Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21099 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21099 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: RENOLDI CARLO

SENTENZA
sul ricorso proposto da
ARROUCH Tarik, nato in Marocco il 10/1071977,
avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano in data 28/07/2017;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Carlo Renoldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto Procuratore generale, dott.ssa
Manila Di Nardo, che ha concluso chiedendo la declaratoria di inammissibilità del
ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 12/07/2017, il Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Milano aveva convalidato l’arresto disposto, nei
confronti di Tarik ARROUCH, in relazione al delitto di tentato omicidio aggravato
dai futili motivi e dalla recidiva reiterata ed infraquinquennale, per avere
compiuto atti idonei e diretti in modo non equivoco a cagionare la morte di
Carmelo Maurizio ARENA, consistiti, dopo una discussione per problemi di
viabilità, nel cercare di colpirlo con un coltello da cucina di grosse dimensioni
(con lama lunga 21 cm. e larga 5), sferrandogli una serie di fendenti all’altezza
del petto e dell’addome e non riuscendovi per la prontezza di riflessi della
persona offesa e per il tempestivo intervento delle Forze dell’ordine; fatti
verificatisi in Milano il 9/07/2017. Con lo stesso provvedimento, il giudice
procedente aveva applicato all’arrestato la misura della custodia cautelare in
carcere.

Data Udienza: 25/01/2018

Secondo la ricostruzione dei fatti accolta dal primo giudice, la mattina del
9/07/2017, Carmelo Maurizio ARENA e la moglie, Michela BRACCI, fermatisi a
chiacchierare sul marciapiede, all’angolo tra via Giambellino e via Carriera a
Milano, con l’amico Salvatore PUTAGGIO, avevano notato che un ciclista, fermo
al centro della carreggiata stradale, stava bloccando il traffico, provocando la
formazione di una coda di auto. Ipotizzando che l’uomo non avesse udito il

clacson di un SUV di colore scuro che cercava di attirare la sua attenzione,
ARENA aveva cercato, a voce e a gesti, di avvertirlo del fatto che stava creando

spostato sul marciapiede, permettendo il passaggio delle autovetture. Quindi,
l’uomo, con fare aggressivo, si era avvicinato ai tre e, giunto a pochi metri di
distanza, con fare arrogante aveva chiesto loro se conoscessero l’uomo a bordo
del SUV. Di fronte alla risposta negativa, l’uomo aveva puntato il dito verso
Michela BRACCI e l’aveva minacciata gravemente, proferendo le parole: “io ti
ammazzo, io ti ammazzo!”. Quindi, egli si era rivolto in particolare verso ARENA,
indirizzando verso di lui altre espressioni provocatorie, insultanti e gravemente
minacciose (“io vi ammazzo, vi scanno”). Avvicinatosi ulteriormente, il ciclista
aveva improvvisamente brandito un coltellaccio da cucina, che teneva occultato
sotto i calzini, e raggiunto ARENA, che indietreggiando cercava di fare da scudo
alla moglie e all’amico, aveva sferrato, con decisione, “dapprima, di taglio con un
movimento da sinistra verso destra all’altezza del petto” e, successivamente,
menando “dei fendenti con la punta all’altezza dell’addome”, mancando il
bersaglio solo grazie alla prontezza di riflessi della vittima.
I tre erano, quindi, riusciti a entrare all’interno di un’area privata,
approfittando dell’uscita di un’autovettura da un passo carraio. L’aggressore,
intanto, dopo avere ripreso la bicicletta, si era diretto verso il cancello, senza
riuscire ad entrarvi prima che esso si richiudesse definitivamente; e aveva
continuato a minacciare di morte ARENA e gli altri due, facendo scorrere e
stridere il coltello sul metallo del cancello.
Nel frattempo, le Forze dell’ordine, allettate da Salvatore PUTAGGIO, erano
sopraggiunte. L’aggressore, udendo le sirene avvicinarsi, era fuggito in bici/piedi
in direzione del supermercato “LIDL” ubicato in Largo Balestra, cercando di
disfarsi del coltello, che aveva gettato per terra, nei giardinetti adiacenti al
supermercato; manovra che non era però sfuggita agli operanti, che avevano
recuperato l’arma e lo avevano quindi arrestato.
2. Avverso il predetto provvedimento aveva proposto riesame lo stesso
ARROUCH e con ordinanza del Tribunale del riesame di Milano in data
28/07/2017, l’impugnazione era stata rigettata. A fondamento della pronuncia
reiettiva, i giudici milanesi avevano rilevato che i gravi indizi di colpevolezza
fossero correttamente ravvisabili alla stregua delle concordi dichiarazioni della
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intralcio alla circolazione; e dopo qualche istante il ciclista si era finalmente

persona offesa, Carmelo Maurizio ARENA, della moglie, Michela BRACCI, e del
loro amico Salvatore PUTAGGIO, sentiti dagli operanti subito dopo l’aggressione
agita nei loro confronti da Tarik ARROUCH. Secondo l’ordinanza del riesame, non
poteva condividersi la tesi difensiva secondo la quale l’uomo aveva utilizzato il
coltello, appena acquistato, per difendersi dai tre, avuto riguardo alle loro
concordi dichiarazioni, rese nella immediatezza e alla situazione riscontrata dalle
Forze dell’ordine al loro arrivo, atteso che nel frangente i tre soggetti si erano
rifugiati dentro un’area privata chiusa da un cancello: atteggiamento

confronti di ARROUCH.
Accanto ai gravi indizi di colpevolezza, il tribunale del riesame ritenne di
ravvisare le esigenze cautelari connesse al pericolo di reiterazione del reato,
tenuto conto del grave reato commesso, peraltro per motivi futili, allo scarso
autocontrollo mostrato nel frangente dell’azione delittuosa e al negativo quadro
di personalità derivante dai gravi precedenti penali.
3. Avverso l’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano ha proposto ricorso
per cassazione lo stesso ARROUCH a mezzo del difensore di fiducia, deducendo
due distinti motivi di impugnazione, di seguito enunciati nei limiti strettamente
necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma
1, lett. b) e c), cod. proc. pen., la inosservanza o erronea applicazione di
disposizioni della legge processuale penale stabilite a pena di nullità e
segnatamente degli artt. 292, comma 2, lett. c) e comma 2-ter cod. proc. pen.,
273, comma 1-bis cod. proc. pen., 192, comma 2 cod. proc. pen. in relazione
agli artt. 56 e 575 cod. pen.. L’ordinanza del tribunale del riesame non si
sarebbe pronunciata né sull’elemento soggettivo del delitto ipotizzato; né sulla
non equivocità degli atti diretti alla commissione dell’omicidio. E a riprova
dell’assenza di elementi indiziari a suo carico in ordine al reato ascrittogli,
ARROUCH deduce di non avere colpito subito coloro che lo avevano insultato,
atteso che la condotta dello stesso avrebbe fatto seguito ad un epiteto ingiurioso
a sfondo etnico rivoltogli da uno dei tre, ma solo quando essi si stavano
allontanando. Tale circostanza, unitamente al fatto di essere tornato indietro a
recuperare la propria bicicletta, dimostrerebbe che l’estrazione del coltello
avrebbe avuto luogo soltanto a scopo di minaccia, come dimostrato dal fatto che
egli avesse poi usato il coltello per farlo scorrere sulle sbarre del cancello, chiuso
davanti alle presunte persone offese, con chiaro intento di minaccia, come
riconosciuto dal tribunale del riesame.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente censura, ex art. 606, comma 1, lett.
e), cod. proc. pen., la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione in relazione alla gravità indiziaria, non avendo il tribunale spiegato
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chiaramente incompatibile con l’asserita aggressione da parte degli stessi nei

per quale motivo l’indagato, che si assume intendesse uccidere le tre persone
aggredite, abbia tardivamente estratto l’arma per poi inseguire le vittime, pur
sapendo della maggiore difficoltà di mettere a segno i colpi. Tanto più che la
condotta successiva, con i colpi recati al cancello, sarebbe dimostrativa di un
mero intento di minaccia.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere respinto.
2.

Le censure mosse dal ricorrente al provvedimento impugnato sono

indiziario idoneo a configurare, pur nei limiti dell’accertamento cautelare, il
delitto di tentato omicidio ascritto a Tarik ARROUCH. Ciò che ridonderebbe,
secondo quanto esposto nel primo motivo di doglianza, in termini di violazione di
legge, sostanziale e processuale, avendo l’ordinanza omesso di pronunciarsi su
alcuni elementi indiziari asseritamente indicativi della sussistenza dei gravi indizi
per il solo delitto di minaccia e non essendo ravvisabili gli elementi essenziali del
tentativo di omicidio (sotto il duplice profilo della non univocità degli atti e
dell’assenza di animus necandi); e, secondo quanto invece riportato nel secondo
motivo di impugnazione, in termini di vizio della motivazione, non avendo
l’ordinanza spiegato adeguatamente per quali motivi siano stati ritenuti
sussistenti i gravi indizi di colpevolezza del dolo omicidiario.
Dunque, è possibile e anzi opportuno addivenire a una trattazione congiunta
dei vari profili di doglianza, considerata la loro afferenza a un medesimo aspetto
della decisione, pur affrontato da differenti angolazioni.
3. Sempre in premessa appare necessario definire alcune coordinate generali
dell’accertamento cautelare e del controllo che, su di esso, è chiamato a svolgere
il giudice di legittimità.
Sotto un primo profilo, va innanzitutto ricordato che ai fini dell’adozione di
una misura cautelare personale è sufficiente qualunque elemento probatorio
idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità
dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi indizi di
colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova
idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza e non devono,
pertanto, essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di
merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. – che, oltre alla gravità, richiede
la precisione e la concordanza degli indizi – non richiamato dall’art. 273, comma
1-bis, cod. proc. pen. (tra le tante, Sez. 4, n. 6660 del 24/01/2017, dep.
13/02/2017, Pugiotto, Rv. 269179).
Sotto altro profilo, va sottolineato che, in sede di legittimità, il controllo in
materia cautelare deve essere circoscritto all’esame del contenuto dell’atto
impugnato per verificare le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e
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sostanzialmente riconducibili alla mancata acquisizione di un compendio

l’assenza di evidenti illogicità nelle argomentazioni svolte rispetto al fine
giustificativo del provvedimento (Sez. 2, n. 31553 del 17/05/2017, dep.
26/06/2017, Paviglianiti, Rv. 270628; Sez. 4, n. 18795 del 2/03/2017, dep.
18/04/2017, Di Iasi, Rv. 269884; Sez. 6, n. 11194 del 8/03/2012, dep.
22/03/2012, Lupo, Rv. 252178).
Inoltre, va ribadito che, secondo il costante insegnamento di questa Corte in
tema di misure cautelari personali, non è affetta da vizio di motivazione
l’ordinanza del tribunale del riesame la quale confermi, in tutto o in parte, il

argomentazioni, perché in tal caso i due atti si integrano reciprocamente, ferma
restando la necessità che le eventuali carenze di motivazione dell’uno risultino
sanate dalle argomentazioni utilizzate dall’altro (ex plurimis Sez. 3, n. 8669 del
15/12/2015, dep. 3/03/2016, Belringieri, Rv. 266765; Sez. 6, n. 48649 del
6/11/2014, dep. 24/11/2014, Beshaj ed altri, Rv. 261085; Sez. 2, n. 774 del
28/11/2007, dep. 9/01/2008, Beato, Rv. 238903).
4. Tanto premesso in termini 4t generali, giova in primo luogo osservare
come in particolare il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Milano
abbia illustrato, in maniera puntuale e senza alcuna smagliatura del tessuto
logico-argomentativo, gli elementi di fatto che consentono di affermare la
presenza di un adeguato quadro indiziario in ordine all’elemento oggettivo del
delitto di tentato omicidio, costituito dalla presenza di atti idonei e diretti in
modo non equivoco a cagionare la morte della persona offesa.
In proposito, la giurisprudenza di legittimità ricostruisce i due requisiti di
fattispecie secondo ormai consolidate coordinate sistematico-interpretative.
La prima nozione, infatti, rinvia alla capacità della condotta posta in essere
dall’agente di realizzare il risultato tipico, costituito dal reato consumato;
capacità che viene valutata alla stregua del paradigma della cd. prognosi
postuma a base parziale. In altri termini, successivamente al mancato verificarsi
della consumazione, deve essere esperito un tipico giudizio controfattuale,
realizzato riportando la sequenza criminosa al momento della estrinsecazione
della condotta e ipotizzando se fosse probabile, in tale frangente, la verificazione
del risultato tipico voluto, assumendo quale base del giudizio in questione il
complesso delle circostanze conosciute o conoscibili dall’agente in quella fase
dell’iter criminis (Sez. 1, n. 32851 del 10/06/2013, dep. 29/07/2013, Ciancio
Cateno, Rv. 256991).
Quanto, invece, alla nozione di univocità degli atti, la soluzione ricostruttiva
prevalente, qui certamente convidisa, richiede la realizzazione non già di atti
esecutivi veri e propri, ma anche eventualmente di quegli atti che, pur
classificabili come preparatori, facciano fondatamente ritenere che l’agente,
avendo definitivamente approntato il piano criminoso in ogni dettaglio, abbia

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provvedimento impugnato, recependone in maniera sostanzialmente integrale le

iniziato ad attuarlo, che l’azione abbia la significativa probabilità di conseguire
l’obiettivo programmato e che il delitto sarà commesso a meno che si verifichino
eventi non prevedibili, indipendenti dalla volontà del reo, che ne impediscano la
realizzazione (Sez. 5, n. 18981 del 22/02/2017, dep. 20/04/2017, Macori e altro,
Rv. 269931).
4.1 Ritiene il Collegio che il provvedimento genetico e l’ordinanza impugnata
si siano sicuramente conformati alle richiamate coordinate ermeneutiche.
Dopo avere ricostruito, alla stregua delle coerenti e coincidenti dichiarazioni

liberare la strada, li aveva dapprima minacciati di morte ed aveva, quindi,
estratto un coltello che teneva in un calzino e aveva ripetutamente cercato di
colpire ARENA, sferrando diversi fendenti all’altezza del petto e dell’addome, i
giudici di merito hanno correttamente inquadrato la descritta condotta nello
schema del tentato omicidio, sottolineando come ARROUCH avesse cercato di
raggiungere zone vitali del corpo con un coltello di grosse dimensioni, senza
riuscirvi solo grazie alla prontezza della vittima e “proseguendo nell’azione anche
quando la persona offesa era riuscita a trovare rifugio in un cortile”.
Quanto, poi, alla volontarietà dell’azione, è stato posto in luce come la
reiterazione dei tentativi di colpire ARENA e la prosecuzione dell’azione criminosa i
anche dopo che la persona offesa era riuscita a rifugiarsi al di là del cancello,
fossero certamente indicative della presenza di una volontà omicidiaria.
4.2. Dinnanzi alla puntuale ricostruzione testé riassunta, il ricorso ha dedotto
che il tribunale non avrebbe spiegato per quale motivo l’indagato, intendendo
uccidere le tre persone aggredite, avesse tardivamente estratto l’arma per poi
inseguirle, pur sapendo della maggiore difficoltà di mettere a segno i colpi.
Osserva, nondimeno, il Collegio che i due provvedimenti hanno pienamente
dato conto del complesso degli elementi indiziari raccolti a carico dell’indagato,
facendosi carico di dimostrare, in maniera puntuale, l’univoco significato
attribuibile alle condotte dello stesso ARROUCH, avuto riguardo alla volontà
omicidiaria dallo stesso reiteratamente esplicitata akai ripetuti fendenti sferrati
verso organi vitali con l’uso di un’arma certamente idonea a cagionare la morte
della vittima; nessuna rilevanza potendo riconoscersi, al fine di ipotizzare una
eventuale ipotesi di mera minaccia, al fatto che ARROUCH avesse colpito
ripetutamente il cancello dietro il quale avevano trovato rifugio le tre vittime,
trattandosi di una condotta che si era verificata soltanto dopo che la prima
azione, quella diretta a cagionare la morte di ARENA, era stata realizzata.
Nello stesso frangente, peraltro, i giudici del riesame, così come lo stesso
giudice della cautela, hanno altresì sottolineato l’inattendibilità della versione
offerta dall’indagato, secondo cui egli avrebbe brandito il coltello unicamente
perché intimorito dall’atteggiamento offensivo e minaccioso dei passanti, i quali

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dei tre testimoni, persone offese dal reato, secondo cui ARROUCH, all’invito a

gli avrebbero intimato di liberare la strada. Anche a voler prescindere
dall’evidente contrasto tra tale versione e quella resa dai tre testimoni,
nell’immediatezza dei fatti e quindi senza poter prima concordare il contenuto
delle proprie dichiarazioni, i giudici di merito hanno rilevato il contrasto tra le
affermazioni dell’indagato – secondo cui all’arrivo della polizia egli si sarebbe
trovato “accasciato in un giardinetto”, mentre il coltello, che aveva riposto nel
cestino della bicicletta, sarebbe caduto per terra – e quanto accertato dalla
polizia giudiziaria, avendo gli operanti visto personalmente l’indagato che, al loro

Nessuna lacuna può, quindi, ravvisarsi nella motivazione con la quale i due
provvedimenti hanno ravvisato i gravi indizi di colpevolezza a carico di Tarik
ARROUCH per il delitto di tentato omicidio, in relazione al quale, anzi, i giudici
hanno altresì escluso di poter configurare alcuna desistenza volontaria, posto che
l’abbandono dell’azione offensiva da parte dell’indagato non era stato affatto
spontaneo, quanto piuttosto indotto dall’arrivo delle Forze dell’Ordine.
4. Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere
rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PER QUESTI MOTIVI
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali. Dispone trasmettersi, a cura della Cancelleria, copia del
provvedimento al Direttore dell’Istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94,
comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen..
Così deciso in Roma, il 25/01/2018

arrivo, cercava di disfarsi del coltello.

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