e
LOMBARDO avevano criticato l’attuale gestione degli affari illeciti della cosca,
mostrando di mal sopportare le ingerenze di Calogero D’ANTONI (inteso u’
siccu), autore di richieste estorsive nel territorio di loro pertinenza ) e nel corso

della quale il primo aveva invitato il secondo a recarsi presso un bar per
incontrare un soggetto, poi identificato in Nicolò SFRAGA, al fine di dissuaderlo
dall’ingerirsi in quel territorio: incontro effettivamente avvenuto, secondo quanto
documentato dall’attività di osservazione della polizia giudiziaria, presso il Maxi
Bar in contrada Strasatti di Marsala, al quale aveva partecipato anche un altro

affiliato, Giovanni Giuseppe GENTILE (inteso testa liscia) e nel quale LOMBARDO
si era lamentato della tentata estorsione ai danni di Pietro PRINZIVALLI, vicino a
D’AGUANNO; peraltro, nel corso dello stesso dialogo, LOMBARDO aveva
manifestato la preoccupazione che le rimostranze compiute nei confronti di
SFRAGA potessero provocare una reazione violenza del capo famiglia, Vito
Vincenzo RALLO, ritenuto capace di ordinare violente ritorsioni nei loro confronti
(… ora loro partono per là … hai capito … e Vincenzo … o ci manda a chiamare
… o se no gli dice … ammazzateli … tutti e due), ricevendo la rassicurazione da
parte di D’AGUANNO circa il fatto che lo avrebbe tutelato presenziando ad un
eventuale incontro indetto da RALLO;
e) la conversazione ambientale del 23/01/2015, tra Vincenzo D’AGUANNO e
Michele LOMBARDO, nella quale i due dialoganti si erano lamentati che Nicolò
SFRAGA avesse commesso una estorsione ai danni di tali Vanella e Conticelli
(persone vicine a D’AGUANNO) avanzando dubbi sul fatto che egli non avesse
poi ripartito i proventi all’interno della famiglia e ricordando di essersi lamentati
del suo operato con il capo famiglia, Vito Vincenzo RALLO, il quale aveva loro
risposto che la nomina era stata necessitata; nel corso della stessa telefonata,
infine, i due avevano programmato di incontrarsi con Vito GONDOLA, capo del
mandamento di Mazara del Vallo, nel quale ricade la famiglia mafiosa di Marsala:
incontro avvenuto il successivo 26/01/2015, come documentato dal servizio di
osservazione della polizia giudiziaria (v. infra sub h);
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fine di appianare le divergenze tra gli stessi insorte, oggetto delle direttive

f)

la conversazione del 23/01/2015, tra LOMBARDO, Andrea ALAGNA e

Vincenzo D’AGUANNO, nella quale i tre avevano discusso delle dinamiche e dei
contrasti interni alla famiglia mafiosa marsalese, criticando, ancora una volta,
l’operato di Nicolò SFRAGA, ritenuto non rispettoso delle regole di ripartizione
delle zone di influenza; nonché dei rapporti di collaborazione tra l’imprenditore
Fabrizio VINCI e Pietro e Domenico CENTONZE, avviati con l’intermediazione di
Simone LICARI, del ruolo di Calogero D’ANTONI (detto

u cazzettu)

quale

intermediario con Vito Vincenzo RALLO (chiamato “zio Vincenzo”) al fine di

esporlo sul piano investigativo; di una rapina da eseguire ad opera di loro
incaricati presso il locale ufficio postale;
g) la conversazione del 24/01/2015, tra LOMBARDO, ALAGNA, D’AGUANNO,
Pietro PRINZIVALLI e Giacomo Maria GANDOLFO, in cui si era discusso, ancora
una volta, dell’operato di SFRAGA il quale, appreso da GENTILE di un incontro di
D’AGUANNO con il cugino, titolare di una rivendita di tabacchi, aveva incaricato
D’ANTONI di investigare sull’effettivo pagamento del “pizzo” da parte di tale
rivenditore, che D’AGUANNO non aveva provveduto a versare nelle casse
dell’associazione;
h) la conversazione tenutasi nel pomeriggio del 26/01/2015, tra D’AGUANNO
e LOMBARDO, nella quale quest’ultimo aveva riferito al primo di avere
partecipato a una riunione di vertice della consorteria marsalese, documentata
dal servizio di osservazione e telesorveglianza della polizia giudiziaria, con il capo
mandamento Vito GONDOLA, gerarchicamente sovraordinato ai vertici marsalesi,
nel corso della quale era stato chiesto all’anziano capo di assumere posizione sul
ruolo assunto all’interno del sodalizio da SFRAGA, ricevendo LOMBARDO
l’appoggio richiesto per la risoluzione della controversia interne al sodalizio;
i) la conversazione del 27/01/2015, nella quale D’AGUANNO, ALAGNA e
LOMBARDO, ritenendo di avere ricevuto l’appoggio di GONDOLA, avevano
discusso di un’azione violenta in danno di SFRAGA e di LICARI, valutando le
dinamiche conflittuali tra le due fazioni all’interno della famiglia mafiosa e la
possibilità di un conflitto armato, atteso che ALAGNA aveva saputo da un
soggetto mazarese, al quale si era rivolto per l’acquisto di un’arma, che anche la
fazione opposta stava cercando di approvvigionarsi di armi;
I) gli incontri, documentati dalle attività di osservazione svolte dalla polizia
giudiziaria, avvenuti il 9/03/2015 tra D’AGUANNO, LICARI e SFRAGA e il
15/03/2015, presso la discarica di Michele GIACALONE, tra quest’ultimo, il capo
famiglia Vito Vincenzo RALLO e lo stesso Michele LOMBARDO;
m) la disponibilità in capo a D’AGUANNO di armi clandestine con matricola
abrasa, rivenute in occasione di una perquisizione locale, nell’interesse di Vito
RALLO e della cosca da lui capeggiata, secondo quanto emerso dalla

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tutelare quest’ultimo da contatti diretti con altri associati, che avrebbero potuto

conversazione del 9/03/2015 in cui lo stesso D’AGUANNO faceva riferimento, in
relazione a tale detenzione, alla famiglia mafiosa e al suo capo, con l’intento di
indicare le ragioni della disponibilità delle armi nell’interesse della cosca.
Tali elementi, in particolare le conversazioni captate tra D’AGUANNO e lo
stesso LOMBARDO presso il capannone di proprietà del primo, particolarmente
attendibili per la spontaneità e genuinità dei contenuti, sono stati ritenuti
indicativi, con ampia e del tutto logica motivazione, di una condotta di piena e
stabile partecipazione al sodalizio, anche alla luce dell’indirizzo di questa Corte,

conoscenza dell’organigramma della cosca, dell’identità dei suoi componenti, in
particolare di quelli con posizione apicale, dei luoghi di riunione e degli argomenti
trattati (Sez. 1, n. 4937 del 19/12/2012, dep. 31/01/2013, Modafferi, Rv.
254915). A ciò si aggiunga l’episodio, estremamente significativo, della
detenzione delle armi nell’interesse della cosca (v. in fra), chiaramente indicative
di una piena intraneità dell’indagato all’associazione mafiosa.
Peraltro, i giudici palermitani hanno ritenuto non significativa, ancora una
volta in maniera del tutto logica, sia la mancanza di elementi indiziari in
relazione al concorso dell’indagato nei reati-fine, pacificamente non necessaria ai
fini della configurazione delle condotte di mera partecipazione; sia l’assenza di
riferimenti alla posizione occupata da D’AGUANNO all’interno del sodalizio da
parte del collaboratore Lorenzo CIMAROSA, tenuto conto del ruolo non apicale
rivestito dall’indagato e dell’affiliazione del collaboratore ad altro mandamento.
2.3. A fronte di una motivazione che ha esplicitato, in maniera assai
perspicua e senza alcuna cesura logica del tessuto argomentativo, le ragioni per
le quali doveva ritenersi acquisito, a carico di Vincenzo D’AGUANNO, un grave
quadro indiziario in relazione al reato contestato al capo A) dell’imputazione
cautelare, il ricorso si è limitato ad affermare il carattere congetturale della
ricostruzione offerta dai giudici di merito, ipotizzando possibili spiegazioni
alternative al contenuto delle conversazioni intercettate, peraltro del tutto
inverosimili alla luce del loro univoco tenore. Ne consegue, pertanto,
l’infondatezza delle censure svolte nel primo motivo di ricorso.
3. Quanto, poi, al secondo motivo di impugnazione, l’ipotizzata violazione di
legge in realtà si configura, nell’articolazione della censura difensiva, come vizio
della motivazione, non essendo stata dedotta l’erronea configurazione
dell’ambito applicativo della contestata aggravante, quanto piuttosto la
ricostruzione degli elementi di fatto idonei a suffragare il grave quadro indiziario
in ordine alla destinazione delle armi nella disponibilità di D’AGUANNO verso gli
obiettivi propri dell’intero sodalizio.
In proposito, le argomentazioni difensive attengono, da un lato, al profilo
della interpretazione del contenuto delle conversazioni intercettate e, dall’altro

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qui condiviso, secondo cui essa può essere desunta dall’essere l’indagato a

lato, alla coerenza logica del ragionamento indiziario rispetto agli elementi di
fatto acquisiti alla piattaforma cognitiva del tribunale del riesame e da questo
assunti come segmenti della relativa sequenza argomentativa.
E tuttavia deve ribadirsi, quanto al primo profilo, che l’interpretazione offerta
dal giudice della cautela e dal tribunale del riesame in relazione
all’intercettazione ambientale del 9/03/2015, scrutinabile in sede di legittimità
soltanto nei limiti del travisamento o comunque della manifesta illogicità
deducibile dal testo del provvedimento, si presenta del tutto plausibile e coerente

ricordato, hanno riconosciuto, pur nella tensione tra i vari gruppi riferibili alla
famiglia marsalese, il primato di Vito Vincenzo RALLO sugli altri associati,
rendendo assolutamente verosimile la detenzione per conto del vertice del
sodalizio. Una interpretazione degli elementi indiziari che non è scardinata dalla
frase riportata nel ricorso (“io cammino con il nome mio”), pienamente
compatibile con la volontà di D’AGUANNO di non chiamare in correità colui
nell’interesse del quale aveva detenuto le armi, laddove l’attribuzione di un
differente significato da parte del ricorrente sollecita un intervento inibito al
giudice di legittimità, chiamato a sovrapporsi all’apprezzamento fattuale rimesso,
nell’attuale assetto del sistema processuale, al solo giudice di merito.
Quanto, poi, alla pretesa illogicità dell’affermazione per la quale D’AGUANNO
avrebbe detenuto le armi nell’interesse di un soggetto indicato, in altra parte del
provvedimento, come “nemico” del gruppo riferibile all’indagato, l’osservazione
omette di considerare che la ricostruzione accolta dai giudici di merito ha sì
delineato un quadro conflittuale tra i due sottogruppi del medesimo sodalizio, ma
ha anche ritenuto che, all’interno della cosca, la posizione apicale di RALLO non
venisse, comunque, messa in discussione. Fermo restando che, quand’anche si
ritenesse, secondo la tesi difensiva, che il gruppo di D’AGUANNO fosse entrato in
contrasto non soltanto con SFRAGA, ma anche con RALLO, andrebbe osservato
che l’episodio del rinvenimento delle armi si collocò, temporalmente, nell’agosto
2014, laddove le conversazioni intercettate, attestanti la presenza di una
situazione di contrasto tra due sottogruppi del medesimo sodalizio, si
verificarono nel corso del 2015, sicché in ogni caso vi sarebbe compatibilità
logica e cronologica tra i due eventuali scenari, il secondo dei quali, come detto,
è stato comunque escluso.
4. Venendo, infine, al terzo motivo di doglianza, relativo alla insussistenza
delle esigenze cautelari, osserva il Collegio che a mente dell’art. 275, comma 3,
secondo e terzo periodo cod. proc. pen., nel caso in cui a carico dell’indagato
siano stati ritenuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto
di cui all’art. 416-bis cod. proc. pen. “è applicata la custodia cautelare in carcere,
salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze
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con la complessiva ricostruzione offerta dalle ordinanze de quibus, le quali, come

cautelari”. Detta disciplina deve essere armonizzata con la novella n. 47 del
2015, che ora richiede, secondo la nuova formulazione dell’art. 274, lett. c) cod.
proc. pen., l’attualità e la concretezza del pericolo di reiterazione dei reati. Ne
consegue che, secondo la previsione dell’art. 292, comma 2, lett. c) cod. proc.
pen., l’interprete deve valorizzare quegli elementi che, oggetto di deduzione
difensiva o comunque contenuti in atti, siano in modo conducente idonei a
revocare in dubbio la ripetibilità del contributo causale offerto dall’indagato e
quindi la sua pericolosità, altrimenti presunta dalla norma (Sez. 6, n. 42630 del

27/01/2016, P.M. in proc. C., Rv. 266962; Sez. 6, n. 12669 del 2/03/2016,
Mamone, Rv. 266784; Sez. 5, n. 36569 del 19/07/2016, Cosentino, Rv. 267995;
Sez. 5, n. 52628 del 23/09/2016, Gallo, Rv. 268727).
Nel caso di specie, tuttavia, il ricorrente non ha dedotto alcun concreto
elemento idoneo a superare la presunzione relativa stabilita dalla richiamata
norma processuale, limitandosi ad affermare il principio, qui peraltro condiviso,
secondo cui la presunzione può essere in concreto sovvertita dalla acquisizione di
specifici circostanze di fatto in grado di attestare l’assenza di concreta
pericolosità dell’indagato. Né varrebbe nella specie opinare, come invece
sottolinea il presente ricorso, che difetti il requisito della attualità del pericolo di
reiterazione dei reati della stessa specie, considerato che tra la data del
pronunciamento del tribunale del riesame e quella del reato contestato sarebbero
passati due anni, tenuto conto che la partecipazione al sodalizio è stata
ipotizzata per molti anni, a riprova di una piena compenetrazione nel tessuto
criminale del medesimo, e che, in assenza di concreti elementi di fatto suggestivi
di una volontà di allontanarsi dal gruppo criminale, appare pienamente
sostenibile la tesi della attualità del legame e, con essa, della spiccata
pericolosità soggettiva dell’indagato.
5. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del
provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 25/01/2018

A

18/09/2015, P.g. in proc. Tortora, Rv. 264984; Sez. 4, n. 20987 del

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