Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 21098 del 25/01/2018


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 21098 Anno 2018
Presidente: TARDIO ANGELA
Relatore: BARONE LUIGI

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
STAFA NEZIR nato il 18/12/1984

avverso l’ordinanza del 24/07/2017 del TRIB. LIBERTA’ di NAPOLI
sentita la relazione svolta dal Consigliere LUIGI BARONE;
sentite le conclusioni del Procuratore Generale, nella persona del sost. MARILIA
DI NARDO, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso

Data Udienza: 25/01/2018

RITENUTO IN FATTO
1. Con ordinanza del 24 luglio 2017 il Tribunale di Napoli, in funzione di
giudice dell’appello cautelare, rigettava l’impugnazione proposta nell’interesse di
Stafa Nezir avverso il provvedimento di rigetto emesso dalla Corte di appello di
Napoli dell’istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere o
sostituzione della stessa con la meno gravosa misura degli arresti domiciliari.
Lo Stafa, dichiarato latitante e condannato in prime cure alla pena di anni 8,
mesi 2 di reclusione per i reati di rapina aggravata, tentato omicidio e connessi

esito beneficiava di una sensibile riduzione della pena ad anni 3, mesi sette e
giorni dieci di reclusione, per via anche della assoluzione da uno dei reati
ascrittigli (rapina aggravata), della concessione delle circostanze attenuanti
generiche e dell’esclusione dell’aggravante prevista dall’art. 61 n. 1 cod. pen.
correlata all’imputazione di tentato omicidio.
A giustificazione del persistente ed immutato giudizio di pericolosità sociale
dell”imputato, tale da imporre «il mantenimento della custodia in carcere, quale
unica misura idonea a garantire un controllo necessariamente costante», il
tribunale ha addotto le allarmanti modalità della condotta delittuosa, espressione
di una personalità dalla spiccata propensione alla violenza estrema, priva di ogni
capacità di autocontrollo.

2. Avverso il provvedimento di rigetto ha interposto ricorso il difensore di
fiducia dello Stafa, eccependo vizio di motivazione in ordine:
– alla sussistenza ed attualità delle esigenze cautelari, avendo il tribunale,
per un verso, sottovalutato l’incidenza del

novum

sopravvenuto costituito

dall’assoluzione dell’imputato in sede di appello dal reato di rapina aggravata con
conseguente riduzione della pena e, per altro verso, valorizzato la pregressa
latitanza dell’imputato senza dare alcun peso alla spontanea costituzione del
predetto;
– al diniego della sostituzione della misura cautelare in carcere con una meno
afflittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.

Entrambi i motivi di ricorso si appalesano generici e, come tali, non

superano il vaglio di ammissibilità.
2.

La prima doglianza è puramente confutativa delle argomentazioni

contenute nel provvedimento impugnato senza un reale confronto con le stesse
tale da evidenziarne eventuali fratture logiche.
Nello specifico, nel provvedimento impugnato si afferma che il
ridimensionamento della vicenda delittuosa (dedotto dalla difesa quale elemento
2

crimini in materia di armi, si costituiva nel corso del giudizio di appello, al cui

di novità a sostegno della richiesta di revoca o sostituzione della custodia in
carcere) non è in grado di «incidere sul pericolo di reiterazione di condotte
analoghe a quelle per cui è processo e quindi sulle esigenze di cautela garantite
dalla misura restrittiva in atto».
Ciò in ragione delle allarmanti modalità della condotta (caratterizzate dall’uso
di una pistola – illecitamente detenuta – con la quale, il predetto, sparando ad
altezza d’uomo, ha esploso quantomeno un colpo all’indirizzo della vittima
attingendola al volto, fortunatamente in maniera non letale) che denotano una

autocontrollo.
Sotto altro profilo, i giudici hanno ritenuto che la lunga latitanza, protratta
per oltre due anni (dal novembre 2014 all’aprile 2017), ancorché interrotta poco
prima della decisione assunta nel giudizio di appello, probabilmente per ragioni di
convenienza e non certo per motivi di pentimento o resipiscenza (tenuto conto
che nessuna notizia ha fornito sull’arma utilizzata) ; accresce il giudizio negativo
sulla personalità del prevenuto nella misura in cui dimostra capacità ed
inclinazione dello stesso a sottrarsi alle forze dell’ordine.
Si tratta di argomentazioni non sindacabili in sede di legittimità, in quanto
logiche e coerenti rispetto alla piattaforma probatoria e non scalfite nella loro
solidità dalle censure, puramente confutative (lo si ribadisce),del ricorrente.
3. Parimenti, in relazione al secondo motivo, deve rilevarsi che la difesa
dell’imputato si duole della omessa motivazione del provvedimento impugnato in
ordine alla ritenuta inidoneità di eventuali misure meno afflittive rispetto al
carcere, ma non considera che proprio dal giudizio di immutata pericolosità
sociale dell’imputato, anche a seguito del novum dedotto dalla difesa (cfr. supra),
il tribunale ha tratto la coerente e logica conclusione che il mantenimento della
custodia in carcere continua ad essere l’unica misura idonea a garantire un
controllo necessariamente costante dello Stafa.
Valutazione, questa, immune, pur nella sua esposizione sintetica, da
censure, contenendo l’implicita esclusione, per far fronte alle persistenti esigenze
cautelari, di tutte le misure meno afflittive della custodia in carcere (in primis
quella degli arresti domiciliari con il controllo a distanza).
4.

Alla manifesta infondatezza del ricorso segue la dichiarazione di

inammissibilità dello stesso e la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616,
comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali e, in mancanza
di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità (Corte cost., n. 186 del 2000), anche al versamento a favore della
Cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare,
tra il minimo e il massimo previsti, in euro duemila.
P.Q.M.

3

spiccata propensione dello Stafa alla violenza estrema, senza alcuna capacità di

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro duemila in favore della Cassa delle
ammende. Dispone trasmettersi, a cura della cancelleria, copia del
provvedimento al Direttore dell’istituto penitenziario, ai sensi dell’art. 94, comma
1-ter, disp. att. cod. proc. pen..

Così deciso il 25febbraio 2018.

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